Questioni di genere
La crociata contro un fantasma: la falsa battaglia contro la teoria del genere
Alla fine è passata in Commissione parlamentare, firmata da tutta la maggioranza, la risoluzione della Lega per dire “Basta alla propaganda gender nelle scuole!”
Questo il commento del deputato leghista Rossano Sasso, capogruppo in Commissione Cultura e primo firmatario ha commentato: «Abbiamo ribadito il nostro NO al tentativo di coinvolgere bambini di sei anni in una deriva ideologica che non ci piace». Immagino gli applausi scroscianti e le pacche sulle spalle.
Mettiamo un po’ di ordine alle idee, partendo brevemente dalle basi: la differenza tra sesso e genere.
Il sesso si riferisce alle caratteristiche fisiche e biologiche che definiscono un individuo come maschio o femmina. È determinato dai cromosomi sessuali, dagli organi sessuali e dai caratteri sessuali secondari e viene assegnato alla nascita in base ai caratteri sessuali visibili.
Il genere si riferisce alle caratteristiche psicologiche, sociali e culturali associate a mascolinità e femminilità; è costruito socialmente e varia nel tempo e nelle diverse culture. Non è un costrutto binario (maschio/femmina), ma può essere fluido e comprendere una vasta gamma di identità, come non-binario, transgender, genderqueer, ecc. In una società basata su una sostanziale differenza sessuale, il genere definisce i ruoli, le aspettative e i comportamenti considerati appropriati per uomini e donne in una determinata società.
Ora facciamo un passo avanti: le espressioni “gender” e “ideologia gender” sono locuzioni create dal Vaticano negli anni 90 per demonizzare il crescente numero di persone che faceva coming-out, ma non esiste una teoria del “gender” univoca e riconosciuta dalla comunità scientifica. L’ideologia gender risulta quindi un termine ombrello utilizzato per attaccare le ricerche sugli Studi di genere e viene spesso usato per diffondere paure e allarmismi, e per screditare le persone LGBTQ+ e chi le sostiene.
Ci tengo a chiarire un punto fondamentale: i Gender studies non negano l’esistenza delle differenze biologiche tra uomini e donne, ma si concentrano su come queste differenze sono interpretate e vissute a livello sociale e culturale. Nascono con l’obiettivo di esaminare come le disuguaglianze di genere si manifestano in diversi ambiti della vita, dal lavoro alla famiglia, dalla politica alla cultura. Mettono inoltre in discussione gli stereotipi di genere e le norme sociali che limitano le possibilità delle persone in quanto individui.
Tutto questo per dire che, di fronte all’allarmante incremento annuo dei femminicidi, che evidenzia un problema sistemico radicato in una cultura patriarcale, a cui si aggiunge la paura per molte persone LGBTQ+ di dover nascondere la propria identità e di subire violenza (il suicidio di un 33enne dei giorni scorsi è una testimonianza straziante delle conseguenze di un’omofobia che priva le persone del diritto di vivere e di amare liberamente), forse sarebbe più proficuo analizzare criticamente le teorie di genere e introdurre un’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, anziché demonizzarle con semplificazioni eccessive, offrendo così una visione completa e aggiornata dei temi legati diversità ed inclusione.
Come è facilmente intuibile, non esiste alcuna evidenza scientifica che colleghi l’educazione alle differenze di genere allo sviluppo di una propensione all’omosessualità (che, ricordiamolo tuttə, non è una malattia!); anzi, l’educazione alle differenze di genere promuove la consapevolezza di sé, il rispetto per le altre persone e la capacità di costruire relazioni sane.
Ancora una volta i problemi reali rimangono irrisolti, mentre la politica si perde in sterili dibattiti e inutili lotte ideologiche. Ancora una volta in nome di ideologie senza fondamento, si sacrificano i valori fondamentali del rispetto e della convivenza civile. Questa cecità causa conseguenze tanto negative quanto imprevedibili sulla vita di tuttə, contribuendo al mantenimento di una società basata su incomprensioni e intolleranze.
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