Costume
Giulia Arena (MissItalia2013): “Volevo fare il magistrato, ci penso ogni giorno”
Il ruolo delle donne e l’identità di genere. Miss Italia, un concorso nazional-popolare nato nel 1946, ha ancora senso di esistere? Esiste ancora il pregiudizio e l’equazione: “donna bella” uguale a “donna stupida”? E’ vero che che le altre donne sono le prime nemiche che una donna ha? Ne parlo con Giulia Arena, vincitrice del concorso nel 2013, oggi avviata ad una carriera di attrice. Ne nasce una piacevole conversazione che sconfina poi, su temi diversi: la ripresa dei rapporti umani post Covid, la violenza sulle donne, il ruolo dei social, la magistratura, il vaccino, l’impegno sociale.
Miss Italia nel 2013, si dice che hai vinto con le parole, non perché tu non sia una bella donna, ma hai conquistato la giuria con la tua proprietà di linguaggio, tanto da essere definita una “miss con la testa”. Tu per prima hai dichiarato di aver partecipato per riscattare l’immagine del Concorso e difendere la dignità e il valore delle ragazze della tua generazione. Perché, secondo te, esiste ancora il pregiudizio e l’equazione: “donna bella e curata” uguale a “donna stupida”?
Ad essere sincera credo sia un po’ un modo di accomodarsi. È brutto da dire, e forse anche il mio è frutto di un pregiudizio, ma credo che spesso le donne molto belle non sentano la necessità di dover dimostrare altro. Faccio sempre tanta fatica, quando incontro qualcuno per la prima volta, perché mi sento sempre un po’ sotto esame, so che, nel primo quarto d’ora, devo dimostrargli che deve andare oltre a quello che sta vedendo in quel momento. Non è superficialità, perché il primo impatto ovviamente è quello visivo. Una donna molto bella già sa di dare una certa idea di sé e non cerca di fare di più. Poi dipende molto dai punti di vista, però temo che si cada spesso in questo errore. Questo poi determina che spesso l’interlocutore, a fine incontro ti dica: “caspita ma lo sai che sei anche intelligente?”, ecco non c’è frase peggiore da dire a una bella donna, anzi a una donna in generale. Ma scusa, quand’è che siamo partiti dall’assunto che non lo fossi? Purtroppo capita spesso, è strano quando non capita.
Nel 2021, in un mondo in cui si sta ridefinendo il linguaggio dell’identità di genere, dove gli adolescenti rivendicano la loro libertà a non essere etichettati, ha ancora senso un Concorso di Bellezza al femminile, che punta esclusivamente su caratteristiche fisiche stereotipate?
Secondo me sì, ha ancora senso, perché è intrinseco nella nostra idea che la bellezza sia donna. La bellezza fine, eterea, anche per cultura, la assimiliamo al femminile. Questo non preclude altre strade, ma stiamo parlando di un concorso nazional-popolare, che fa parte della nostra cultura, quindi è giusto mantenerlo. Secondo me andrebbe rivisto il fatto che venga perseguito solo l’aspetto fisico. Miss Italia ovviamente corona la più bella del Paese, ma oggi, sia le nuove sia le vecchie generazioni, si approcciano a un’idea di bellezza più trasversale, che tocca anche le capacità. Quindi secondo me andrebbe rivisto in questa chiave, dove per bellezza si intende un concetto più completo. Anche il modo di avvicinarci agli altri, di comunicare con le persone è più completo. Però ecco, non andrei in una direzione diversa, ovvero il politicamente corretto a tutti i costi, dove non esistono etichette, non esiste maschile e femminile. Rimarrai fedele al concetto di bellezza universale, che però cambia nel tempo. In parte questo discorso è già stato fatto in alcune edizioni, per esempio sono convinta che se io avessi partecipato 20/30 anni prima, non avrei mai vinto, perché la ricerca di bellezza era un’altra cosa.
Lo rifaresti oggi e perché?
Se per oggi si intende in questo periodo della mia vita, no, non lo rifarei. Oggi, a questa età, non riuscirei a mantenere quei ritmi. E poi perché quando l’ho fatto, a 19 anni, ero nel pieno della mia spensieratezza, mi ero appena diplomata, sapevo di essere entrata in Università, ma non l’avevo ancora iniziata. Tre mesi di totale libertà, nei quali senti di poter fare cose anche lontane da te, tanto non hai nulla da perdere. Mi sono iscritta al Concorso, non pensando poi di intraprendere questa carriera. Mi ero infatti già trasferita a Milano, perché ero entrata alla facoltà di Giurisprudenza, sapevo che volevo prendere l’indirizzo Internazionale o fare il magistrato. Miss Italia doveva essere una parentesi e invece… tutto è andato diversamente.
