Questioni di genere

Lecoq, la storia di Gwendoline e tante ottime ragioni per devirilizzare il mondo

25 Maggio 2024

Titiou Lecoq, Piccola storia di Gwendoline e della tassa rosa
Attraverso il racconto della vita di Gwendoline, personaggio immaginario e rappresentativo della condizione femminile, Titiou Lecoq, scrittrice, giornalista e femminista francese mette in luce, con Perché le donne guadagnano meno degli uomini (Meltemi, traduzione di Nunzia De Palma), di cui pubblichiamo un estratto-, gli odierni meccanismi culturali, sociali, economici e istituzionali che contribuiscono da sempre a impoverire le donne. La storia semplice ma drammatica di Gwendoline rivela così la spietata realtà comune a moltissime donne: una condizione di perenne svantaggio e fragilità rispetto agli uomini, di cui l’autrice indaga le radici in profondità.

Gwendoline è quindi una consumatrice in fieri. Ma, per ora, sono ancora i suoi genitori che le comprano la maggior parte di ciò che desidera. E se non si sono resi conto che le danno meno soldi, si sono accorti che gli oggetti di Gwendoline costano di più di quelli di Gwendolino.
Per esempio, la sveglia rosa che voleva a ogni costo. Costava 5 euro in più dello stesso modello di colore blu. Tra l’altro, è probabile che la penna con le stelle per cui smania Gwendoline costi qualche centesimo in più di quella con i palloni di Gwendolino. Questo fenomeno ha un nome, è la tassa rosa. E con questa tassa rosa, o woman tax, Gwendoline dovrà misurarsi per tutta la vita.
Diventata adolescente, Gwendoline vuole comprarsi dei rasoi usa e getta per avere gambe morbide e glabre come la Venere che nasconde dentro. Bene, questi rasoi, che hanno la stessa forma e lo stesso numero di lame di quelli per uomo, sono più cari. Ma lei non ci fa attenzione perché ha 14 anni e l’unico pensiero che occupa il suo spazio mentale si riassume in “Morte ai peli”. In più, quasi mai la differenza di prezzo è enorme, a volte si limita a qualche decina di centesimi di euro. Ma c’è. Si possono trovare molte cifre sulla tassa rosa negli Stati Uniti, cifre molto diverse.

Secondo un’indagine dal titolo From Cradle to Cane, realizzata nel 2015 dall’ufficio Consumi della città di New York, i bastoni, le cavigliere ortopediche, le ginocchiere, le calze compressive e anche i prodotti di prevenzione dall’incontinenza hanno tutti un prezzo maggiorato se sono commercializzati per le donne. In particolare i prodotti e gli ausili ortopedici arriverebbero a costare fino a un 15% in più nonostante la confezione identica, salvo per una parola: “donna” o “uomo”.

Lo stesso accade per l’acquisto di un’automobile. Nel 2016 dei ricercatori dell’Università di Berkeley e della Columbia Britannica hanno svolto un’indagine che ha interessato più di 10 milioni di transazioni in tutti gli Stati Uniti e il Canada. Per ogni acquisto appariva il prezzo finale, l’età e il genere dell’acquirente. È emerso che le persone più anziane pagavano di più, ma ciò riguardava soprattutto le donne anziane, che pagavano in media 200 dollari in più.

A questo punto mi aspetto che mi si faccia notare che esiste anche il contrario, a volte gli uomini pagano più delle donne. Sì, è vero. Nelle discoteche. Ed è tutto, più o meno. In Francia, la questione della tassa rosa è diventata popolare nel 2014 grazie al collettivo Georgette Sand e al Tumblr Woman Tax, tuttora disponibile on-line, creato per pubblicare foto che testimonino la differenza di prezzo.

Scorrendo le foto, si può vedere una macchina fotografica giocattolo rosa a 49,99 euro accanto alla stessa in blu a 39,99 euro; una confezione di calzini neri misura 35-37 a 5,90 e gli stessi in misura 43-46 a 4,90 euro; contenitori rosa a 4,25 euro e contenitori blu a 3,64; o ancora la dichiarazione edificante di una persona secondo cui nella stazione di Rouen l’accesso ai bagni costa 50 centesimi per gli uomini e 70 per le donne.

