Legislazione

Femminicidio e violenza di genere: la Spagna batte l’Italia

7 Agosto 2016

Il 2016 non è ancora finito ma in Italia ci sono già stati 76 femminicidi. Un numero terribile che segue a quelli ancora più gravi del 2014 (152 vittime) e del 2013 (179 vittime, ovvero una donna uccisa ogni 2 giorni). Ed è solo la punta dell’iceberg: perché il femminicidio colpisce solo una parte di tutte le donne che subiscono maltrattamenti e abusi fisici/psicologici da un uomo. E, troppo spesso, neanche una denuncia è sufficiente a fermare la spirale di violenze e soprusi.

«In Italia si ha la sensazione di essere abbandonate a sé stesse – dice Laura, cameriera veneta quarantenne (il nome è di fantasia) con alle spalle una brutta storia di insulti e percosse da parte dell’ex fidanzato, un impiegato della sua città –. Non mi pare che la legge faccia molto per aiutare le donne in queste situazioni».

A differenza di quanto accade in Spagna ad esempio, la nostra normativa non prevede una specifica aggravante o fattispecie che tenga conto del genere. Lo spiega bene alla sottoscritta Maria Virgilio, avvocata nonché presidente dell’associazione Giuriste d’Italia (GIUdIT). «Le aggravanti ci sono, in forza del rapporto di parentela o matrimonio che può sussistere tra le due persone, ma valgono pure nei casi di uomini uccisi da donne. – e sottolinea – In ogni caso ritengo che non sia con le leggi che si combattono questi fenomeni, che hanno a che vedere con i rapporti di potere e la cultura. Sono profondamente convinta che si debba sconfiggere tale piaga con l’educazione, e attraverso un cambiamento culturale che purtroppo è molto, molto lento. Non per niente anche nei paesi che hanno persino tipicizzato il reato di femminicidio, i casi continuino a verificarsi».

In effetti anche in Spagna, dove da dodici anni c’è una Legge organica di misure di protezione integrale contro la violenza di genere (chiamata anche violenza machista), il fenomeno non è cessato. E tuttavia bisogna dire che qualche impatto la legge deve averlo avuto perché, a eccezione del 2008 e del 2010, il numero di vittime è sempre stato inferiore a quello del 2004, l’anno di entrata in vigore della norma. I giuristi spagnoli sentiti da chi scrive esprimono giudizi positivi, nel complesso, sulla legge organica (e sulle leggi approvate in seguito sulla stessa materia). Ma dicono anche che resta molta strada da fare.

Campagna del governo spagnolo contro la violenza di genere
Campagna del governo spagnolo contro la violenza di genere

«Credo che quella legge sia stata molto positiva, senza alcun dubbio – dice María Teresa Requejo Naveros, professoressa di diritto penale alla prestigiosa Complutense di Madrid –. È riuscita a sensibilizzare la società su una realtà che prima non era visibile. Ora ogni caso ottiene grande visibilità e c’è molta più consapevolezza a livello sociale. Inoltre ritengo che la legge abbia per lo meno offerto un’alternativa di protezione alle vittime di violenza di genere. Un concetto, questo, che è stato introdotto nel nostro codice penale proprio grazie alla Legge organica del 2004. Prima esisteva solo il concetto di violenza domestica, che non distingueva tra uomini e donne».

Una distinzione che, a parere della docente, è importante. «Riflette nel codice penale l’eterna disuguaglianza tra uomini e donne: se contiamo le aggressioni tra sessi, nella stragrande maggioranza dei casi l’aggressore è l’uomo, non viceversa. Ma non è solo questo – continua la Requejo Naveros –. La legge vuole sottolineare che questo tipo di violenza è di particolare gravità. Perché è la violenza commessa da un uomo machista, che si considera superiore a una donna per il solo fatto di essere maschio».

La docente però vuole avanzare anche una critica. «Così com’è scritta, a me sembra che la norma penale parta dalla premessa che ogni uomo, in quanto tale, sia un maschilista e che ogni donna, in virtù dell’essere donna, sia molto vulnerabile. Ma io non credo che si possa generalizzare fino a questo punto».

Su questo concorda Francisco Javier Paino Rodríguez, anche lui docente di diritto penale alla Complutense di Madrid. «Bisognerebbe poter contestualizzare ogni caso e determinare se si tratta davvero di violenza di genere, perché non sempre lo è – chiarisce –. Una coppia che sta divorziando e se le dà mentre litiga su chi si tiene il tavolo da pranzo, a priori, non è violenza di genere! Se invece un uomo picchia o insulta continuamente la partner per come si veste, e le dice che così sembra una puttana e che attrarrà tutti gli altri uomini, allora è diverso, si tratta di un caso di violenza machista. Ma se vogliamo lottare contro la violenza di genere dobbiamo prima identificarla adeguatamente».

