Famiglia

La violenza di genere: per uno schema paritario nella lotta agli abusi

1 Ottobre 2016

Nel 2011 Christophe Regina, storico della Université de Provence specializzato nella storia delle donne, pubblicò un libro pionieristico e coraggioso (e frutto di molti anni d’intensa ricerca) dal titolo La violence des femmes. Histoire d’un tabou social (Max Milo Éditions, Paris, 2011, volume che chi scrive ha recensito in “Società e Storia”, n. 145, 2014). I contenuti che Regina affrontava sono a mio parere – anche nel momento attuale – di straordinaria importanza.

L’autore tentava una difficile definizione della violenza nella sua dimensione storica e al di fuori delle classificazioni tradizionali, ritenute profondamente sessiste. Si spingeva però fino ai giorni nostri, cercando di approfondire dal punto di vista psicologico alcuni profili di donne violente, e di uomini vittime della loro violenza. Si interrogava al contempo sul trattamento sbilanciato riservato dalla giustizia agli uomini e alle donne aggressori.

L’autore affrontava insomma – di petto – un argomento rischioso e scottante, fraintendibile e dunque a forte rischio di contestazione, cosa che peraltro – naturalmente – non mancò di avvenire. Il suo tentativo esplicito, tuttavia, era quello di contribuire all’edificazione di una vera parità di genere che riconoscesse (studiandola) una specifica – e indipendente – forma di esistenza della violenza al femminile; non più osservata e definita secondo classificazioni maschiliste e dunque come “mascolina”, “vendicativa” o “generata da disturbi psichici” di varia natura, ma ritenuta capace al contrario di avere tratti, cause e modalità di espressione del tutto autonome. La stessa medicina, nei secoli, ha reiterato il pregiudizio della non-violenza delle donne – come scrivevo nella recensione poc’anzi citata – individualizzandone le manifestazioni violente in quanto le ha costrette sotto la tranquillizzante – per l’uomo e per la società – etichetta di trasgressioni imputabili alla follia o all’isteria, insomma a una patologia da medicalizzare. Se tenerezza, dolcezza e generosità sono caratteristiche associate tipicamente alla donna, la violenza non lo può essere, nonostante – quando non sia sistematica – possa essere considerata espressione di un sentimento altrettanto naturale. Al contrario, un termine come “aggressore” non prevede neppure un equivalente di genere femminile. È tale rifiuto di una specificità della violenza femminile che conduce a una de-contestualizzazione totale del gesto, che viene semmai presentato come la caricatura volgare di un atto virile, al pari di quanto avviene nelle più rozze raffigurazioni delle coppie e dell’amore lesbico.

Ecco perché Regina, in questo tentativo di sovvertire le letture stereotipate dell’esistente, analizzava invece l’evoluzione storica di figure come la donna delinquente e, parallelamente, la sempre più diffusa figura dell’“homme battu”, dell’uomo vittima di violenza domestica. Una figura ancora priva di un vero riconoscimento sociale proprio perché rompe il doppio stereotipo maschilista dell’uomo forte e dominante e della femmina-vittima. Eppure, nel presentare la sua pregevole opera di carattere storico Regina ha dovuto difendere il suo studio dalle accuse di anti-femminismo e di polemicità, ma questo tentativo ha contribuito a far emergere interrogativi di enorme interesse. I binomi aggressore/vittima, mascolino/femminile, dominante/dominato sono sovrapponibili, e riflettono allo stesso modo un dominio di genere che forse potremmo iniziare a contestare. La violenza femminile, insomma, è sempre – agli occhi dei più – ridotta a pura forza d’opposizione all’oppressione e ai maltrattamenti di cui la donna può essere stata oggetto nel quadro della coppia: una lettura appiattita sullo schema dominante/dominata. Una lettura che, naturalmente, non è sempre inesatta, ma che eretta ad assioma diviene strumento di dominio e controllo. Il riconoscimento alle donne di una loro autonoma possibilità, e capacità, di praticare “violenza” rappresenta il punto di partenza fondamentale per il raggiungimento auspicato di una vera parità ed uguaglianza. Solo abbattendo il mito dell’uomo “grand ordonnateur de la violence” – come si esprimeva Regina – e della donna sempre e comunque “vittima” riusciremo a spezzare tale paradigma maschilista e sessista, contribuendo efficacemente alla lotta contro il suprematismo e la violenza di genere.

*la foto di copertina è di Nicola Gambetti

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