La quantità di esempi è così sconvolgente che la rabbia ha cominciato a crescere. Nel 2015 il governo ha deciso di prendere in mano la questione. Per mettere fine al dibattito una volta per tutte, il Ministero dell’Economia ha patrocinato un’indagine, condotta dalla Direzione generale della concorrenza, dei consumi e della repressione delle frodi, la DGC-CRF (l’infinita poesia dell’amministrazione).
L’indagine ha interessato tre famiglie di prodotti – rasoi, deodoranti e creme idratanti –, venduti in 2.237 ipermercati e 5.250 supermercati. Conclusione: il fenomeno della tassa rosa non sarebbe stato attestato. O meglio, bisogna fare una precisazione. I prodotti per donne più cari esistono davvero. Ma la differenza di prezzo sarebbe sempre giustificata.

Ritorniamo ai rasoi usa e getta che Gwendoline ha trovato al supermercato Monoprix. Questa insegna ha spiegato che i rasoi per uomo si vendevano molto di più, cosa che permetteva di comprarli a un prezzo inferiore, e quindi di venderli a meno.
Altra spiegazione a questa tassa rosa: le campagne pubblicitarie mirate. Si fa più pubblicità per una crema cosmetica per donne che per una crema per uomini, e ciò comporta un aumento del budget per attività di marketing, che ha un impatto sul prezzo finale del prodotto. Logico.
Ma se si va un po’ più in profondità, ci si può domandare perché diavolo vendere separatamente dei prodotti identici se quelli destinati alle donne comportano un sovrapprezzo. Abbiamo veramente bisogno di confezioni diverse per commercializzare spazzolini? Qualche anno fa sono spuntati dei fazzoletti da uomo della marca Kleenex, come se esistesse un muco virile. (Erano semplicemente più grandi, in seguito sono stati ribattezzati “fazzoletti misura XL”.)

Questa mania si ritrova in particolare nei prodotti per l’infanzia. La ricercatrice statunitense Elizabeth V. Sweet ha analizzato il marketing di genere. Sweet mette in luce un paradosso.
Cinquant’anni fa, quando le donne avevano meno diritti, i giochi erano più neutri. In un catalogo americano del 1975 meno del 2% dei giochi era espressamente destinato ai bambini o alle bambine.

Oggi, i genitori potranno testimoniare, la proporzione si è ribaltata. La ricercatrice fa risalire questo cambiamento agli anni Novanta, quando si sviluppano i prodotti nati dalla marca Disney e, per le bambine, comincia il regno assoluto e incontrastato della principessa.
C’è un chiaro interesse commerciale. Elizabeth V. Sweet fa l’esempio delle biciclette. Avete due bambini, un maschio e una femmina. Potreste dare la vecchia bicicletta di Gwendoline a Gwendolino.
Ma ora che le bambine hanno delle biciclette rosa o con le paillette Frozen, la maggior parte delle famiglie preferirà comprarne un’altra. Questo fenomeno si chiama segmentazione del mercato. È ciò che accade con le due sveglie. Eppure questo non spiega perché il rosa sia più caro.
La mia ipotesi è che, inconsciamente, il maschile sia la norma. Ossia la sveglia blu è neutra. Basica. Mentre il rosa viene percepito come diverso, con un qualcosa in più, o un po’ fuori dai ranghi.

