Questioni di genere
Il ruolo delle donne tra quarantena e politica
Fiammetta Martegani to Susan Dabbous
Carissima Susan,
come stai?
I contagi, lentamente, in Italia come nel resto del mondo, incluso Israele da dove ti scrivo, stanno calando.
Stiamo entrando nella cosiddetta “Fase 2”, di cui tutti parlano ma di cui in realtà, persino tra i diversi governi, nessuno sa davvero come muoversi, mentre nel frattempo i giorni in quarantena passano uno dopo l’altro (ci siamo quasi abituati) senza però alcun barlume di certezza su nulla, persino su quando, per esempio, riapriranno le scuole.
E in tutto questo, dove stanno e cosa fanno le donne?
Si barcamenano tra il proprio portatile (se hanno la fortuna di avere ancora un lavoro), quello usato per l’home schooling dei propri figli (che spesso è persino lo stesso con cui dovrebbero lavorare), la cucina, che per fortuna (o sfortuna) a causa della dimensione delle case nella nostra epoca coincide anche con il salotto (l’attuale luogo di lavoro) e il kindergarten, in cui vengono improvvisati, di volta in volta, performance teatrali, corsi di cucina o, come nel mio caso, lezioni di calligrafia giapponese direttamente da Tokyo grazie alla magica tecnologia (quando funziona) di Zoom, che mi permette di assistere in modalità muta mentre mio figlio, con l’inchiostro nero che io dovrei usare per dipingere mantra zen, (ri)dipinge i muri di casa.
Ma in tutto questo, dove stanno le donne nel policy making, che potrebbe avere importanti conseguenze nella nostra vita quotidiana oltre, banalmente, evitare, alla fine dell’epidemia, un gran numero di divorzi?
Salvo alcune eccezioni che non fanno che confermare la regola (mi riferisco, in ordine precisamente alfabetico, a: Belgio, Danimarca, Germania, Finlandia, Islanda, Nuova Zelanda, Singapore e Taiwan) nel resto del mondo la gestione, nazionale e internazionale, della pandemia, è stata lasciata completamente nelle mani degli uomini. E non mi riferisco solo al ruolo di Premier, ma anche alle task force organizzate appositamente per l’emergenza sanitaria, come succede per esempio in Italia, dove 20 membri su 20 sono, esclusivamente, uomini.
Statisticamente, per altro, sembra che la gestione delle misure di sicurezza e della cura del virus nei paesi guidati dalle donne sia andata molto meglio laddove erano le donne alla guida del paese. Salvo l’eccezione del Belgio, dove, invece, i numeri confermerebbero il contrario. Ma forse mi sbaglio.
Tu che in Belgio ci vivi, come giudichi l’operato della vostra Prima Ministra? Ma, soprattutto, come donna, donna in carriera e al tempo stesso madre e moglie, come la vedi tutta questa storia?
Susan Dabbous to Fiammetta Martegani
Carissima Fiammetta,
La politica belga è generalmente considerata tanto eccitante quanto una passeggiata in pianura. In questo paese, dove i problemi non mancano, non ci sono però grandi drammi sociali. Per intenderci: una famiglia a basso reddito, o zero reddito, qui in Belgio vive molto meglio che in Italia, in Francia o in Israele. Ti spiego questo per dire che, a parte un unico episodio di violenza, finora durante il periodo di lockdown è andato tutto, relativamente, bene. La ministra (per caso) Sophie Welemès, è promossa con buoni voti. Il numero drammatico delle morti da Covid-19 in Belgio non è certo riconducibile a lei bensì, come in altri Paesi, alla penetrazione del virus nelle case di riposo per anziani. In quanto donna, le sono infinitamente grata per la decisione di riaprire le scuole il 18 maggio, perché la prospettiva italiana di riaprire la scuola a settembre la trovo a dir poco scellerata, offensiva, e pericolosa. Permettere ai bambini di tornare scuola anche solo per poche ore a settimana, a rotazione, sarebbe stato un bel gesto: per i genitori, per dare un segno di normalità ai propri figli e perché, anche se poco, è meglio dello zero assoluto.
Ti dico di più. Durante questi giorni di confinamento (che dovrebbe finire il 4 maggio, anche se solo gradualmente), le scuole in Belgio hanno continuato a garantire un servizio di tutela per i bambini di famiglie i cui genitori dovevano uscire di casa per lavorare e non avevano alternative, sia in delle strutture apposite, sia a domicilio. Certo, parliamo di numeri esigui: figli di poliziotti, medici, conducenti dei trasporti e altre categorie specifiche . Ma non c’è mai stato da parte dell’amministrazione pubblica un atteggiamento del tipo: ora chiudiamo tutto, buonanotte e arrivederci a settembre. La gestione della crisi al maschile secondo me, in generale, nel mondo, ha lasciato grossi vuoti. Sempre per tornare ad un ottimo esempio femminile, finora l’unica ad essersi scusata per aver sottovalutato la gravità del coronavirus è stata la presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen. E gli altri? Si sono davvero resi conto dello tzunami che stava per scatenarsi sull’Europa? E in Israele e in Palestina, cosa si dice a riguardo delle responsabilità?
