Questioni di genere
Oltre il 25 novembre: la lotta alla violenza di genere continua
Non solo una giornata, ma un impegno quotidiano. Le manifestazioni di Milano, e in tutta Italia, hanno dimostrato ancora una volta la forza della protesta civile contro la violenza di genere. Ma la lotta non può fermarsi al 25 novembre: è necessario un impegno costante.
Ieri era il 25 novembre.
Nel mondo dell’attivismo e dei femminismi, questa ricorrenza è impossibile da dimenticare. Tuttavia, per chi ancora non sa di che cosa si tratti (spero siano rimaste davvero poche persone), faccio un passo indietro.
È stata scelta la data del 25 novembre per la Giornata contro la violenza sulle donne per commemorare la vita, l’attivismo e soprattutto il coraggio di tre sorelle: Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal, soprannominate “mariposas”, che hanno combattuto per la libertà del loro paese.
Durante gli anni ‘40 e ‘50, la Repubblica Dominicana era stretta nella morsa della dittatura del generale Rafael Trujilo. Le sorelle Mirabal si impegnavano in varie forme di attivismo, per denunciare gli orrori e i crimini dalla dittatura. Ma il 25 novembre 1960 le tre sorelle “mariposas” furono torturate e uccise dai sicari di Trujillo e i loro corpi gettati in un dirupo. L’indignazione per la loro morte sollevò un moto di orrore sia in patria che all’estero, ponendo l’attenzione internazionale sul regime dominicano e sulla cultura machista che non tollerava di riconoscere alle donne l’occupazione di uno spazio pubblico e politico. Pochi mesi dopo il loro assassinio, Trujillo fu ucciso e il suo regime cadde. L’unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani e a mantenere viva la memoria delle sorelle.
Ogni 25 novembre, in memoria delle tre attiviste, prende il via un periodo di 16 giorni dedicato all’attivismo contro la violenza di genere, che si conclude il 10 dicembre con la Giornata Internazionale dei Diritti Umani.
Spostiamoci ora nel 2015. Ni una menos è un movimento femminista che, insieme a tanti altri movimenti e associazioni, attraverso proteste e azioni dirette, lotta per sradicare la violenza di genere e ogni forma di discriminazione basata sul sesso, rivendicando una società paritaria ed equa. Nato in Argentina nel 2015, il movimento prende il nome da una frase della poeta messicana Susana Chávez, ‘Né una donna in meno, né una morta in più’. L’attivista denunciava a gran voce l’urgenza di intervenire contro l’alto numeri di femminicidi a Ciudad Juárez, ma lei stessa fu assassinata per mano di un uomo.
In Italia, il movimento è attivo dal 2016 e in pochi anni è diventato un importante movimento di mobilitazione per la difesa dei diritti delle donne e di tutte le persone con identità al margine, contro ogni forma di patriarcato. Come ogni anno, il movimento ha organizzato le manifestazioni per il 25 novembre in tantissime città italiane. Quella organizzata ieri a Milano ha visto la partecipazione di circa dieci mila persone.
Anche sui social c’è stato grande trasporto e tanti sono stati i contenuti di vario tipo pubblicati al grido di “stop alla violenza”. Bene. Non fermiamoci qui però.
Perché lɜ attivistɜ, lɜ operatorɜ dei CAV e le tante persone che si occupano di questi temi in altro modo, continueranno a parlarne nei giorni a venire; invece, chi decide di disinteressarsi alla questione, domani troverà un altro contenuto da pubblicare e un altro hashtag di tendenza. La vera sfida è tradurre l’energia di ieri in cambiamenti duraturi. Parlarne solo il 25 novembre è come spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua, poiché la violenza di genere richiede un impegno quotidiano, non un’emozione passeggera.
Pensare “io non lo farei mai” o “la cosa non mi riguarda” e liquidare così il problema dimostra una superficialità allarmante, un’incapacità di comprenderne la complessità e le sue radici culturali. L‘hashtag #NotAllMen con il quale gli uomini sul web cercano di dissociarsi dal fenomeno cerca invano di minimizzare la responsabilità maschile; in risposta a questo, l’hashtag #YesAllWomen ribadisce l’importanza di riconoscere e contrastare le strutture di potere che perpetuano la violenza di genere.
Questo atteggiamento superficiale viene da una totale mancanza di conoscenza di cosa sia la violenza di genere e di come si manifesta.
Innanzitutto, la violenza di genere non riguarda solo le donne e non dovrebbe essere un problema da risolvere solo per lɜ attivistɜ e lɜ femministɜ. Vero è che, storicamente e statisticamente, le donne sono le principali vittime di questa forma di violenza, ma la violenza di genere può colpire chiunque, a causa del proprio genere o del proprio orientamento sessuale.
Poi, la violenza fisica è solo la punta dell’iceberg e, solitamente, quando arriva la prima percossa, la vittima ha già subito altre forme di violenza meno evidenti e più subdole, come la violenza psicologica, che si manifesta in insulti, minacce, controllo, manipolazione e isolamento. Altra forma subdola di dominio, che non lascia lividi, è la violenza economica, che consiste nel privare o limitare deliberatamente l’accesso alle risorse finanziarie; è spesso preceduta da atteggiamenti paternalistici che relegano le donne a un ruolo di dipendenza economica, limitando la loro autonomia e libertà di scelta o autodeterminazione.
Oltre a queste forme di violenza esplicita, la violenza strutturale e culturale salta meno all’occhio ed è insita nelle disuguaglianze di genere: un intreccio perverso di norme sociali, leggi, istituzioni e media alimenta e perpetua stereotipi di genere dannosi, giustificando e normalizzando la violenza. La colpevolizzazione delle vittime, la banalizzazione della violenza sessuale e la sottovalutazione della parità di genere sono solo alcune delle manifestazioni di questo sistema patriarcale, che, nonostante le parole (assai poco) rassicuranti del Ministro dell’Istruzione e del Merito è, invece, ancora vivo e violento tra noi.
Risulta impossibile riassumere il fenomeno in poche righe quindi, per concludere e per andare oltre le retoriche politiche, è importante ricordare che la responsabilità di riconoscere e contrastare il patriarcato e la violenza di genere è di ciascuno di noi. E’ importante iniziare subito.
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