Essendo particolare si venderà meno e, per rimediare, il prezzo aumenterà. Dietro queste etichette di prezzo si ritrova quindi un’idea di norma e neutralità. Il prodotto di base non è mai quello rosa.
Perché il rosa è associato alla femminilità e la femminilità è la differenza. Il blu è più neutro perché il maschile è la norma. Questo è uno dei temi affrontati da Simone de Beauvoir nel libro Il secondo sesso, nel quale dimostra come il femminile, e quindi le donne, siano sempre percepite come gli Altri, le diverse, rispetto a una norma maschile, ossia il primo sesso. Questo fenomeno viene chiamato anche il maschile universale. Non solo le donne sono trattate come Altri, ma, in più, da un punto di vista economico, le si obbliga a pagare questa differenza. In tal senso, una tassa rosa esiste davvero. Man mano che cresce, Gwendoline comprerà sempre più prodotti di bellezza. Ebbene, in questo settore si applica un ragionamento di una semplicità diabolica. Perché vendere a 10 euro ciò che Gwendoline è disposta a pagare 15 euro?

Nella cosmetica i prezzi sono più alti perché le imprese ritengono che le donne siano disposte a investire più soldi in prodotti che servono a conformarsi agli stereotipi di genere. Una donna realmente femminile deve avere gambe senza peli, si stima che questo imperativo sia sufficientemente forte perché le consumatrici accettino di scucire.
E non finisce qui. In qualche parte, nel nostro cervello, c’è l’idea che la crema più cara sarà la più efficace. Nel 2017 la giornalista canadese Lili Boisvert ha riassunto questo fenomeno in un articolo per il sito Urbania: “La tassa rosa è, né più né meno, una discriminazione finanziaria che sfrutta la socializzazione sessista”. Ciò che costa davvero alle donne è la somma di tutte le ingiunzioni che pesano su di loro.

Ora che Gwendoline è adolescente, si vede brutta. O meglio, non esattamente. Si trova carina, ma pensa di essere troppo pelosa, troppo grossa qui, troppo magra là, il sedere troppo piatto, i capelli spenti, i pori della pelle troppo visibili. Ha orrore che le puzzino le ascelle, il sesso, i piedi. Ha un problema di pelle lucida, di brufoli, di occhiaie. Riassumendo, è un essere vivente. Ma lei, Gwendoline, pensa di avere dei complessi. E che la miglior maniera di sbarazzarsene non sia accettarsi, ma eliminarli. Allora Gwendoline s’imbarca in una grande guerra contro il proprio corpo, una guerra che durerà tutta la vita. E così facendo, partecipa inconsciamente a un immenso mercato economico. Il mercato della femminilità.

C’è qualcosa di sostanzialmente ingiusto. Si sostiene che le donne siano spendaccione, incapaci di resistere alla pulsione di acquistare. È un vecchio cliché misogino ancora invita. Prima si diceva che non controllavano l’utero, ora che non controllano la carta di credito. E, al tempo stesso, si pretende che per essere femminili si debba spendere.

Le stesse persone che fanno battutine su una donna che ha molti prodotti di bellezza in bagno si permettono dei commenti sul fisico di colei che si “lascerebbe andare”. Ci si deve uniformare agli stereotipi di genere, ma bisogna farlo naturalmente. Non si devono notare gli sforzi e i trucchi necessari. Eh beh no, non è naturale. Per la maggior parte delle persone ciò che è naturale è invecchiare, sudare, avere peli e smagliature. Allora, per conformarsi a questi diktat, si paga. E non poco. I prodotti di bellezza per il viso. Per i capelli. Per il corpo. Contro i peli. La cellulite. Idratanti. Dimagranti. Antietà. Tonificanti. Rimpolpanti. Rassodanti. Snellenti. Detox. Modellanti. Ringiovanenti. Purificanti. Esfolianti. Emollienti.

Gli interessi in gioco sono colossali. A questi si aggiunge la moda. Le scarpe. Le borse. L’intimo.
Per raggiungere o conformarsi a questa femminilità, bisogna spendere in trattamenti di bellezza, prodotti cosmetici e abbigliamento. Ossia trasformarsi in una Donna, questo essere con capelli brillanti e colorati, senza peli, senza rughe, senza smagliature, senza cuticole, dalla pelle perfetta, che irradia come se avesse ingerito una centrale nucleare, sempre elegante e alla moda, sofisticata ma che dà l’impressione di essere così al naturale.

