Questioni di genere
La fila al bagno? Una questione di equità
Come ha scritto giustamente Michela Cella a giugno proprio su queste colonne, tutti noi auspichiamo che la nuova normalità sia più femminile. Il confinamento, reso necessario dalla tragedia che ancora oggi ci affligge, ha messo a nudo il ruolo fondamentale della donna nelle nostre società, stretta tra la carriera professionale e i gravosi impegni domestici.
In questi anni di conquiste civili, abbiamo però allo stesso tempo assistito a un imbarbarimento del dibattito pubblico circa i temi che stanno a cuore a noi progressisti. Anche il femminismo è stato, fin troppo spesso, derubricato a una questione da radical chic, un tema residuale di scarso interesse per le Common People.
Per reagire a questa tendenza, l’opinione pubblica ha appoggiato un femminismo light: ha giustamente messo in luce le differenze salariali tra uomo e donna, la violenza maschile- sia essa fisica, sessuale o psicologica-che ancora oggi purtroppo riempie le cronache.
La sacrosanta battaglia per epurare la civiltà occidentale dai suoi reflussi patriarcali è stata accantonata poichè giudicata estremista o lontana dai bisogni della popolazione. La rabbia che rende donne moderne, come cantava Carrie Brownstein in Modern Girl, è stata sostituita da una forma di indignazione e dissenso cortese.
Senza però andare ad attaccare il problema alla radice, il rischio è un patriarcato all’acqua di rose. Il gender gap o la violenza sessuale sono solo la superficie del problema: scaturiscono entrambi da quella che Bourdieu chiamava “violenza simbolica”.
La naturalizzazione della differenziazione dei generi ha creato dei contenitori appositi per distinguere ciò che è da uomo e ciò che è da donna. Non è un caso, infatti, che il nostro paese non abbia mai visto una donna al Ministero dell’Economia: alle donne spettano ministeri dedicati alla cura, come quello delle pari opportunità, o più materni, come quello dell’istruzione.
Così però si rischia di apparire distaccati e ideologici. Per vincere la battaglia sull’uguaglianza dei sessi, invece, è necessario mostrare come le forme del dominio maschile, spesso inconsce, influenzano la vita quotidiana di noi tutti.
Per quel che mi riguarda un fenomeno interessante è la fila al bagno.
Tutti noi lo viviamo ogni giorno, anche se le misure di contenimento dell’epidemia ci distaccano sempre di più dalla socialità: nel bagno degli uomini c’è meno fila rispetto al bagno delle donne.
Una sottigliezza, che crediamo quasi naturale.
Come dimostra una ricerca dell’Università del Gand, i motivi sono molteplici: il tempo medio per svolgere i propri bisogni; la suddivisione della superficie tra cabine e orinatoi, impossibile nei bagni delle donne; i bambini di qualunque sesso che seguono la mamma al momento di andare in bagno o la routine del cambio di pannolini.
Questo fenomeno è a mio avviso paradigmatico: da un lato mostra che i costrutti sociali- come quello di far andare i bambini al bagno con le madri- influenzano pesantemente il benessere delle donne, dall’altro la constatazione che la costruzione degli spazi non è women-friendly.
Aguzzando lo sguardo, è semplice notare queste piccole ingiustizie innocue, che però innocue non lo sono, nei confronti delle donne.
La soluzione a questo problema, come hanno suggerito i ricercatori, ci sarebbe: i bagni unisex. Oltre a essere un elemento di equità, inoltre, permetterebbero anche a coloro che non si identificano in nessuno dei due generi tradizionalmente codificati di accedere alle toilette senza problemi.
Ovviamente, questa soluzione non è priva di problematicità. Per noi persone nate in corpi da uomo- anche se non ci riconosciamo nel genere maschile- è difficile immaginare il senso di angoscia e paura che affligge le donne. Dal camminare in una strada buia al restare da sole in bagno, queste sono perennemente minacciate dalla violenza fisica che è correlata al genere maschile. Una soluzione come i bagni unisex potrebbe portare le donne a sentirsi meno sicuro, essendo più a rischio di stupro o violenza.
Il tema della fila al bagno, come dicevo, sembra un’inezia. Una sottigliezza di cui non ci si dovrebbe nemmeno pubblicare. In realtà influisce negativamente sulla vita delle donne, che con i bagni unisex avrebbero una diminuzione della fila del 63%. Se davvero vogliamo che la ripartenza sia più women friendly, non possiamo solamente volgere l’occhio alla luna, concentrandoci sulle gigantesche ingiustizie del nostro tempo. L’architettura patriarcale della società si insinua nelle piccole cose. Anche nella fila al bagno.
Devi fare login per commentare
Accedi