Famiglia
Lunedì a Strasburgo si vota sulle diseguaglianze di genere
La notizia non è di quelle da prima pagina dei quotidiani e, anzi, in molti nemmeno sapranno che lunedì 9 marzo il Parlamento europeo sarà chiamato ad esprimersi sulla risoluzione Tarabella, un provvedimento che mira a creare le condizioni per una riduzione delle diseguaglianze di genere nei paesi membri dell’Unione europea. Qualcuno, strumentalmente, l’ha definita come la “seconda puntata” della risoluzione Estrela, ma la Tarabella affronta il tema della diseguaglianza di genere in modo trasversale, complesso e decisamente non monotematico: dal divario salariale fra uomo e donna a parità d’incarico alla violenza di genere, passando per la conciliazione (da garantirsi tanto per le donne quanto per gli uomini) fra tempi di vita/accudimento familiare e tempi lavorativi (anche attraverso l’istituzione ed il potenziamento di servizi dedicati all’infanzia).
La risoluzione pone l’accento sulla necessità di creazione di politiche proattive a favore dell’occupazione femminile, così come sull’urgenza di un maggior equilibrio di genere fra gli amministratori e nelle società quotate in Borsa. Solo in ultimo si discute dell’opportunità di un pieno controllo da parte delle donne in merito ai loro diritti riproduttivi e sessuali, in particolare attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto invitando inoltre gli stati membri a porre in atto progetti di sensibilizzazione per gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva. Una richiesta su quindici, eppure sappiamo che l’unico argomento citato, nel già scarso dibattito mediatico su questo provvedimento, quale ragione dirimente nella scelta degli eurodeputati sarà quello che la riguarda: pro o contro il diritto delle donne a disporre del proprio corpo e decidere del proprio destino.
Veniamo però ai dati: in Italia – in media – una donna guadagna circa il 16% in meno di un collega maschio di pari ruolo e incarico (con una media europea del 16,4%). Non si tratta tuttavia solo di un problema di retribuzione: il divario occupazionale si attesta intorno al 19,9% nel nostro paese, complice anche un welfare che pesa, in gran parte, sulle spalle delle donne (sia per quanto concerne la cura dei figli, che l’assistenza agli anziani). Se uno dei due membri della famiglia deve restare a casa, sembra quasi logico e naturale sia colui o colei che guadagna meno, e così a 5 anni dal conseguimento del titolo di studio risultano occupate l’81% delle laureate senza figli e il 69% delle colleghe con figli.
Il posto fisso pare invece essere un “privilegio” maschile. Sempre dopo un quinquennio dalla laurea risultano occupati con contratto a tempo indeterminato l’80% degli uomini e solo il 66% delle donne. Anche la famiglia sta evolvendo e cambiano i contorni di quella, un tempo, considerata tradizionale. Cresce il numero delle coppie senza figli, ma crescono anche le famiglie monogenitoriali che, secondo dati Istat, sono per l’82,7% composte da madri con figli a carico. Le donne sono poco rappresentate nei luoghi di potere, siano essi pubblici o privati, e questo fenomeno ha, come diretta conseguenza, la mancanza di progetti, norme e direttive mirate alla difesa e al sostegno del loro ruolo sociale.
Anche per quanto riguarda il tema della violenza sulle donne l’Italia non gode di buona salute: nel 2013, anno nero per i femminicidi, sono state 179 le donne uccise nel nostro paese, di cui circa un 68% vittime di un contesto familiare o di prossimità. I dati riguardanti lo stato di applicazione della legge 194 non sono, a questo punto, che la ciliegina sulla torta di questo quadro non troppo confortante. Secondo il Rapporto del Ministero della salute (ottobre 2014) si segnala un aumento generalizzato, fra ginecologi, anestesisti e personale sanitario, di obiezioni di coscienza. Dal 90,3% di ginecologi obiettori del Molise, all’81,8% del Lazio, passando per l’87,3 di Bolzano. Più di due ginecologi su tre è obiettore, con un incremento annuo che ha portato i valori dal 58,7% del 2005 (su scala nazionale) al 69,6% del 2012. Con queste cifre, inutile nasconderlo, la corretta applicazione della legge non può essere materialmente garantita e andrebbe inoltre fatta una seria riflessione sul carico (emotivo, professionale e di potenziale “alienazione”) posto sulle spalle dei pochi medici non obiettori.
Fatte queste premesse quali possono essere le riflessioni in merito alla necessità di un intervento specifico dell’Unione europea su questi temi? Quale può essere l’approccio alla risoluzione Tarabella? Lunedì il verdetto, speriamo non sulla pelle delle donne, anche italiane.
Devi fare login per commentare
Accedi