Benessere

“In Italia chi applica la 194 non fa carriera”

3 Aprile 2017

Dal 1978 sono trascorsi ormai quattro decenni ma il diritto all’autodeterminazione della donna, conseguenza della legge 194 sull’interruzione di gravidanza, sembra tutt’altro che assodato. L’Italia ha ancora una percentuale di medici obiettori di coscienza troppo alta, quasi l’80%, una delle più elevate d’Europa. In alcune regioni abortire è talvolta quasi impossibile. Di fronte a questa drammatica negazione dei diritti delle donne a potere decidere del loro corpo, della loro vita sessuale e riproduttiva, e davanti all’inattuazione sistematica di una legge dello Stato, la politica si è spesso dimostrata sorda, proseguendo in una posizione antistorica, influenzata da diktat oscurantisti. In un simile contesto, il richiamo a uno Stato laico diventa oggi più che mai necessario.

Ne parliamo con Maria Novella De Luca, giornalista di Repubblica da sempre attenta a questa tematica: la giornalista sarà, insieme ad Angela Balzano, una delle relatrici dell’incontro “Obiezione di incoscienza”, venerdì 21 aprile, nell’ambito delle Giornate della laicità di Reggio Emilia.

A che punto è l’applicazione della legge 194 in Italia?
Si tratta di una legge in gran parte disattesa e ignorata. Ci sono intere regioni oggi in Italia dove mancano i reparti di interruzione volontaria di gravidanza, e le donne per abortire sono costrette a migrare di ospedale in ospedale con il serio rischio di superare i termini previsti dalla legge. A parte alcune regioni virtuose, Emilia Romagna e Toscana ad esempio, ma anche la Lombardia, nel resto d’Italia sono sempre meno gli ospedali che assicurano il servizio. Con la conseguenza che i pochi ospedali dove i ginecologi non sono tutti obiettori di coscienza, sono costretti ad accettare pazienti che arrivano da ogni parte del Paese. Nel Lazio, dopo la chiusura di quasi tutte le strutture per l’Ivg, l’unico polo rimasto è il “San Camillo” di Roma, dove ogni giorno si presentano all’alba almeno il doppio delle donne che la struttura riesce ad accogliere. Donne che quindi devono tornare nei giorni successivi. Invece, purtroppo, buona parte di queste non torna, finendo, si sospetta, nei circuiti dell’aborto clandestino.

Lei ha intervistato diversi medici non obiettori, e spesso hanno parlato di ostilità o boicottaggi a causa della loro scelta. Che prezzo paga chi pratica l’aborto e cosa ci guadagna invece chi fa obiezione di coscienza?
I racconti dei medici abortisti sono spesso racconti di trincea. Perché negli ospedali italiani, e in particolare in regioni dove la sanità cattolica è molto forte, chi applica la legge 194 non fa carriera. Chi fa aborti è spesso costretto a fare solo e soltanto aborti, visto che l’enorme numero di obiettori di coscienza rende impossibile abbandonare il reparto di Ivg. Niente ferie, niente riposi. E niente carriera, appunto. Un prezzo altissimo per difendere le donne. Mentre, al contrario, chi obietta, ha accesso a tutte le altre specialità della ginecologica.

Recentemente, la decisione dell’ospedale San Camillo di pubblicare un bando per non obiettori, ha riaperto un dibattito politico sull’opportunità di garantire posti ai medici che praticano l’aborto. Le critiche sono state numerose. Che responsabilità ha la politica nell’applicazione, o meglio nell’inapplicazione di una legge fondamentale per garantire i diritti della donna?
La politica ha un ruolo fondamentale, come dimostra il caso, virtuoso, della regione Lazio. Ma la politica invece fin dalla sua nascita ha sempre cercato di boicottare l’applicazione piena della legge 194. E l’attuale ministra della Sanità non fa eccezione, affermando che nonostante l’elevatissimo numero di obiettori di coscienza, in Italia è possibile ovunque effettuare le Ivg, visto che il numero degli aborti è in costante calo. Affermazioni smentite dalle associazioni che difendono la legge, secondo le quali invece sono i dati del ministero ad essere incompleti. Vengono conteggiati infatti i numeri degli aborti che vengono effettuati, ma non il numero delle donne che ogni giorno vengono respinte. Insomma l’attacco alla legge 194 è continuo e costante, sono decine i disegni di legge che propongono di abolirla o quantomeno di depotenziarla ulteriormente. Dunque non si può abbassare la guardia.

Nel dibattito sulla 194 si parla spesso di diritti del medico obiettore, come se i diritti delle donne fossero invece meno importanti. Molte delle importanti conquiste fatte  negli anni Settanta rischiano di essere perse per strada, spesso a causa di questioni di convenienza e politici poco laici. Quanta strada rimane perché l’Italia diventi davvero un paese per donne?Molto è stato fatto, ma la strada è lunga. Oggi abbiamo sempre più donne in posizione di vertice, nella politica come nelle aziende. E c’è un nuovo e impetuoso movimento femminista che si sta riorganizzando, come dimostrano le grandi manifestazioni degli ultimi mesi e lo sciopero delle donne dell’8 marzo scorso. Quello che manca, invece, sono i diritti fondamentali e quotidiani: il lavoro, la conciliazione, la parità salariale, l’accesso al welfare. E il numero impressionante di femminicidi ci ricorda quanto la conquista della libertà femminile suoni ancora come un affronto per i maschi violenti. Oggi nel nostro paese il vero diritto di scelta appartiene ancora ad una minoranza di donne, che possono contare sulla propria autonomia economica e culturale. Assistiamo invece a nuove forme di segregazione, se pensiamo ad esempio ad alcune comunità di donne migranti. La Storia, insomma, è ancora tutta da scrivere.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.