Lavoro

Nell’Italia terra di molestie sul lavoro, la mentalità è da anni ’50

8 Dicembre 2017

Altro che Trump, Putin o Xi. Come persona dell’anno Time ha scelto le “Silence breakers”: le donne che per prime hanno denunciato il noto produttore di Hollywood Harvey Weinstein, dando origine alla tempesta mediatica che ha travolto altri pesi massimi dello show business (in America, Europa, persino Australia). Non solo. Con il loro coraggio, frantumando il muro di omertà che ancora oggi protegge spesso i molestatori, hanno spinto migliaia e migliaia di donne in tutto il mondo a raccontare le molestie e le violenze che hanno subito con #MeToo.

Un fenomeno positivo, secondo le esperte sentite da Gli Stati Generali. «Penso che queste denunce siano salutari – dice Paola Di Nicola, docente di sociologia della famiglia all’Università di Verona –. Hanno fatto emergere delle situazioni che più o meno tutti attribuivamo già al mondo dello spettacolo, ma che ormai sono state pubblicamente denunciate dalle interessate». Sia chiaro: il fenomeno non è certo limitato a Hollywood e affini. «Sono moltissime le donne che subiscono molestie sul lavoro – continua la docente – dalla pacca più o meno scherzosa, fino alle avances più pesanti. È impossibile negarlo».

Secondo un’indagine presentata dall’Istat lo scorso settembre, quasi un milione e mezzo di donne ha subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Il numero reale però è assai più alto. Basti pensare che, secondo la stessa indagine, quasi nessuna (0,7%) delle interpellate ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine o ne ha parlato con qualcuno (1 su 5). Ma proprio per questo motivo le donne “che rompono il silenzio” offrono un contributo prezioso. «Lo vediamo in molte situazioni di maltrattamenti e violenze sulle donne – nota Isabella Merzagora, professoressa di Criminologia dell’Università di Milano e presidente della Società italiana di Criminologia –. Spesso si parla quando qualcun altro ha il coraggio di rompere il silenzio».

Certo, fra un’avance (per quanto sgradita) e uno stupro c’è una differenza abissale. Le due cose non dovrebbero neanche essere poste sullo stesso piano nel dibattito. «Ci sono situazioni che vanno anche al di là della violenza sessuale. Situazioni estorsive in cui il discorso è “se non fai quello che voglio non avrai lavoro”, e che ovviamente costituiscono reato oltre a essere moralmente indecenti – continua Merzagora –. Altre volte invece può trattarsi di corteggiamento, magari non elegantissimo, ma che, in quanto tale, è lecito. Ovviamente le mani vanno tenute a posto. Il problema è che purtroppo, quando esplodono le polemiche come nel caso Weinstein, si rischia di mettere tutto sullo stesso piano, ridimensionando le situazioni davvero vergognose e sulle quali bisognerebbe intervenire».

In Italia la situazione è particolarmente grave. Oltre a una cultura dominante per certi versi ancora maschilista (non per nulla nel Global Gender Gap 2017 il paese è 82esimo su 144 stati), agli occhi di Merzagora c’è pure un serio problema culturale. «Non possiamo pensare di invadere le procure. Deve verificarsi un cambiamento di mentalità: gli uomini non devono più immaginarsi di poter fare certe cose. Anche quando si tratta soltanto di battute, creano un clima volgare e di sicuro svalutante. È inaccettabile che una donna sia valutata sulla base di caratteristiche fisiche o di appetibilità sessuale».

Chiara, 32 anni, è impiegata. Chiede di essere indicata con un nome di fantasia. «Alla festa di Natale del lavoro due anni fa, ho sentito per caso uno dei capi dire al responsabile delle risorse umane che avrebbe dovuto includere nelle mie mansioni contrattuali anche quella di fungere da “sollazzo usa-e-getta” per i manager – racconta a Gli Stati Generali –. Adesso ne rido, era un’esternazione così patetica… Però in quel momento, e per molto tempo dopo quell’episodio, mi sono sentita umiliata e impotente». Ovviamente non ha denunciato l’accaduto. «Non si può denunciare qualcuno per una battuta di cattivo gusto – dice –. Ho semplicemente fatto finta di niente. Certo, ho evitato il più possibile di avere a che fare con la persona in questione».