Tutto questo vi svuota un conto in banca. Se smettessimo di truccarci, di ungerci di creme e seguire la moda, il sistema finanziario crollerebbe? Forse. Almeno risparmieremmo un bel po’. Ma non servirebbe a sfuggire alla tassa rosa perché la ritroveremmo anche nel settore dei servizi. A 17 anni, Gwendoline decide di tagliarsi i capelli corti. E, ancora una volta, paga più di un uomo. Non faccio il paragone con un taglio a spazzola, ma con un taglio corto maschile complesso quanto quello che vuole Gwendoline.

E la cosa funziona anche al contrario. Un uomo con i capelli lunghi paga meno di una donna con i capelli della stessa lunghezza. Lo ha provato la giornalista Esther Reporter in un video. Era andata in un salone di bellezza per farsi accorciare le punte. Poi aveva mandato un suo amico con i capelli molto lunghi. Entrambi avevano ricevuto gli stessi trattamenti, ma lui aveva pagato 34 euro, mentre lei 54. Non si tratta di un complotto dei saloni di bellezza per rubare i soldi alle donne, ma di qualcosa a cui non si è mai pensato. Si è sempre fatto così, non si è mai riflettuto sulla questione, quindi si continua in questo modo. Sarebbe possibile fare in modo diverso? Sì, ma non è facile come cancellare i prezzi sulla vetrina.

Uno dei primi saloni a cambiare le tariffe si trova a Parigi e si chiama Bubble Factory. La sua fondatrice racconta che, se si fosse limitata ad adattare il prezzo di un taglio corto femminile a quello di un taglio corto maschile, la sua attività non ce l’avrebbe fatta finanziariamente. Per arrivare a un equilibrio per l’impresa, si è dovuto ripensare tutto il sistema. Sono state create quattro tariffe: taglio corto, taglio lungo, taglio “trasformazione”, frangia. La messa in piega è un supplemento. Ha fissato le sue tariffe in modo da non rimetterci rispetto al sistema classico. Così, in maniera abbastanza logica, ciò che costa di più a Bubble Factory non è avere i capelli lunghi ma cambiare completamente taglio.

La tariffa trasformazione. È un buon esempio di come procedere per cambiare gli approcci tradizionali. Si possono pensare le cose al di là della rappresentazione uomo-donna, obbligandosi, quindi, ad affrontare le situazioni da un altro punto di vista. Consideriamo un universo che non conosco affatto: le tintorie. I lavasecco. Anche in questo caso, abbiamo delle informazioni provenienti dagli Stati Uniti. Il canale televisivo CBS News aveva fatto un test a New York. Un uomo, una donna, una camicia bianca. Stesso materiale, stesso taglio, cambiava solo la taglia. Risultato, la donna pagava di più. Succede lo stesso in Francia? Non avendo mai frequentato questi luoghi, non ne ho la più pallida idea. Vi lascio fare una prova vicino casa vostra, se volete. Aspetto le vostre conclusioni.

Gwendoline ha ormai l’età per prendere la patente. Viene bocciata la prima volta e supera l’esame alla seconda. Conclusione, paga di più. Mi direte che sarebbe bastato che guidasse meglio. Vero. Ma lo stesso ONISR non è del tutto d’accordo. E parliamo dell’Osservatorio nazionale interministeriale della sicurezza stradale, gestito dal Governo, non proprio un organo di propaganda femminista. Sul loro sito si può leggere che nel 2018 c’era una differenza di 10 punti in favore degli uomini sul buon esito dell’esame della patente.
Il 63% degli uomini aveva superato la prova pratica della patente B contro il 53% delle donne2. E l’Osservatorio riscontrava un paradosso: “Perché gli uomini superano meglio delle donne la prova pratica ma rappresentano l’86% delle persone morte al volante con meno di 24 anni (2015)?”.

