Letteratura

Nina Bouraoui e la pervasiva ricerca d’identità dei giorni nostri

28 Giugno 2021

Il bruco, nel Paese delle Meraviglie, chiede ad Alice: “E tu, chi sei?” e Alice risponde “Io… io non lo so, per il momento, signore… al massimo potrei dire chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma da allora ci sono stati parecchi cambiamenti”.

L’identità è un labirinto intricato di luoghi, lingue, ricordi, desideri, consapevolezze, immaginazione e soprattutto relazioni con le persone e le cose del mondo.

Come scriveva diversi anni fa il filosofo Mauro Carbone in un articolo intitolato “Avere un solo essere è prigione” Sul migrare dell’identità oggi, “Diverse e diffuse pratiche sociali [mostrano] come l’identità di un individuo consista nel costante divenire di questo attraverso differenti ambiti di relazione”, contrapponendosi a un passato in cui l’identità veniva cercata “nei caratteri di ciascun individuo (persona, animale, cosa) che non mutano (…), ma sembrano anzi permanere costanti al di là delle modificazioni di tale individuo nel tempo e nello spazio”.

In questo contesto di diffusa mutevolezza, proprio l’identità, da postulato che era, si è trasformata in oggetto costante di ricerca e se prima era condivisa, almeno con un gruppo di persone (attraverso il lavoro, la classe sociale, il credo politico), sempre più diventa invece singolarissima.

Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere, prime parole della Metafisica di Aristotele, è il titolo del romanzo di Nina Bouraoui tradotto quest’anno dalla casa editrice e/o.

Nina ripercorre la geografia della propria identità in capitoli brevi, poetici e cosparsi di immagini concrete ed efficaci: capitoli che si intitolano Ricordare, Sapere, Divenire ed Essere.
Ricordare è tornare alla propria infanzia ad Algeri, quei colori, il sole, il mare, la libertà luminosa dell’infanzia, il suo migliore amico Ali. Nina, nata nel 1967, è figlia di madre francese e padre algerino conosciutisi all’università di Rennes e poi trasferitisi al di là del Mediterraneo. Vive lì fino a quando la violenza del paese comincia a pervadere l’aria che si respira e a insinuarsi nella loro quotidianità, in particolare in quella di sua madre. Algeri sono i primi quattordici anni della sua vita, poi ci sono Rennes – il giardino dei nonni fuori dal tempo e dallo spazio, preludio forse dell’identità sospesa – e infine Parigi.
Sapere è la vita precedente dei suoi genitori: il loro incontro, le scelte di vita, l’arrivo ad Algeri.
Divenire è il presente delle sue notti al Kat, locale frequentato da lesbiche, dove Nina a diciott’anni comincia ad andare quasi tutte le sere per guardare e aspettare che accada qualcosa. Guardare e guardarsi per lottare contro l’apparente impossibilità di accettare la propria omosessualità. Aspettare perché arrivi l’amore, che “va oltre il semplice fatto di amare: quando trovi qualcuno sei salva”. Nina trova un primo gruppetto di amiche e una prima relazione, “ma non appartiene a nessuno”, è un cane sciolto ed è lì per cercarsi. Si cerca nella relazione con gli altri e nella scrittura, nelle distanze che pone, nelle differenze che la attraversano, nella solitudine che ne scaturisce.

Se tutti gli uomini aspirano per natura al sapere, oggi l’identità individuale sembra essere il nocciolo di quel sapere. E in quel suo costante trasformarsi, come accade ad Alice, si fa costante e perenne stimolo di ricerca. Non per niente il libro è stato finalista in Francia al Prix Femina e al Prix Médicis.

Eppure, quando, nel capitolo intitolato finalmente Essere, riesce in ultimo a “desiderare ed essere desiderata”, Nina è “senza passato, senza futuro e senza testimone, potrebbe scomparire tra le sue mani eppure rinasce”: nell’appagamento, nel compimento, l’identità e la sua ricerca sono, finalmente, assenti. C’è solamente l’Essere.

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