Famiglia

Omofobia, un problema della politica (e non della Chiesa)

23 Ottobre 2015

La chiesa non può affrontare laicamente il tema dell’omosessualità e dei diritti civili. Chiedere a Bergoglio di “aprire” alle coppie gay è francamente una pretesa assurda, e mi inteneriscono coloro i quali si attendono dal “papa del sorriso 2.0” una tale rivoluzione.  Anche chi accusa il Vaticano di omofobia, non centra  l’obbiettivo.

Ha ragione Marco Bennici, nel suo bel pezzo sull’argomento: la chiesa non è omofoba.

Non si può affrontare un problema se si parte dal presupposto che il problema non esiste, o è relegato allo status di “disordine emotivo”. Il rapporto  del cattolicesimo con la  delicata e oscura sfera della sessualità è sempre stato tormentato nei secoli dei secoli. Pensiamo al povero Onan dannato  perché  dava il suo seme alla terra che, al contrario di un ventre femminile, non lo poteva accogliere. Ma senza tornare troppo indietro, ricordiamoci di anni di polemiche contro il preservativo mentre l’AIDS uccideva centinaia di migliaia di persone in Africa e non solo.

Forse dovremmo spostare il binocolo alla società civile e a come, in Italia, essa si presta a farsi veicolo di idee (verrebbe da dire ideologie)  posizioni e anatemi che alla fine si ipertrofizzano fino a diventare orientamenti culturali e ahimè politici. La religione dovrebbe essere un fatto privato e individuale, governato dalla coscienza di ognuno di noi, che sceglie di credere e di perseguire una certa linea fatta di obblighi e rinunce, ma anche di consolanti sicurezze.

Così purtroppo però non è, come dimostra il tormentato percorso parlamentare del decreto Cirinna‘.

Credo che un cittadino omosessuale in regola col fisco abbia lo stesso diritto di unirsi in matrimonio di un parigrado eterosessuale.

Non è una questione di civiltà ma di legalità e democrazia. Punto.

Se costui da cattolico osservante ritiene che ciò sia peccato semplicemente non lo farà, lasciando ad altri il diritto di procedere diversamente.PAPA-SINODO

Aggiungere un diritto per alcuni non si traduce in sottrazione di un diritto per altri.

Ciò che francamente urta non è che pressoché quotidianamente le gerarchie ecclesiastiche si esprimano difendendo un proprio concetto di famiglia tradizionale ma che qualcuno assuma tali posizioni opinabili ma legittime, come sue, dimenticandosi che la gestione della res publica è un’altra cosa e deve prevedere un costante esercizio di astrazione dalle proprie convinzioni, inprimis quelle religiose.

Se così non si fa si manca ai propri doveri istituzionali ma non solo; si creano le condizioni perché posizioni omofobiche figlie dell’ignoranza trovino legittimità, si diffondano in quanto indirettamente autorizzate.

Dare la colpa alla chiesa di fare il suo mestiere di guardiano di un faro che per molti ancora dispensa vera luce, è ingiusto.

Ci si può divertire nel sottolineare una sempre più sconcertante incoerenza fra dichiarazioni e pratiche, citando festini gay con tanto di escort prezzolati all’ombra dei chiostri romani, o casi sempre più ripetuti alla Don Seppia, che basterebbero da soli a fare spallucce ogni volta che il monsignor Galantino di turno parla.

È sicuramente un esercizio utile quello di smascherare l’ipocrisia di una istituzione che davvero avrebbe bisogno di tante sedute di autocoscienza per rinnovarsi, ben oltre il Sinodo che sta per concludersi.

Non basta e non serve granché però al progresso culturale del nostro paese. Se uno sferzante atto di accusa va fatto, va indirizzato a chi cavalca la tigre stanca della morale cattolica per tenersene buono il potenziale elettorato sposando una visione miope della politica e arrestando il progresso per  il misero fine  di traguardare una legislatura in più.

 

 

 

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