Milano
Siamo davvero capaci di dire ai gay cosa pensiamo di loro?
Che idea hanno le persone etero delle persone omosessuali, che idea abbiamo noi, ammesso che ci si possa consentire il lusso di considerarsi etero senza dubitativi o fantasie e perversioni laterali? È una domanda da porsi in modo responsabile, oggi che la cosa pubblica prova a dare configurazione decoroso-dignitosa alla ben nota questione delle unioni civili. C’è una precondizione che forse è lecito porre: quanto del nostro privato, dei nostri conciliaboli, anche delle chiacchiere perse, insomma quanto del “noi” di tutti i giorni entra nel “noi” più politicamente corretto, quello che deve affrontare con un minimo di equilibrio la questione omosessuale? Temiamo che ci sia più di un disequilibrio, le due parti non combaciano, forse lo sbilanciamento è persino rilevante, ma nessuno ha davvero il coraggio di ammetterlo. Avviene per asimmetria antica, da storie antiche, discriminazioni antiche, racconti irrispettosi, barzellette, questioni familiari, razzismi conclamati, di cui siamo fatti, ognuno con la sua quota percentuale. L’obiettivo è quello di portare i nostri figli a disincagliarsi completamente da tutto questo bagaglio, abbandonarlo al suo destino, considerarlo semplicemente un incidente della storia. Ma per far questo, noi grandi certe cose dobbiamo dircele in faccia. Senza ipocrisie.
La prima grande, enorme, questione, è quella della maternità surrogata, volgarmente chiamata “utero in affitto”. Una questione che spaventa. Perché non considerarla un’infamia tout court, perché costringerci a chissà quali marchingegni del pensiero (debole) per poterne magari giustificare la pratica, perché non dovremmo affrontare il problema partendo da quello sfregio, fisico e spirituale, che viene inflitto alla donna, costretta a subire una schiavitù inaccettabile? Su questa questione il mondo omosessuale – dispiace dirlo – fa sentire troppo flebilmente la sua voce. Quando invece potrebbe urlare, denunciare, puntare il dito, smuovere le coscienze (non parliamo poi delle singole coppie eterosessuali a cui la pratica è cara, le quali ovviamente vivono unicamente il loro interesse privato). Il mondo omosessuale dovrebbe percepire che questo è un punto di una delicatezza estrema all’interno dell’altro mondo, quello eterosessuale, cattolico e non cattolico che sia, questo dev’essere ben chiaro.
C’è una “tensione” privata, che all’interno di una coppia diventa persino spirituale, che non può essere elusa. È la tensione straordinaria ad avere un figlio. La tensione ad avere un figlio, se non siamo premiati da una fecondazione assolutamente naturale, ha la necessità di un’asticella, che ognuno di noi pone a una certa altezza. Oltre la quale, misurarsi con la propria coscienza. È una misura – volendo lo possiamo anche chiamare limite – che per quanto riguarda la coppia uomo/donna la legge italiana cercò di definire con la sciagurata Legge 40, su cui la Corte Costituzionale è già intervenuta ben sedici volte. Quindi, immaginate la difficoltà. Si fissò un numero massimo di tre embrioni da impiantare, poi quel limite fu cancellato.
Quando si parla di maternità surrogata, c’è soprattutto un principio di uguaglianza da difendere. Un principio che è totalmente disatteso, calpestato, sfregiato. Qualche anima bella, qualche scrittorucolo da quattro lire, qualche intellettuale di complemento, ci racconta invece che il rapporto avrebbe un suo equilibrio perchè tutte le parti in causa hanno un interesse comune, pur se diverso: la coppia, l’avere un figlio, la madre naturale una condizione economica favorevole. Insomma, i soldi in cambio del suo dolore. Questo sarebbe il rapporto paritario, secondo qualcuno. C’è poi qualche anima superbella che mette addirittura in gioco senza vergogna un sentimento alto come il “dono”, come la massima estensione verso l’altro, come l’estrema comprensione del tormento altrui e di conseguenza il dono di sé verso l’altro. Un’estasi cristiana. Quando vi racconteranno questa cazzata, siete autorizzati a sputare in faccia al vostro interlocutore.
Una delle questioni centrali al cui il mondo eterosessuale dovrà darsi (e dare) una risposta e in tempi non biblici è quale valore assegnare alla parola «omosessuale», se stemperarne il valore semantico per come è malevolmente inteso da parte di certi ambienti, se procedere a larghe falcate alla Riunificazione degli opposti (apparenti), considerando che un giorno non si debba neppure più immaginare una vera e sostanziale differenza, se sia necessario uscire finalmente da quell’idea secondo cui, per riferirsi a un certo mondo, lo si debba considerare per forza di cose come una riserva indiana, come qualcosa al di fuori del corrente scorrere del tempo, insomma sempre come qualcosa o da difendere, da accusare, da discriminare, da esibire (anche con le migliori intenzioni). Non nascondiamo una certa sorpresa quando una persona di enorme slancio sociale come Pierfrancesco Majorino (in questi giorni minacciato da poveri mentecatti pseudonazionalisti), per sottolineare il tormentato percorso della legge sulle Unioni Civili scrive in una nota: «Vorrei nella mia Giunta un assessore espressione diretta del Movimento LGBT, una persona omosessuale (uomo o donna che sia)…».
Ecco quell’«uomo o donna che sia» è proprio il punto. Come se si appannassero totalmente le differenze tra l’uomo e la donna, che per fortuna esistono e che trasformano invece la vita in un meraviglioso affanno, e ci si sublimasse nella figura – asettica, quasi da laboratorio scientifico – dell’omosessuale, da offrire all’esterno in quanto categoria sociale e non più come persona viva, tormentata, allegra, lieve, in grado di essere vista e apprezzata dai cittadini per un sacco di sentimenti che vanno molto, molto, oltre il suo genere sessuale. E per arrivare al momento, questo sì scandaloso, che un assessore (presuntivamente) etero possa configurarsi come persona sensibile e capace di interpretare il mondo e le esigenze omosessuali. E viceversa, naturalmente, nel progetto rivoluzionario che un bel giorno nulla si debba precisare perché è già tutto ricompreso nell’uomo e nella donna.
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In copertina, l’assessore Pierfrancesco Majorino al Gay Pride Milano 2011,
foto di Alessio Baù, CC, via Flickr
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