Questioni di genere
Il falso moralismo che uccide la libertà
La vicenda Weinstein non accenna a spegnersi, anzi sembra essere stata il primo mattone tolto a un muro di omertà che si sta riempiendo di crepe sempre più vistose.
Il problema che finalmente si smette di tacere è che, ovunque e in qualunque ambiente lavorativo, dai campi di pomodori al jet set hollywoodiano, le donne sono soggette al ricatto sessuale: se vogliono lavorare devono “concedersi” al maschio dominante. Anche volendo considerare la donna “libera di scegliere” (ma quanto è davvero “libero” chi sa o teme di rischiare il suo futuro professionale, o addirittura il pane per i suoi figli?), il nodo della questione è che una persona non dovrebbe mai essere posta di fronte a una “scelta” del genere: a chi ha potere non deve essere consentito di abusarne.
In Italia, però, le cose stanno andando diversamente. La denuncia di Asia Argento, che tra le prime ha raccontato la violenza subita all’inizio della sua carriera dal potentissimo produttore, non ha acceso i riflettori sui tanti casi simili che sono avvenuti e avvengono anche nel nostro Paese; al contrario, la coraggiosa attrice è divenuta vittima di attacchi che la colpevolizzano, accusandola di essere stata consenziente per ottenere un vantaggio personale. L’aspetto agghiacciante è che le aggressioni più violente vengono da donne – donne che, con tutta evidenza e per loro fortuna, non si sono mai trovate in una situazione simile. Asia Argento è stata additata per i suoi rapporti ambigui con Weinstein negli anni seguenti, per la carriera che ha fatto grazie ai film da lui prodotti, per il suo essere una donna libera e orgogliosa del suo corpo: come se tutte queste cose potessero minimamente cancellare la colpa di un ricatto sessuale inaccettabile.
Questo atteggiamento è gemello di quello che si osserva troppo spesso nei casi di stupro: la responsabilità degli aggressori viene sminuita argomentando che la vittima si era messa in una situazione rischiosa, che appariva consenziente o comunque “non ha gridato”, che era vestita in modo “provocante”, ecc. La sua origine sta nell’atavico falso moralismo per cui la donna è sempre la colpevole, Eva tentatrice che manda in rovina l’Uomo innocente: come se l’incapacità maschile di controllare le proprie pulsioni fosse un dato di fatto da non mettere in discussione.
Minimizzare il ruolo dell’aggressore (ad esempio dicendo che “ci ha provato con lei”, come se fosse un tizio qualunque incontrato a una festa e non colui da cui dipende il futuro lavorativo di “lei”) e colpevolizzare la vittima (accusandola di “esagerare”, di “esserci stata” o comunque di “essersela cercata”) è un errore devastante. Non solo per chi subisce la violenza, che viene offesa una volta di più (non è un caso che le denunce siano poche, soprattutto verso gli uomini ricchi e potenti), ma per tutte. Alle donne viene trasmesso un messaggio implicito terribile: la nostra società è una giungla in cui il maschio può “predarle” liberamente; tocca a loro evitare di “provocarlo” , tocca a loro difendersi, anche a costo di rinunciare al proprio lavoro.
Se un tale criterio venisse esteso ad ogni aspetto della nostra vita sociale precipiteremmo nel caos: e infatti, chi di noi accetterebbe di sentirsi dire che è colpa sua se è stato derubato, truffato, picchiato, o che tocca a lui evitare di essere investito per la strada? Eppure è proprio quello che insegniamo alle nostre ragazze. Come stupirci se poi qualcuna sceglie consapevolmente di usare il proprio corpo per farsi strada? Abbiamo la faccia tosta di scandalizzarci di lei? E’ a questo che la stiamo addestrando: a sopravvivere nella giungla, con qualsiasi mezzo.
Il moralismo ipocrita, che individua sempre nella donna la responsabile ultima degli abusi che subisce, mina il fondamento della convivenza civile: il rispetto che ogni individuo ha diritto di ricevere dagli altri, qualunque sia il suo aspetto o il suo comportamento. Dovremmo accorgercene noi donne per prime, essere solidali con chi denuncia e aiutare chi non ne ha il coraggio: ne va del nostro diritto a un’esistenza libera
Devi fare login per commentare
Login