Medio Oriente
Il sorriso «sospetto» di Federica Mogherini
Può il sorriso di una donna diventare la base per una critica che poi, inevitabilmente, sui social si trasforma in una slavina violenta e volgare?
Ci aveva provato qualche tempo fa l’allora vicepremier turco Bülent Arınç, secondo cui le donne non dovrebbero ridere in pubblico, essendo il loro sorriso sintomo di regressione morale. Gli uomini invece possono ridere senza subire particolari fardelli morali.
Giulio Meotti, giornalista del «Foglio» particolarmente attivo nel sostegno alla destra israeliana e dall’accusa di antisemitismo piuttosto facile, pubblica sul suo profilo Facebook una fotografia di Federica Mogherini, Alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri e per la sicurezza, il cui sorriso suscita, ai suoi occhi, profondo sospetto. «Quando si dice le foto valgono più di mille parole – dice Meotti –: Federica Mogherini che sorride mentre dice a Benjamin Netanyahu di “tenersi le aspettative per gli altri” perché gli Stati membri della UE non trasferiranno mai le loro ambasciate a Gerusalemme».
Fingendo di non sapere che Mogherini non parla a titolo personale ma a nome dei paesi membri dell’Unione Europea, e che all’incontro con Netanyahu avevano partecipato anche i ministri degli Esteri dei 28, l’ha accusata di scarsa empatia per gli israeliani e perfino per gli ebrei (accusa tra l’altro falsa: nella stessa giornata Mogherini ha denunciato gli attacchi antisemiti in Europa e non ha dimenticato la festa di Hanukkah). È abbastanza tipico di Meotti e di Netanyahu usare in modo interscambiabile i termini “ebreo” e “israeliano”: il premier di Tel Aviv ne ha dato incredibile prova quando, nel corso della stessa conferenza stampa, ha sostenuto (sorridendo, ma negli uomini il sorriso è meno sospetto) che Gerusalemme è capitale di Israele perché così è scritto nella Bibbia. Un riferimento che ha un senso per giustificare il legame personale di ciascun ebreo con la Città Santa, ma pericoloso se diventa uno strumento della politica. Immaginiamo che cosa accadrebbe se nella diplomazia internazionale prendesse piede l’uso di riferirsi al proprio Libro sacro per legittimare le proprie scelte o richieste politiche e per alzare un muro di fronte all’interlocutore: c’è già qualcuno che lo fa, con conseguenze devastanti.
Il post di Meotti si è rivelato un’esca per gli squali: sicuramente non era nelle intenzioni del giornalista, ma è un fatto che egli non sia intervenuto con la stessa solerzia e rapidità con cui denuncia quelli che a suo giudizio sono gli innumerevoli nemici di Israele, compresi tutti gli ebrei ostili al Likud. I suoi commentatori si sono scatenati negli insulti a Mogherini: «bastarda», «musulmana» (per costoro è un insulto), «schiava», «cancro e sla» (chissà se l’autore di queste volgarità ha mai conosciuto un malato di cancro o di sla), «antisemita», «merdaccia», «rifatta», raccomandata da Renzi (una donna non fa mai carriera da sola, va da sé, ha bisogno di una spintarella), e così brutta che non potrebbe nemmeno fare la prostituta, se non tra i musulmani che secondo i commentatori sono di bocca buona.
Meotti non ha mai usato espressioni volgari di questo tipo. Ma non ha stigmatizzato i suoi fanatici seguaci, né ha cancellato i loro commenti, che dopo 24 ore ancora campeggiavano e, anzi, erano aumentati. C’è davvero bisogno di questi strumenti per far valere le proprie idee?
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