Legislazione
Il pdl Nanni contro le discriminazioni omo-lesbo-bi-transfobiche
Come l’acqua del mare avanza e si ritira ogni giorno a causa delle maree, trasportando con sé oggetti, legni e alghe che vengono abbandonati sulla spiaggia, così i disegni di legge contro le discriminazioni legate agli orientamenti sessuali o all’identità di genere sono sotto i riflettori dell’opinione pubblica, o rimangono nel limbo della semi oscurità, in funzione delle azioni della politica e dei sui tempi biblici. Nei periodi di luce e di fermento politico, i media trasportano le storie dolorose di tante persone la cui dignità è calpestata a causa di vecchi retaggi culturali del passato, imbevuti di stereotipi di genere tanto radicati in alcune persone quanto difficili da estirpare. Nei periodi di oscurità mediatica le medesime storie continuano a caratterizzare il vissuto di tanti concittadini, relegate però nell’oblio della coscienza collettiva. L’unica differenza infatti sta nell’altalenante attenzione dell’opinione pubblica verso le persone oggetto di discriminazione, perché la vita delle persone discriminate è sempre la stessa.
In tanti casi quella della gente non è semplice attenzione, ma sincero interesse, ad esempio nei confronti delle persone transgender perché i percorsi di genere sono ancora poco conosciuti, o sdegno per i tristi episodi di discriminazione che accadono con cadenza purtroppo regolare. Posso infatti testimoniare che in Italia c’è un’ampia parte della popolazione che non ha alcun pregiudizio verso chi si riconosce nel mondo LGBT+ e, parlando con queste persone, si avverte in loro una convinzione solida e profonda. Non ritengo però che sia da incolpare chi si interessa al tema delle discriminazioni verso il mondo LGBT+ a fasi alterne, perché non è responsabilità dei singoli cittadini farsi carico della promulgazione di leggi che tutelano maggiormente queste minoranze, ma è compito della politica. Del resto è normale che siano i media a indirizzare i temi verso i quali si focalizza l’attenzione della gente.
Nella mia esperienza di donna transgender, ho capito che nella nostra società l’assenza di pregiudizi verso le persone LGBT+ è distribuita a macchia di leopardo: chi, come me, ha la fortuna di interagire con il gruppo sociale inclusivo, potrebbe essere erroneamente portato a credere che in Italia non esiste un grave problema di discriminazione perché le sue relazioni interpersonali sono tutte caratterizzate da una sostanziale normalità. Normalità, in questo caso, significa essere giudicati per tutto quello che si è, tranne che per le proprie inclinazioni sessuali o per il percorso compiuto per affermare la propria identità. Significa essere apprezzati e stimati per quello che di valido sappiamo esprimere o ovviamente criticati, ma solo per i nostri lati negativi, non per la nostra affettività. Anzi, a me capita sovente, conoscendo persone nuove che spesso chiedono e mostrano sincero interesse verso il mio percorso, di ricevere attestazioni di stima per il coraggio dimostrato nell’essere stata capace di affermare la mia identità.
Quando poi leggo sul giornale la cronaca di miserabili o tragici episodi tipici dell’altra normalità del nostro paese, quella predominante nelle sacche sociali in cui prevalgono le discriminazioni, l’odio, il giudizio basato esclusivamente sugli stereotipi, mi chiedo se il mondo in cui vivo io sia reale, se il periodo storico sia esattamente lo stesso, se la nazione sia la medesima. Tragicamente la risposta è affermativa: sì, cara Sonia, tu sei stata fortunata (almeno per ora, ma non dimenticarti di stare sempre in guardia…), ma basta cambiare quartiere della stessa città o ambito lavorativo, che si viene catapultati in uno spazio-tempo dove le regole sono completamente diverse. Qui non ti stimano per il coraggio che hai dimostrato nell’affermare la tua identità, ma ti cacciano fuori casa perché sei la vergogna, l’onta della famiglia. Qui rischi di finire al pronto soccorso se hai la sventura di incontrare per strada le persone sbagliate. Qui perdi il lavoro appena c’è una qualunque scusa per licenziarti. Qui sei una persona indegna, miserabile.
Italia, aprile 2021. Già, è proprio la società di adesso, ancora squassata fino alle fondamenta dall’emergenza pandemica, ma il covid con le discriminazioni non c’entra proprio niente. Quello che c’entra è tutto quello che non è stato fatto nel passato: corretta informazione, dialogo, ascolto, tutela delle persone fragili (nel caso specifico quelle che si riconoscono in qualche modo nella comunità LBGT+). Questo è proprio tutto quello che la Politica, scritta volutamente con la lettera maiuscola, dovrebbe promuovere in ogni ambito sociale per accompagnare le persone, ancora imprigionate in vecchi retaggi culturali ormai del tutto anacronistici, a demolire poco per volta le barricate che hanno eretto per proteggersi da quello che evidentemente non capivano, ma che le spaventava, e scoprire che dall’altra parte del muro ci sono persone esattamente come loro: alcune fragili e altre tenaci, alcune talentuose e altre mediocri, alcune affascinanti e altre insopportabili. È infatti solo il dialogo non schermato da pregiudizi che permette di stabilire un legame con chi sentiamo simile a noi, similitudine basata sulla comunanza degli interessi e sulla scintilla spesso irrazionale che accende un legame profondo tra due esseri umani, che però non ha nulla a che vedere con chi possiede la chiave per accedere ai nostri sentimenti.
Per tutti questi motivi sono convinta dell’importanza delle leggi che tutelano le minoranze LGBT+ e che, allo stesso tempo, promuovono il dialogo tra le persone. A livello nazionale è noto che il ddl Zan, votato in autunno alla Camera, langue al Senato. A livello regionale pochi sanno che nel mese di dicembre 2019 il capogruppo M5s Simone Verni ha depositato un progetto di legge (pdl Nanni) contro le discriminazioni omo-lesbo-bi-transfobiche nel Consiglio regionale della Lombardia. L’opportunità che venga approvata una legge a livello regionale deriva proprio dal fatto che alcune materie (ad esempio la polizia amministrativa locale, l’istruzione e la formazione professionale, il commercio, l’industria, il turismo, l’artigianato, l’agricoltura, l’assistenza sociale) sono competenza regionale e non statale.
Poiché il pdl Nanni langue nei meandri del Consiglio regionale, a distanza di un anno è stata avviata una raccolta firme su All out per sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione sui politici affinché la legge venga approvata. Di seguito il link per chi desiderasse firmare:
https://action.allout.org/it/m/749bdcb2/#form-section
(foto per gentile concessione di All out)
Devi fare login per commentare
Accedi