Foto dal set di “Bella da Morire”. Un appello sul profilo instagram contro la violenza sulle donne
Cosa ne pensi del caso Erika Mattina, candidata a Miss Mondo Italia e investita da centinaia di insulti sui social, perché lesbica?
Paradossalmente si è creata la dinamica opposta. Leggevo alcuni di questi commenti, abbastanza discutibili, secondo i quali essere omosessuale possa essere sintomo di raccomandazione. Una cosa allucinante, siamo passati da un estremo all’altro. Dal fatto che fosse un limite, un pregiudizio, alla situazione inversa, ovvero, per non scaturire il rischio di cadere in quel pregiudizio, si crea il problema opposto. Io voglio credere che non sia così. Non so se sia stata una scelta comunicativa, ma se anche lo fosse, non ci trovo nulla di male. Lei è una bellissima ragazza e far passare delle tematiche, che dovrebbero essere ovvie, ma che in realtà fanno ancora tanto discutere, è solo un bene, perché crea quella trasversalità, della quale parlavamo prima. Stiamo parlando di un concorso di bellezza, ma parliamo anche delle mille sfaccettature della bellezza stessa. Si parla poco di omosessualità femminile, quando si parla di omosessualità subito si pensa a quella maschile, quindi vedere una bella donna, lesbica, in un concorso di bellezza al femminile, che implicitamente richiama una femminilità eterosessuale, può solo essere una cosa positiva. È assurdo che la gente abbia pensato che questo potesse essere motivo di raccomandazione.
Qual è il tuo rapporto con i social network e i tuoi follower?
A me piace definirlo un rapporto sano. Mi rendo conto di fare una vita e delle esperienze, non solo lavorative, che sono al di fuori dal comune e mi fa piacere creare una sorta di finestra aperta, dalla quale la gente può guardare. Cerco sempre di capire quando è il momento di accostare un po’ la finestra, quando mettere un punto a questa socialità, che in qualche modo prende tutti gli aspetti della tua vita, ma ritengo sia giusto che alcune cose rimangano private. Non per pudore o per privacy, ma proprio per dare un peso differente. I social e il rapporto con i follower funzionano e sono sani, fino a quando decidi tu quando aprire e quando chiudere questa finestra. Il confine è molto soggettivo e dipende anche dal singolo momento, dalle fasi della vita, non c’è una regola e nessuno può darla. Poi sicuramente sono anche fortunata, perché non mi è mai capitato di avere utenti volgari, ho avuto degli haters e gli ho sempre risposto pubblicamente, ma tendenzialmente devo ammettere di avere scambi sani con il mio pubblico. Se riesci a creare dei presupposti, c’è veramente una buona comunicazione, spesso mi ritrovo a fare lunghe conversazioni con persone che non conosco, perchè mi danno qualcosa.
Da 3 anni sei fra i protagonisti della soap italiana “Il Paradiso delle signore” che racconta la Milano del boom economico negli anni ’60, affrontando anche il tema dell’emancipazione femminile che si delineava in quegli anni. C’è qualcosa che non conoscevi di quegli anni e che ti ha particolarmente colpito?
Tante sfaccettature della mentalità sociale. La mia generazione, che non ha vissuto quegli anni, dà per scontati alcuni passaggi, che all’epoca non lo erano: per esempio le donne spesso non lavoravano, non c’era il divorzio… però ci sono tante piccole sfaccettature, che ho imparato a conoscere attraverso l’interpretazione del mio personaggio, delle quali non ero consapevole, come per esempio quali fossero i valori di una giovane donna dell’epoca, che non sentiva l’impulso di una realizzazione personale, ma aveva determinati schemi culturali da perseguire; come venivano viste le donne che lavoravano… insomma tante cose che a noi sembrano lontanissime, ma invece sono successe l’altro ieri. Un altro aspetto che mi ha colpito è che all’epoca, anche fra coetanei, i giovani si davano del lei, cosa che a noi non succede. C’è stata un’evoluzione enorme, positiva per quanto riguarda tutti gli aspetti legati all’emancipazione della donna, un po’ più negativa per gli aspetti legati alla forma, all’eleganza dei modi, soprattutto nei rapporti fra le persone. Oggi c’è più l’idea del liberi tutti e c’è poco rispetto fra le persone, non ci sono più filtri. Inoltre quelli erano anni di grandi rivoluzioni, di conquiste, di lotte, oggi non è più così, forse in parte lo stiamo vivendo con il movimento LGBTQ, ma è un po’ diverso. In quell’epoca invece i giovani conquistavano, anno per anno, un diritto in più.
