Famiglia
Libri, blog, youtube: i padri di oggi si raccontano
Sempre più manuali, memoir, libri illustrati, blog e tutorial (spesso ironici) raccontano cosa significa essere padri oggi, con gli uomini che parlano di figli, pappe, giochi e notti in bianco. Un vero e proprio fenomeno, all’estero, con libri come Diaper Dude: The Ultimate Dad’s Guide to Surviving the First Two Years (Il tipo del pannolino: la guida del padre per sopravvivere ai primi due anni), casa editrice TarcherPerigee, di Chris Pegula, giovane papà di tre bimbi, ex attore diventato designer, che ha anche creato una linea di borse per pannolini e biberon “al maschile”. Un altro testo uscito da poco è The New Dad’s Playbook: Gearing Up for the Biggest Game of Your Life (Il nuovo libretto per il papà: preparandosi al più grande gioco della vita), edizioni Baker Books, scritto da Benjamin Watson, campione di football americano, 36enne, padre di 5 figli, che usa metafore sportive per raccontare cosa significa avere a casa un neonato e come crescerlo. How to dad, invece, è un canale YouTube creato da Mark Broatch, giornalista neozelandese che spiega la paternità in modo semiserio. Nei suoi video, pensati come tutorial, “insegna” come addormentare i bimbi, tenerli in braccio e avvicinarli alle pulizie di casa. E c’è chi, come Phillip Toledano, artista e fotografo, in The reluctant father (Padre riluttante), per Dewi Lewis Pub, sostituisce l’ironia col sarcasmo e si addentra, con immagini e parole, nei drammi della paternità, confessando di aver provato nei primi mesi rimpianti, senso di estraneità e stanchezza.
Tra i testi disponibili in inglese sull’argomento anche Notti in bianco, baci a colazione, di Matteo Bussola, scrittore e disegnatore di fumetti. Tradotto in francese, spagnolo e tedesco, è stato pubblicato in Italia un anno fa da Einaudi ed è alla tredicesima ristampa. “Negli Stati Uniti e in altri paesi c’è una vera e propria tendenza rispetto ai libri che parlano dell’esperienza di essere padri – spiega Bussola. – In Italia la situazione è diversa, perché una paternità come la mia, in cui condivido al cinquanta per cento la cura delle mie figlie e della casa con la mia compagna, è ancora vista con un certo pregiudizio. Mi hanno chiamato “mammo”, per come mi comporto, perché sembra che se ti occupi dei tuoi bambini con interesse e passione allora ti femminilizzi. Quando, con la mia compagna Paola Barbato, scrittrice, raccontiamo, per esempio, che in casa sono io a cucinare, le persone ci osservano come se avessimo un problema, come se Paola non fosse capace di preparare da mangiare o come se io, in quanto uomo, non dovessi essere capace di bollire nemmeno un uovo. Capita poi, se ci sono donne ad ascoltare, che mi guardino con ammirazione e le dicano: come sei fortunata. È indubbio che in Italia i pregiudizi sui ruoli di genere siano più forti e radicati che in altri paesi”.
Gli stereotipi di genere, secondo i quali, ad esempio, devono essere soprattutto le donne a occuparsi dei figli, perché “per natura” più adatte, sono difficili da superare anche secondo Lorenzo Gasparrini, filosofo, blogger e attivista, autore di un saggio appena ristampato per la casa editrice Settenove Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni. Nel suo libro, Gasparrini descrive la vita comune di un uomo, dall’infanzia all’età adulta (i giochi, i rapporti con l’altro sesso e con gli altri generi, le relazioni di coppia, il lavoro), per mostrare come il sessismo condizioni lo sviluppo, il linguaggio, le abitudini, la visione del mondo. “Gli stereotipi sono un comodo strumento di rapporto con il mondo, e il loro successo sociale non deve stupire: forniscono, senza fatica, una serie di rappresentazioni, conoscenze e modelli di comportamento consolidati che esprimono una situazione di potere e di valori apparentemente normali. Criticarli significa mostrare che questa normalità è costruita sulla pelle di altri e altre che ne soffrono, ed è il primo passo per smettere di farne uso”. Secondo Gasparrini, in Italia il cambiamento sul discorso della paternità è solo agli inizi, ma il processo è ormai stato avviato in maniera irreversibile, nonostante le resistenze siano fortissime.
Sembra paradossale, ma le resistenze in questo senso sono forti da parte di alcune donne, spiega Matteo Bussola. Lo scrittore ha una schiera di follower appassionate su Facebook, ma ci sono mamme che lo guardano con un certo sospetto. “I pochi padri che rompono con i comportamenti consueti sono visti con preoccupazione da una parte del mondo femminile. È quasi come se stessimo andando a invadere un ruolo, un’identità, veniamo percepiti come se rubassimo loro l’ultima cosa che resta, l’ultimo territorio di esclusività. Sicuramente questo è dovuto anche al fatto che la realizzazione delle donne, nel nostro paese, è ancora troppo spesso legata alla dimensione privata e familiare, perché nel mondo del lavoro è difficile avere le stesse possibilità degli uomini, non essere discriminate, guadagnare quanto loro”. Secondo Lorenzo Todesco e Renzo Carriero, ricercatori al dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino e autori di Indaffarate e soddisfatte (Carocci editore), esiste un’identità femminile strettamente connessa al lavoro familiare e domestico. Stando alla loro analisi, basata su dati e interviste, in Italia, sono molte le donne che si adeguano di buon grado i ruoli domestici assegnati socialmente, come cucinare, lavare, stirare, spolverare, pulire, prendersi cura dei figli, ai quali dedicano, in media, oltre cinque ore al giorno.
“Per me la paternità è stata un’opportunità, mi ha fatto prendere coscienza di alcune dinamiche che prima ignoravo – racconta Bussola. – Da quando ci sono le mie figlie il tempo sembra essersi espanso, per la semplice ragione che riesco a farlo fruttare molto meglio di prima, quando in teoria di tempo ne avrei avuto da buttare (e, infatti, lo buttavo). Oggi la mia vita non è solo più ricca, ma le mie giornate riescono a contenere molte più cose, nuovi sguardi e possibilità. Quando stai per diventare padre ti fanno terrorismo psicologico, ti dicono che sarà un incubo: sono bugie, vorrei che il discorso sulla genitorialità potesse cambiare, perché ci perdiamo davvero tanto continuando a ragionare così”.
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