Entrambi i giuristi concordano comunque sugli aspetti positivi della normativa, soprattutto quelli che permettono di attivare, in tempi molto rapidi, le misure di protezione e l’accesso al sostegno sociale. «La Legge organica del 2004 ha contribuito in modo significativo alla lotta contro la violenza di genere – spiega Javier Fernández Teruelo, professore di diritto penale all’Università di Oviedo e autore del saggio “Analisi dei femminicidi in Spagna nel periodo 2000-2015” –. L’obiettivo principale è far sì che una donna vittima di violenze possa denunciare il responsabile con la consapevolezza che esiste un modello (integrale, appunto) che si preoccupa non solo della sua integrità fisica, ma di creare intorno a lei un intero contesto di protezione sociale ed economica. Per questo esistono aiuti economici, facilitazioni lavorative (ad esempio per trovare un nuovo impiego), la possibilità di accedere a una sistemazione in un altro luogo, sostegno psicologico eccetera».

Grazie alla protezione integrale la forza deterrente della norma penale aumenta. Perché il machista sa che la donna ha lo Stato dalla sua, e che quindi è meno sola. Attenzione, non è che sia tutto rose e fiori neanche in Spagna, dove spesso mancano le risorse per applicare tutte le misure di protezione previste dalla legge.

Però i dati positivi ci sono, e non riguardano solo la diminuzione quasi costante del numero di femminicidi dal 2004 a oggi. Prima di tutto, dice Fernández Teruelo, «le denunce sono aumentate, passando da 13mila a quasi 130mila». Ancora, con la Legge organica 1/2015, entrata in vigore nel luglio dello scorso anno, si è voluto regolare meglio anche il reato di stalking (per il quale non si fa distinzione tra uomini e donne).

«Se una donna fa la denuncia – racconta Paino Rodríguez – è questione di poche ore prima che quella denuncia passi al tribunale. Che per prima cosa, se le circostanze lo richiedono, emette l’ordine di protezione. Questo vale anche nei casi di stalking in cui non ci sono state violenze fisiche ovviamente. Nei casi più gravi inoltre, quando è possibile, si ricorre al braccialetto elettronico». Una misura che si vorrebbe introdurre anche qui in Italia, tanto è vero che a inizio anno si era parlato di sperimentarla su 25 coppie (anche se poi non si è saputo più nulla).

Fernández Teruelo sottolinea comunque che «in questo momento in Spagna si pensa che si debbano fare ulteriori passi avanti. Negli ultimi anni sembra che si sia un po’ abbassata la guardia nel sistema di protezione, quindi si stanno pensando nuove formule». Su questo si esprime da Bologna anche l’avvocata Virgilio. «Le giuriste spagnole ci dicono che anche il loro sistema, dal punto di vista dell’efficacia, finisce per essere carente perché ci vorrebbe una formazione continua e quotidiana di tutti gli operatori, ma i finanziamenti per la giustizia non sono sufficienti».

Passando poi alla situazione italiana la Virgilio spiega che «volendo, sulla carta, esistono misure che possono essere prese in tempi rapidi anche in qui. A Bologna, ad esempio, il giudice civile emette il provvedimento di allontanamento del violento in 48 ore. Certo, bisogna trovare l’avvocato che sappia veicolare la richiesta, il magistrato che l’accolga e il poliziotto che la esegua. Ma anche questo richiede formazione, e “formazione” equivale a investimento di risorse. Torniamo sempre lì, alle risorse».

In questi casi, poi, sembra essere fondamentale una grande consapevolezza da parte delle donne stesse. «C’è una cultura dominante che porta sempre a incassare, anche in caso di violenza. – dice la Virgilio – Invece è importante saper leggere la realtà, cogliere i segnali di violenza e reagire. È fondamentale percepire il pericolo, e lo si può fare anche, e soprattutto, parlando con i propri cari e i propri amici».

Questo perché, e lo dicono i dati, neanche una legge molto attenta alla violenza di genere può sventare i casi più gravi. «Gli uomini che uccidono le donne non modificano il loro comportamento in base al codice penale – dice Fernández Teruelo –. Nelle situazioni di rischio estremo l’unica misura efficace è la protezione fisica della donna, perché su questi soggetti il sistema e la legge non hanno alcun effetto deterrente». Un’analisi condivisa anche dall’esperta Isabella Merzagora nell’intervista rilasciata alla sottoscritta e pubblicata qui sugli Stati Generali, e dalla Virgilio. «Gli autori di questo tipo di reato non possono subire la deterrenza di una legge penale pesante, non funziona su di loro. – spiega l’avvocata –. L’aggravamento delle pene non ha un effetto deterrente in generale, ma in questi casi men che meno. Assolutamente».

Viene allora da chiedersi cosa si debba fare per lottare contro questi reati. Certamente c’è bisogno di una rivoluzione culturale, ma non solo. «Ci vuole un impegno sociale e politico forte, e siamo ancora lontani dall’averlo – ribadisce la Virgilio –. D’altra parte le donne sono ancora la minoranza nelle posizioni di potere che permettono di proporre politiche e prendere decisioni. Che il dipartimento per le pari opportunità sia stato affidato a una ministra [Maria Elena Boschi] che è già impegnatissima, è un chiaro segnale che esso non sia ritenuto così importante».

Pochi giorni fa, in seguito all’uccisione di Vania Vannucchi, arsa viva dall’ex compagno e morta a causa delle ustioni, la ministra ha spiegato di aver costituito una «cabina di regia inter-istituzionale del Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere per rafforzare e promuovere azioni di contrasto alla violenza sulle donne e al femminicidio», e di averne convocato la prima riunione per l’8 settembre. Speriamo che sia il primo passo verso una lotta concreta alla violenza di genere.

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