Innanzitutto, sin dall’inizio della formazione, gli uomini pensano già che saranno promossi, a differenza delle donne. Inoltre questi stereotipi condizionano anche gli istruttori che notano una differenza a seconda del sesso nella maniera di guidare e l’associano a un fenomeno biologico. Così, interpretano gli errori e l’ansia degli uomini in rapporto alla situazione dell’esame e quella delle donne come il segno di una scarsa preparazione.
Di fronte allo stesso errore, gli istruttori tendono a pensare che le donne sono scarse e che gli uomini sono stressati a causa della prova. Questa faccenduola costa circa 1.600 euro alle donne e 1.450 agli uomini. Comunque sia, Gwendoline ha la patente e scopre l’universo delle officine. Il problema è che si domanda se il meccanico non la prenda per un’oca. E non è l’unica a nutrire questo terribile sospetto.
Secondo un sondaggio dell’IFOP del giugno 2021, l’89% delle donne intervistate pensa che il loro meccanico le consideri delle clienti facilmente raggirabili (contro il 71% nel 20085). E il 69% pensa che vengano considerate diversamente a seconda che siano sole o accompagnate. Ecco le impressioni delle donne.

Anche in questo caso il governo ha deciso di condurre un’inchiesta, guidata dall’SDFE, i cui risultati contraddicono totalmente l’impressione che hanno le donne. La situazione è quella di una persona che chiama un meccanico per l’avaria di un’automobile. La metà delle imprese fornisce lo stesso preventivo, che sia stata sollecitata da un uomo o una donna. Del 50% restante, il 37% fa un preventivo più basso se si tratta di una cliente. In questo caso, quindi, gli uomini pagherebbero di più.
Detto questo, ci si può domandare se la situazione di una donna in difficoltà non influenzi il risultato secondo il trittico: donna, difficoltà, soccorso. In Inghilterra è stato realizzato un test diverso. Non si trattava di aiutare qualcuno ma di cambiare la frizione di un’automobile. Sono stati contattati 182 meccanici in una decina di città. Le donne dovevano pagare in media 63 euro in più degli uomini – con grandi differenze a seconda dei luoghi.

Tutto ciò prova, prima di tutto, che è estremamente difficile studiare questa tassa rosa. Anche il fratello di Gwendoline, il diabolico Gwendolino, ha avuto la patente. Mentre a Gwendoline è sempre stato detto di essere prudente, Gwendolino è stato spronato a correre dei rischi. Sin da bambino lo si spingeva a saltare più lontano, più in alto. L’educazione al rischio impartita ai bambini si ritrova in seguito, in maniera lampante, nei comportamenti che riguardano la sicurezza stradale. Gli uomini rappresentano l’84% dei responsabili di incidenti mortali.
Si potrebbe pensare che la spiegazione stia nel fatto che gli uomini guidano di più. In realtà questi ultimi effettuano solo il 52,4% dei tragitti percorsi in auto. Eppure, all’origine del 90,7% delle condanne per guida senza patente e del 93% delle contravvenzioni per violazioni gravi al codice della strada ci sono uomini. Ecco perché per un po’ i prezzi delle assicurazioni auto erano più bassi per le donne. Aspettate, le donne quindi pagherebbero meno per le discoteche e le assicurazioni auto? Non proprio. Era così in passato. Le compagnie assicurative proponevano tariffe più basse alle donne. Ma figuratevi che dal 2012, grazie a una direttiva europea, la cosa non è più permessa perché si trattava di una discriminazione basata sul sesso.

Di fatto, le donne continuano a pagare meno degli uomini, ma perché guidano un po’ meno, utilizzano auto meno potenti e hanno incidenti meno gravi. Finora, la ricerca di parità tra donne e uomini è stata fatta a senso unico. Bisognava adeguare gli standard delle ragazze a quelli dei ragazzi, spingerle al loro livello. Invece, quello che dovremmo fare è devirilizzare il mondo, liberare i ragazzi dai modelli tossici che li spingono non solo alla violenza contro gli altri, ma anche contro sé stessi.  Quando si tratta di non ferire gli altri, comportarsi “da donna” dovrebbe essere un complimento, non un insulto. Nel mentre, Gwendoline è completamente all’oscuro di tutto ciò, ma ha già un piccolo ritardo finanziario rispetto a suo fratello. E la cosa non migliorerà col tempo.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.