Forse dopo la pandemia rivivremo un periodo così?
Oggi, durante questa mezza giornata di Settimana della Moda che ho vissuto, mi sono resa conto che ci siamo anche disabituati ai rapporti umani. Mi auguro veramente che questa battuta d’arresto, dovuta alla pandemia, abbia rimesso in ordine una serie di cose che davamo per scontato, non parlo di grandi valori, non voglio essere retorica, ma banalmente delle piccole cose, della gestione dei rapporti umani.
Qual è la differenza più grande fra la donna Giulia Arena e la donna Ludovica Brancia, il personaggio che interpreti nella soap?
Sono radicalmente diverse, siamo agli antipodi. Ludovica fa parte dell’alta e vecchia aristocrazia milanese, per lei è impensabile lavorare, impensabile l’idea di costruire una famiglia con qualcuno che non faccia parte del suo ambiente sociale, non c’è necessità di rivalsa e quindi nemmeno l’idea, ha tutto e quello che conta è riuscire a mantenerlo, almeno nella forma. Io arrivo da una famiglia completamente diversa, che per fortuna mi ha sempre insegnato a rimboccarmi le maniche, qualsiasi fosse il settore in cui volevo lavorare. Ho sempre badato poco alla forma e molto alla sostanza, sia delle mie azioni e del mio percorso sia delle persone che ho davanti e del rapporto che ho con loro.
Purtroppo la violenza sulle donne non si ferma, nemmeno a 60 anni da quelle lotte di emancipazione, tu cerchi di fare sensibilizzazione sul tema, anche attraverso i tuoi profili social. Cosa ne pensi invece di chi cerca di sminuire i fatti o riportare “la colpa” della violenza sulla donna? Pensiamo al caso della Palombelli…
Il problema oggi è che ci sono ancora una serie di violenze sulla donna, che non sono ritenute violenza a livello sociale. Ed è su quelle che cerco di battere il ferro. Un’osservazione, come quella della Palombelli, che mi auguro abbia fatto in maniera leggera, senza pensare alla portata di quello che stava dicendo, in realtà va a giustificare tutta quell’area di violenze, che ancora non sono ritenute tali dalla società. Un’affermazione di quel tipo legittima, non tanto l’accoltellata, ma tutta una serie di azioni più subdole, che qualcuno potrebbe sì pensare siano il risultato di una situazione esasperante. Questo è il grave errore, perché soprattutto sui social, in televisione, la gente assimila ciò che ascolta, e anche frasi decontestualizzate, possono fare la differenza nella mentalità degli ascoltatori. Rischi di renderti complice di determinate dinamiche. Oggi, con l’uso di internet, la bomba esplode in pochissimo tempo, a maggior ragione bisogna davvero prestare attenzione a come si parla di certi argomenti, meglio cadere nella retorica, sfruttando i mezzi che abbiamo per entrare nella mente delle persone e sottolineare quali atteggiamenti sono da condannare.
Perché spesso le altre donne sono le prime nemiche che una donna ha?
Bella domanda. Non me lo sono mai spiegata. Da un lato vorrei dire che è per un problema di dover dimostrare qualcosa agli altri, quindi sono sempre un po’ in guerra perché giocano da sole. Ma in realtà non è un’ipotesi che mi convince. Non riesco a dare una risposta, mi trovo a combattere con donne totalmente diverse fra loro e diverse da me, con donne più vecchie o più giovani, che fanno la mia carriera o totalmente un altro lavoro, non lo so, è un po’ come se ci fosse l’idea che, se tu hai qualcosa in più, dimostri che io ho qualcosa in meno. Una sorta di partita a scacchi. Un continuo confronto. Probabilmente gli uomini confrontano meno, quindi inevitabilmente si pongono meno l’uno contro l’altro.
Da quanto e come è nato il tuo sostegno ad AIRC?
È nato per caso, mi hanno chiamata in un momento per me molto particolare: una persona della mia famiglia era appena stata operata di cancro, cosa che nessuno sapeva e tanto meno loro. Avevo 23 anni e quando mi hanno chiamata ho pensato “ma cosa posso dire io su un argomento così serio”, poi ci ho riflettuto e ho pensato che una voce giovane potesse parlare alle giovani donne, che sono le più a rischio, perché considerano l’eventualità di ammalarsi lontana e non fanno prevenzione. Io ero la prima a ragionare così. Poi ho capito che potevo essere davvero d’aiuto, anche se sono convinta che è più AIRC a dare a me e non il contrario, perché mi hanno fatto scoprire delle realtà, sia scientifiche sia umane, veramente incredibili. Essere ambasciatrice AIRC mi fa dare un senso al mio essere popolare. Questo è il mio passaggio personale, sono contenta della mia carriera e mi piace quello che sto facendo, ma a livello umano tutto acquista un senso attraverso questa attività con AIRC.