Fiammetta Martegani to Susan Dabbous
Susan cara,
come ben sai, storicamente, sia in Palestina che in Israele, a governare sono sempre stati uomini, salvo l’unica eccezione di Golda Meir, che per altro di femminile aveva ben poco.
Sono quasi certa che se a governare questi paesi fossero state delle donne, forse ora, e non mi riferisco solamente alla gestione del Covid19, non ci troveremmo nella situazione in cui siamo.
Ma a parlare del conflitto arabo-israeliano di rischia di aprire un vaso di pandora. Mentre io vorrei soffermarmi ad analizzare la questione di genere, visto che, Medioriente a parte, nella maggior parte delle democrazie sono quasi sempre gli uomini a governare in politica e ai piani alti delle grandi compagnie e istituzioni, che si tratti di un Paese, una multinazionale, una banca o un museo.
E così, quando ci si trova in quarantena, anche se a lavorare sono entrambi i genitori, spesso è la madre che si trova, come la dea Kali dalle 6 braccia, a fare da manager, consulente elettronico, cantante, cuoca, lavatrice e lavastoviglie.
Proprio l’altro giorno, parlando con una mia carissima amica che si occupa di femminismo e entrepreneurship, ci siamo chieste se non sia un caso che, quando una donna riesce, finalmente, ad avere una posizione di successo come quella equivalente ai propri colleghi uomini, nel 90% dei casi è single e senza figli. La domanda da un milione di dollari è questa: se, per una donna, è necessario rinunciare alla famiglia per fare una carriera di un certo tipo o se, solo una donna che non ha una famiglia a cui badare, ha il tempo necessario per investire le proprie energie 24/7 in questi tipi di carriera, come fanno, per esempio, i suoi colleghi uomini che, però, quando tornano a casa, hanno una dea Kali che li aspetta?
Susan Dabbous to Fiammetta Martegani
Carissima,
questa è la domanda delle domande. Ci sono donne in politica altamente capaci che hanno avuto un numero considerevole di figli. Ritorno alla Von Der Leyen che di figli ne ha sette, certo immagino ormai grandicelli. Non so se sia una questione di genere, ceto sociale e tempra personale messi insieme (io non riesco a mandare una email con due nani alle calcagna figuriamoci a governare un’istituzione). Di sicuro il lockdown in questo momento sta falciando milioni di posti di lavoro “femminili”: tipicamente precari e solitamente meno pagati di quelli maschili. Ma parliamo per una volta di noi, cosiddette donne “normali”, non a rischio di povertà o violenze domestiche, perché solo di loro si è parlato, in questi giorni, nei media.
Ecco: le donne cosiddette “normali” in questi giorni stanno sostenendo un peso enorme ed ho sentito pochi grazie da parte di chi ci governa ed ha imposto queste discutibili restrizioni (vai a capire se tutte necessarie). Sarebbe bello, invece, sentire dei “grazie”. Ad esempio:
Grazie per il vostro lavoro incessante che ora dura 16 ore al giorno, invece di otto.
Grazie per esservi trasformate in cuoche, insegnanti, impiegate e colf nella stessa giornata.
Grazie perchè state facendo qualcosa che le vostre valenti mamme e nonne non hanno mai fatto: tutte queste attività allo stesso tempo. Neanche in tempi di guerra quando i bambini potevano comunque giocare nelle campagne e nei cortili dei palazzi.
Conosco donne e uomini che, in queste settimane, fanno turni divisi in tre scaglioni per intrattenere bambini e lavorare allo stesso tempo, a turno lavorano 6 ore la mattina e altre tre la sera dopo cena. Il risultato? una stanchezza sovrumana. E guai a lamentarsi in un periodo in cui forse di lavoro, con la recessione in arrivo, non ce ne sarà per tutti.
Credo che in questo periodo la “regressione” femminile sia solo momentanea e spesso, accompagnata da un grande sostegno maschile, perché, non dimentichiamolo, anche gli uomini stanno lavorando da casa e stanno facendo il triplo delle cose che erano abituati a fare. Ma con molta probabilità loro avranno un lavoro a cui tornare, mentre noi, generalmente più precarie, nel frattempo, potremmo averlo perso. Dovrebbe essere questo uno dei temi da affrontare anche sul piano politico. Perchè fare la dea kali a casa, purtroppo, non solo non è gratificante ma neanche remunerativo. Chi ci ha sovraccaricate di compiti in questi giorni secondo me si è fatto molto male i conti. Quante donne da qui a settembre con le scuole chiuse potranno rinunciare ai loro progetti come freelance per stare dietro ai bambini? Vorrei tanto avere delle statistiche su questo.
Spero davvero di sbagliarmi, e con questa speranza e domenica ancora tutta da vivere ti saluto mia cara e ti auguro un buon inizio settimana, Un’altra, e spero l’ultima, di lockdown.
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