Rosanna, 41 anni (pure lei esige il nome di fantasia), ha smesso molto presto di usare l’ascensore dell’istituto in cui lavora. «Ogni volta che ne aveva l’occasione il capo mi sfiorava “casualmente” col braccio, la mano o quant’altro. Sempre sul mio fondoschiena però – racconta con un’espressione tra l’indignato e il rassegnato –. Perciò ho deciso di evitare di trovarmi in spazi ristretti con lui. Sa, è molto furbo. Lo faceva sempre in modo tale che se l’avessi accusato avrebbe semplicemente negato tutto facendomi passare per matta. Poi figuriamoci, lui un professionista rispettatissimo con decenni di esperienza, io una semplice impiegata. A chi avrebbero creduto, tra i due? Chi ne avrebbe pagato le conseguenze?». Sia Chiara che Rosanna avrebbero altri episodi da raccontare, e conoscono altre donne con storie simili.

Nel 2015 l’Italia era 41esima nel già citato Global Gender Gap del World Economic Forum. Nel 2017 è crollata di altre 41 posizioni finendo più in basso di paesi ex-comunisti come Croazia e Albania. In particolare, nell’ambito della partecipazione e opportunità economica siamo 118esimi su 144 paesi. Secondo il rapporto, alla forza lavoro del Belpaese partecipa il 54% delle donne contro il 74% degli uomini, e la proporzione di lavoro giornaliero non remunerato è del 61,5% per le donne e appena del 23% per gli uomini. E via dicendo.

Non ci vuole un economista o un sociologo per capire che il paese nel suo complesso mostra di essere particolarmente iniquo, non favorendo né la parità né il tanto auspicato cambiamento culturale. Anzi. «Credo che in una situazione come quella attuale, con un mercato del lavoro del genere, in cui è pure difficile entrare, l’arroganza di alcuni uomini riprenda vigore» sottolinea Di Nicola.

Per Laura Cima, storico punto di riferimento del femminismo italiano, «la questione delle molestie sessuali sul lavoro può essere un trait d’union per passare dall’analisi della violenza individuale, quella che avviene nella dimensione di coppia e famigliare, alla violenza che comunque tende a eliminare le donne dal pubblico e a farle rientrare nelle case. Ora è questo a cui dobbiamo fare attenzione: il fatto che le donne, soprattutto le giovani, non trovino più lavoro o lo trovino a condizioni di precarietà indegne è già di per se una violenza fortissima». Secondo Cima le donne devono cominciare a rispondere a tono, ogni volta, «senza mai lasciar passare niente che attacchi la propria dignità».

È quello che ha fatto Valeria, 33 anni. «Una volta il mio capo mi ha proposto, come se niente fosse, uno scambio: sesso in cambio di una promozione. Io gli ho risposto che doveva andare a farsi fottere, e che se provava a farmela pagare non solo lo denunciavo, ma lo sputtanavo su tutti i giornali d’Italia. Non ho avuto la promozione, ma da allora non ha più osato fare proposte del genere».

Per le nostre connazionali la strada è tutta in salita. «Il fatto stesso che le reazioni delle donne a questi fenomeni stiano aumentando fa crescere anche l’atteggiamento critico e polemico nei loro confronti» nota Di Nicola. Difficile darle torto. Basti pensare a certe critiche nei confronti delle donne che hanno fatto esplodere il caso Weinstein, e che talvolta sono state accusate di connivenza, mitomania, o di aver aspettato troppo per denunciare. Spesso a criticarle e denunciarle sono state altre donne.

Rispetto a paesi come la Svezia, l’Olanda o la Francia, nella società italiana la solidarietà femminile è spesso un miraggio. Specie quella intergenerazionale, spiega Di Nicola. «Fra uomini e donne esiste un conflitto mediato dalle madri dei maschi. Che spesso educano o hanno educato i loro figli a pensare di essere i più belli e i migliori, e che nessuna ragazza li meriti. Certe madri mediano ai figli maschi un’immagine della donna come soggetto tentacolare che mira a manipolarli, e che come tale è da temere, o da tenere a bada, o da non prendere sul serio. Per lungo, lungo tempo c’è stata una preferenza delle madri per i figli maschi. Il famoso mammismo italiano è anche questo».

 

 

 

 

 

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