Questioni di genere

Ma chi ha detto che le donne cattoliche devono essere carine e sottomesse?

26 Febbraio 2016

La visione di una donna che per essere pienamente tale deve “sottomettersi”, che da alcuni anni attraversa il mondo cattolico, è solo UNA interpretazione del ruolo della donna nella famiglia e nella Chiesa e, pur avendo preso piede in una fetta di fedeli, certo non è l’unica anche se ha avuto il palco del Family day per esprimersi. Si pensi solo alle parole che nel giugno scorso il Papa ha rivolto alle delegate della Conferenza internazionale cattolica delle guide: “Si tratta dunque di educare le ragazze non solo alla bellezza e alla grandezza della loro vocazione di donne, in un rapporto giusto e differenziato tra l’uomo e la donna, ma anche ad assumere responsabilità importanti nella Chiesa e nella società”, il contrario della sottomissione insomma.

Qualche tempo fa ho avuto occasione di assistere ad uno scambio all’interno di un gruppo formato da donne cattoliche che mi ha particolarmente colpita.  Una giovane moglie e mamma stava raccontando con angoscia di essersi trovata in una situazione difficile con il marito che era uscito con gli amici lasciandola a casa con il bimbo piccolo malato ed era rincasato tardissimo senza mai rispondere alle sue telefonate.

Una situazione tutt’altro che drammatica, ma che comunque a qualsiasi donna che ha un rapporto appena normale di reciprocità col proprio uomo farebbe ribollire il sangue, per cui sono rimasta spiazzata nel sentire che il tono dei commenti a questo suo sfogo era: “ma un uomo ha il diritto di divertirsi”, “tu non fargli pesare nulla, dovresti anzi scusarti per le telefonate che gli hai fatto”, “cerca di essere sempre carina e accomodante”. Davanti queste parole i miei sentimenti iniziali sono stati di rabbia e frustrazione, che presto hanno lasciato il posto allo sconcerto: quando è successo che noi madri e mogli cattoliche abbiamo rinunciato ad esigere un rapporto di reciproco rispetto con i nostri mariti?

C’è stato un tempo, e le nostre mamme lo ricordano bene, nel quale le donne si sono fatte forza ed hanno scoperchiato un sistema di sopraffazione maschile vecchio quanto il mondo, ma non per questo meno odioso. L’hanno fatto con i loro strumenti di allora e a volte, nell’inseguire la parità, hanno forse messo temporaneamente in secondo piano il fatto (pur sempre evidente) di essere diverse e complementari rispetto agli uomini, ma è stato un cammino fondamentale e del quale essere profondissimamente grate. Poi sono venuti gli anni della normalizzazione e noi 30-40enni siamo cresciute convinte di essere alla pari con gli uomini, almeno finché siamo andate a scuola, perché quando siamo entrate nel mercato del lavoro ci siamo accorte di essere invece ancora molto indietro. Nonostante questo siamo cresciute credendo nella parità e abbiamo costruito famiglie con ruoli genitoriali almeno in parte interscambiabili, cosa che ha permesso agli uomini di scoprire – forse per la prima volta nella storia – la gioia e la fatica della cura dell’altro, del piccolo. E ci siamo permesse anche di rimettere a tema il nostro modo di stare nella famiglia e nella società, legittimandoci a scegliere se essere lavoratrici, mogli, madri, o mogli e madri prima (e a volte piuttosto che) lavoratrici con libertà e consapevolezze nuove… per quanto possibile con i vincoli stringenti di un contesto socio-economico critico!

Intanto a partire dal Concilio Vaticano la Chiesa Cattolica parla del Matrimonio come «intima comunità di vita e d’amore coniugale » (Gaudium et Spes  48) «un luogo e un mezzo capace di favorire il bene delle persone secondo la loro vocazione. Per questo, il matrimonio non può mai essere considerato come una realtà che sacrifica le persone a un bene comune esterno a loro». Quindi la via indicata dalla Chiesa da sessant’anni ormai è quella di una relazionalità coniugale che edifica le due persone, rendendole pienamente se stesse. Ma quando in una relazione uno dei due è pienamente soggetto, con possibilità di scegliere, gestire i propri spazi e tempi, coltivare autonomamente la propria vita e l’altro lo è solo parzialmente perché non può esprimere i propri sentimenti e bisogni e dev’essere sempre pronto a tacere per evitare lo scontro,  allora l’asse del discorso si sposta dal riconoscimento delle differenze alla subordinazione. E la subordinazione significa concretamente diseguaglianza, mancato rispetto reciproco e mancata considerazione della dignità dell’altro. Andando un poco più a fondo: senza una grande, profonda considerazione della propria dignità e valore difficilmente è possibile creare una relazione paritaria e arricchente con chicchessia, tanto più con un partner. Quando la dinamica di coppia si sbilancia e uno dei due componenti rinuncia a far valere le proprie ragioni nell’ottica di una mal interpretata sottomissione paolina, sta di fatto venendo meno alla relazione, perché chi non partecipa con tutto se stesso (anche con i propri desideri, richieste, recriminazioni) sta facendo vacillare l’unione che crede così di salvare. Nell’inseguire l’ideale di un’assenza di conflitto che diventa rinuncia a sé, quella donna (perché si tratta sempre e solo della donna in questo modello) sta sottraendo verità al rapporto, sostituisce a sé la maschera artefatta dell’angelo del focolare, di cui non si conoscono pensieri e sentimenti,  e quindi esce dalla relazione autentica e profonda con l’altro. Se a questo aggiungiamo l’idea sottesa in alcune pubblicazioni recenti che il maschio sia fondamentalmente una creatura rozza che ha bisogno della donna-angelo per esprimere la propria pienezza e l’invito quasi strumentale a fare figli per cementare l’unione il quadro è completo. La paura del confronto diretto con l’uomo, che va guidato sottilmente attraverso una sottomissione in realtà manipolatoria,  era alla base della famiglia tradizionale, da cui lo slogan della nonna: “fai quello che vuoi lasciandogli credere che sia lui a decidere”, ora sembra tornare, spacciandosi per novità e sminuendo il cammino che ha portato le donne a prendere parola dentro e fuori dalle case.

Se questa fosse la realtà delle coppie e delle famiglie cattoliche in Italia avrebbero ragione quanti ci hanno bollato come medievali, ma fortunatamente il mondo cattolico non è compatto su queste posizioni e accanto alle donne sottomesse ci sono sempre più donne che studiano teologia portando il proprio contributo competente e originale al dibattito teologico, e uomini e donne credenti che scelgono di camminare insieme dando vita a famiglie che – pur con i loro limiti – sono spazi di crescita per entrambi e di apertura alla vita non solamente in senso procreativo. Ci siamo. Facciamo semplicemente meno rumore.

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