Questioni di genere
Le Esperte e il filo di Arianna
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Diana De Marchi, consigliera comunale del Pd, Presidente Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Consiglio Comunale di Milano
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Le firmatarie e i firmatari della petizione “Le Esperte esistono”, apprezzano l’impegno preso dal Presidente del Consiglio Conte a seguito della mozione presentata ieri dalle Senatrici sulla necessità di integrare le task forces con donne esperte come chiedevamo con grande forza mista a indignazione. C’è stata una grande mobilitazione di diverse realtà con appelli e petizioni tra questi la nostra che abbiamo lanciato dopo che anche la Protezione Civile aveva pubblicato l’elenco dei componenti del Comitato tecnico scientifico: 20 uomini e zero donne! E tutto ciò in un Paese dove sappiamo che più del 70% del personale sociosanitario è donna, che è stata una donna a decidere di fare il primo tampone scoprendo che il Coronavirus era arrivato nel nostro Paese, che donne sono le 3 ricercatrici che per prime hanno isolato il virus in Europa, che per esempio le donne sono la maggior parte delle cassiere, che le donne con figli hanno dovuto aumentare gli equilibrismi quotidiani per affrontare l’emergenza e ora sono loro a rischiare di più la perdita del lavoro, ma questo non è stato sufficiente per vederle nella cabina di regia.
“Le Esperte esistono” ha raggiunto in pochi giorni più di 8.000 firme, forse anche grazie all’evidente esclusione di sistema delle donne dichiarata in modo trasparente dal capo della Protezione Civile Borrelli. Per giustificare l’imbarazzante assenza delle donne esperte ha dichiarato che non le ha chiamate, perché non c’erano donne con cariche rilevanti nelle task force, una risposta paradossale, poichè non ci sono donne con cariche rilevanti continuiamo a non dare cariche rilevanti alle donne, non sembra una circolarità perversa? Il soffitto di cristallo è diventato un labirinto senza via di scampo. La possibilità di trovare l’uscita non dipende dalle capacità e dalle competenze documentate e dimostrate sul campo da anni e nemmeno le buone leggi che abbiamo sono sufficienti. Nelle posizioni apicali le donne continuano ad essere pochissime.
Ecco perché vigileremo sulle parole coraggiose del Presidente del Consiglio per seguire la loro trasformazione in scelte che siano il segno non solo di un rimedio necessario, ma la consapevolezza che le capacità umane e professionali delle donne sono necessarie per affrontare quel cambiamento che speriamo sia motore di una nuova visione sociale e culturale. Non saremo come prima sentiamo dire e sappiamo che sarà così in ogni ambito. Un Paese diverso ha bisogno di un sistema diverso, un sistema nel quale quel prendersi cura di cui si sente il bisogno nella sanità, nella scuola, nel lavoro, nell’economia, nell’ambiente e che ha dato il nome all’intervento del Governo, sappia valorizzare e aprire l’uscita dal labirinto alle donne senza bisogno di richiami.
Nel nostro Paese c’e ancora un’arretratezza culturale per cui, nonostante tanti passi avanti importanti, il lavoro di cura è ancora affare di donne. Continueremo a costruire un Paese dove la condivisione del lavoro di cura non sia eccezionale. Proprio ora che si ragiona giustamente di come prendersi cura del Paese sconvolto dalla pandemia, le donne con le loro diversificate competenze professionali eccellenti devono esserci, non a sostegno ma alla guida di un cambiamento che riconosca il valore politico, sociale.e professionale del prendersi cura. Trasformiamo questa difficile condizione nell’occasione di un Paese diverso che non sottovaluti le proprie risorse, le donne, per ricostruire una società attenta, capace di riconoscere le donne che già hanno saputo dare risposte importanti troppo spesso nell’ombra, donne capaci di unire competenze e capacità di cura, necessarie per rispondere a nuovi e complessi bisogni.
Il lavoro di cura delle donne, mai valorizzato, ha garantito vita e qualità di vita all’ umanità. Ha, storicamente, affrancato i maschi dall’ impegno domestico e li ha lasciati liberi di cercare il successo e la realizzazione in altri ambiti, specie quello professionale. Le donne, anche le professioniste continuano a essere portatrici della cultura della cura e dello sguardo che la cura comporta. Lo coniugano ad esempio, in quelle soft skills che sono loro riconosciute: competenze trasversali, flessibilità, adattabilità, attenzione alle relazioni. Queste competenze giocano, anzi devono giocare un ruolo importante nel postpandemia e nella revisione degli assets che hanno dominato fino ad ora, se vuole un vero mutamento che non sia rammendo o ricomposizione con veste solo mutata di quanto già ha determinato le vite di tutti, donne e uomini. La cura del pianeta, delle risorse non più infinite, la cura dei cittadini e delle cittadine anche dal punto di vista della prevenzione sanitaria, la cura del patrimonio delle conoscenze e delle competenze… sembrano tutte necessitare di quel punto di vista femminile che ha nella cura primaria la sua matrice storica.
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