Medio Oriente

Gli unici amici sono le montagne

2 Novembre 2019

Gli unici amici sono le montagne (proverbio curdo)

Da quando Erdogan ha dato inizio all’invasione del nord della Siria, dilagano sui social e sui media occidentali le foto delle donne combattenti curde.

Un’icona semplice e accattivante che muove alla solidarietà e alla simpatia per il triste destino del popolo curdo. Ma rischia fortemente di divenire uno stereotipo semplice che priva coloro che non hanno dimestichezza con le complesse vicende di questo popolo “senza terra” della conoscenza della sua storia, del suo impegno, della sua evoluzione.

Come è facile immaginare un protagonismo femminile così marcato, in un Medio oriente ben organizzato in un patriarcalismo e in una misoginia secolare, non si improvvisa.

Per capire da dove arrivano le combattenti curde, protagoniste della guerra a Daesh, occorre rifarsi alla storia del movimento del popolo curdo nato in Turchia quarant’anni fa e quindi del cambiamento introdotto dal PKK, Partito dei lavoratori del Kurdistan, attraverso il pensiero del suo fondatore, Abdullah Ocalan.

Nel programma del PKK, esposto al congresso del 1995, si ribadisce il rifiuto della donna considerata una mera proprietà e venduta per soldi, esclusa dalla vita politica e da quella sociale. “Tutte le forme di oppressione contro le donne verranno fermate e sarà realizzato nella società uno status paritario tra uomo e donna […]. Le donne verranno mobilitate per questo scopo”.

Dagli anni novanta le donne curde sono state elette nel parlamento turco, sono diventate sindache, hanno preso decisioni e hanno cominciato ad organizzarsi in cooperative e associazioni per provvedere ai bisogni familiari. Sono diventate avvocate, giornaliste e portavoce in Europa del dramma curdo. Spesso è stata una necessità a muoverle perché molti dei loro compagni, mariti, fratelli sono stati arrestati dal potere turco e tale situazione le ha fatte assumere un ruolo più attivo.

Le donne curde della Turchia hanno pagato cara questa voglia di libertà e di giustizia, molte sono finite in carcere – tutt’ora molte attiviste sono nella prigioni turche- hanno subito abusi e torture, ma hanno passato il testimone alle giovani generazioni. Le donne curde siriane combattenti provengono idealmente da quella lotta.

Nel nord della Siria mano a mano che le truppe curde sottraevano terreno a Daesh, sono state create nuove istituzioni secondo un modello di democrazia dal basso, un esperimento di confederalismo democratico (ispirato dalle letture, maturate durante la prigionia da Ocalan, dell’opera del pensatore anarchico Murray Bookchin, inerenti alle teorie del municipalismo libertario e dell’ecologia sociale).

Sono stati istituiti i komin, comuni popolari, cellule di base di un ecosistema guidato dai kadros, commissari politici del movimento curdo.

Le donne hanno ruoli nelle forze di polizia, nelle corti e nelle milizie. Hanno acquisito il diritto di divorziare e nei tribunali la loro parola è equiparata a quella dei maschi,

La sorte delle donne curde in Siria è in occidente divenuta popolare grazie alle immagini delle ragazze in mimetica. Ma nel Rojava, oggi oggetto dell’attacco dell’esercito turco, matura una lunga storia che ha portato le donne ad un ruolo di primo piano impensabile in tutti gli altri paesi del Medio oriente.

Nella Siria del nord è stato costruito Jinwar, un villaggio delle donne, dedicato ad ospitare vedove di guerra e donne che vogliono vivere da sole. Un villaggio ecologico improntato all’autoproduzione agricola, con spazi di studio e di vita comune.

Un altro piccolo esperimento all’interno di un esperimento sociale e politico più grande e oggi in serio pericolo per la guerra incombente.

Le chiese protestanti di Milano hanno organizzato per sabato 9 novembre alle ore 18 presso la chiesa battista di via Pinamonte da Vimercate 10 a Milano un incontro testimonianza con Fabrizio Eva, geografo politico e  Hazal Koyuncuer, portavoce del popolo curdo a Milano. Un modo per conoscere la situazione delle minoranze religiose nel conflitto curdo e la promozione della parità di genere nella storia del popolo che ha per amico solo le montagne.   

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