Lavori in un ambiente altamente competitivo, paradossalmente oggi hai migliaia di follower su instagram e domani nessuno potrebbe riconoscerti per strada, come vivi il rapporto con il successo? Hai mai pensato a un pianoB?
Sono una persona un po’ iperattiva, anche quando faccio tanto, come in questi anni, cerco sempre di fare cose diverse, ma non per il timore che il mio sia un lavoro altalenante, ma perché ho proprio il bisogno di approcciarmi a cose sempre differenti. Non ho un pianoB, ormai sono 10 anni che lavoro in questo ambiente, ho sempre fatto tanto e ho sempre fatto cose in linea con la mia carriera. Ancora oggi qualche parente pensa che fare l’attrice sia un hobby e mi chiede cosa farò dopo. Anch’io all’inizio pensavo fosse solo una parentesi, ma ora so che è la mia strada, anche se personalmente cerco sempre di avvicinarmi a cose diverse. Purtroppo ho dovuto abbandonare l’idea di diventare magistrato, anche se tutti i giorni, arriva un momento della giornata in cui mi chiedo: ma se avessi fatto tutto come avevo programmato, cosa starei facendo ora? È come se questo fosse un universo parallelo, in realtà una parte di me è rimasta là, con i piani che avevo fatto prima di diventare Miss Italia.
Se non avessi vinto Miss Italia oggi saresti…?
Mi auguro un magistrato.
Da dove nasce questa passione per la magistratura?
Mio padre era colonnello della guardia di finanza, quindi ho sempre vissuto tantissimo con questa idea di giustizia e di rigore. Non sarei mai riuscita a fare l’avvocato penalista, piuttosto avrei preso il settore diplomatico. Mi ricordo ancora una frase di mio padre, mentre studiavo giurisprudenza. Stavamo discutendo di un caso di attualità, non ricordo esattamente, so che era uscita una sentenza e mi interrogavo su come fosse possibile che un fatto eticamente ovvio, non fosse così ovvio per la legge. Mio padre mi disse: “Giulia ora sei grande e ti renderai conto che la legge non è sempre sinonimo di giustizia e la giustizia vera, purtroppo, non è sempre perseguita dalla legge. Non vedere le due cose come sinonimi, perché in realtà non lo sono”. Lì ho capito che avrei voluto diventare magistrato per rendere questi due concetti sinonimi, il più possibile.
Ti appassionano i casi della magistratura di questi tempi?
Come Palamara intendi? Li guardo con molto amaro in bocca e a volte mi rendo conto che li vivo quasi come un torto personale. Quando sentivo le intercettazioni di Palamara, mi sentivo tradita personalmente ed è una cosa che tutti dovremmo sentire, perché la sentenza non riguarda solo la persona coinvolta, ma tutta la comunità. Ogni tanto mi chiedo: ma io come mi sarei comportata se mi fossi trovata a fare il magistrato in questo contesto? La risposta non è mai ovvia.
Cosa ne pensi del caso Figliuolo, che non ha mai abbandonato il suo look militare?
A me non dispiace. Il ruolo che gli è stato affidato è, e deve essere, un ruolo super partes e, secondo me, la figura del generale militare è per antonomasia super partes, quindi è giusto che mantenga quell’idea di rigore, completamente fuori dalla dinamica politica. Ci sono tanti pregiudizi sull’arma, appena si vede una divisa si storce il naso, figuriamoci se una persona in divisa tende a dare opinioni e disposizioni su qualcosa che la gente, psicologicamente, non riconduce alla divisa, come appunto l’ambito sanitario. La trovano una forzatura, io invece credo sia coerente.
Come hai vissuto il vaccino e il green pass?
Per me è impensabile che qualcuno, senza concrete basi scientifiche, possa aprire bocca in un momento di pandemia. Non ci sono i presupposti per parlare di no vax o sì vax. C’è una pandemia? Si fa quello che si deve fare, questo significa avere la consapevolezza di quanto sia importante la propria posizione nella comunità, mondiale. Ho litigato tantissimo per questo, anche sui social, dove mi sono sempre schierata, apertamente, a favore del vaccino.
Devi fare login per commentare
Accedi