Innovazione
Meno mimose e più dati, per colmare il gender gap
Michele Barbera è il CEO di SpazioDati, startup dietro Atoka. Questo post è sponsorizzato da:
Oggi è l’8 marzo, festa della donna, e come dice sempre una mia amica, “meno mimose e più fatti” (non me ne vogliano i fiorai 🙂 E dato che per me i fatti sono innanzitutto i dati, parliamo un po’ di dati & uguaglianza di genere. Un paio di sere fa, girovagando sul web, mi sono imbattuto in un interessantissimo articolo del World Economic Forum. Il titolo, di per sé, era tutto un programma: Which European countries have the biggest gender pay gaps?
Ebbene, leggendo l’articolo (basato su dati Eurostat) ho scoperto che in Estonia una donna guadagna il 30% in meno di un uomo. O meglio: nel piccolo paese baltico c’è la maggior differenza tra il salario orario lordo medio di uomini e donne. La stima stupisce, specie se si considera che l’Estonia ha uno degli indici di sviluppo sociale più alti del pianeta. Le sorprese però non finiscono: il secondo paese con maggiori differenze è l’Austria; qui il gap è pari al 23%. Ecco poi la Repubblica Ceca, con il 22,1%, mentre la Germania guidata dalla cancelliera Angela Merkel è al quarto posto (21,6%). Quinta è la Slovacchia, con una differenza del 19,8%, ma la tallona il Regno Unito con il 19,7%.
Dato che l’Unione Europea ha 28 paesi, la finisco qui, tanto il grafico sopra mostra tutto. Però è interessante notare come i cinque paesi con il gap meno marcato siano i classici insospettabili: al primo posto c’è la piccola Slovenia, dove la differenza tra lo stipendio di uomini e donne è di appena il 3,2% (non a caso la più meridionale tra le nazioni mitteleuropee è al nono posto nel Global Gender Gap Index, che misura i paesi più egualitari del mondo; ad esempio ha il secondo congedo di paternità più lungo); segue Malta (5,1%), la Polonia (6,4%) e, superando di un soffio la Croazia (7,4%) l’Italia!
Il nostro paese registra un gap del 7,3%. Si tratta di un risultato oggettivamente positivo, e di gran lunga migliore della media europea, che si attesta al 16,4%. Certo, oltre alle luci ci sono le ombre, che non sono affatto poche. Secondo il già citato Global Gender Gap Index, l’Italia è al 41° posto nel mondo quanto a parità uomo-donna. Ci battono sia le nazioni scandinave e dell’Europa occidentale in generale, sia paesi con una storia molto difficile come la Moldavia, l’Ecuador, la Bielorussia. In particolare, nei 4 settori chiave valutati dall’indice (economia, istruzione, politica e salute), ci classifichiamo molto male nell’ambito della partecipazione economica, dove siamo addirittura al 111° posto, alle spalle di Mali (109°) e Perù (110°).
Ora, purtroppo tutto il mondo è paese (secondo il WEF la paga annuale media globale di un uomo è 21mila dollari, contro gli 11mila di una donna) ma è evidente che una nazione ricca, colta e importante quale l’Italia deve fare di più. Qualche mese fa noi di SpazioDati abbiamo cercato di capire quanto contassero le donne nelle stanze dei bottoni delle aziende italiane. Per cercare di rispondere abbiamo estratto un po’ di dati dal database di Atoka, ossia il nostro strumento di sales e marketing intelligence che aiuta le aziende a trovare nuovi clienti.
Su un pool di oltre 1 milione di aziende, abbiamo scoperto che le aziende dove il presidente del consiglio di amministrazione (cda) è una donna sono appena il 16%. Soltanto il 23% delle aziende ha come amministratore unico una donna, e appena un’azienda su quattro ha come socio unico una signora. E tra le aziende con un unico amministratore delegato, appena il 20% ha al comando una donna. Per conoscere tutti gli altri dati (ad esempio qual è la provincia e la regione più amica delle donne in carriera, o qual è il settore economico dove ci sono più donne ai vertici) vi rimando al post qui (e, per i più curiosi, al notebook qui con commento qua).
In ogni caso si tratta di dati non esaltanti (per usare un eufemismo). È evidente che dobbiamo fare ancora tanto per raggiungere una reale parità di genere. Tuttavia io sono un ottimista per natura, e ho sempre più la sensazione che le cose stiano cambiando. Nelle imprese (grandi, piccole o piccolissime) con cui noi di SpazioDati lavoriamo si sta formando una nuova cultura aziendale consapevole del valore eccezionale delle donne. L’ho detto in più occasioni e lo ripeto: è solo questione di tempo prima che l’altra metà del cielo rompa finalmente il famoso “soffitto di cristallo”.
Michele Barbera, autore dell’articolo, è il CEO di SpazioDati
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