Questioni di genere

Europee 2019, le vere protagoniste sono le donne

27 Maggio 2019

Mai come questa volta nella storia dell’Europa unita, le donne hanno giocato un ruolo di primo piano. Incassando grandi vittorie, pareggi decisivi, sconfitte sonanti. A partire dalla Germania, negli ultimi anni motore (nel bene e nel male) della UE. Qui il tandem cristianodemocratico Merkel – Kramp-Karrenbauer (rispettivamente cancelliera e presidente della CDU) è riuscito, seppur faticosamente, a reggere. Non solo la CDU-CSU si è confermata primo partito del paese, nonostante un calo di 6 punti, ma è riuscita a tenere anche a destra, dove la performance del partito di estrema destra Alternative für Deutschland è stata relativamente cattiva (11%).

La Germania ha visto anche l’exploit dei Verdi guidati dalla trentottenne Annalena Baerbock. Molto meno bene invece la performance di un’altra donna, Andrea Nahles, presidente dell’SPD da poco più di un anno. Per la prima volta nella storia, i socialdemocratici sono stati superati da una forza progressista (i Verdi, di quasi 5 punti), ed è probabile che Nahles si dimetta. L’ultimo chiodo della bara potrebbe essere la perdita della città-stato di Brema, dove i socialdemocratici governano da 74 anni. Degno di nota poi il successo di Ska Keller, co-presidente dei Verdi europei: tedesca del Brandeburgo, grintosa e poliglotta (parla sei lingue fra cui il turco e l’arabo), è uno dei volti nuovi della UE ecologista.

Risultato lusinghiero, poi, per la paladina dell’estrema destra francese Marine Le Pen, che ha visto il suo Front National (ribattezzato Rassemblement national) superare di quasi un punto percentuale La République en marche del presidente Emmanuel Macron. E d’altra parte la stessa lista di Macron era guidata da una donna: Nathalie Loiseau, a detta degli osservatori d’Oltralpe competente ma rigido ministro per gli affari europei che, secondo molti, “non ha lasciato il segno” fra l’elettorato. Non ha brillato troppo neanche Manon Aubry, la giovane capolista della forza di estrema sinistra La France insoumise, che ha ottenuto solo il 6,3% dei voti.

E se nella confinante Spagna la vittoria netta dei socialisti ha il nome e il cognome di un uomo (Pedro Sánchez), è anche vero che il PSOE non è mai stato così femminile (dieci le ministre su un totale di 17 posti). Passando dall’ovest all’est, bene in Slovacchia il fronte europeista liberale di Progresívne Slovensko/SPOLU, che ha avuto come suo nume tutelare la liberale Zuzana Čaputová; l’avvocatessa europeista si insedierà tra pochi giorni come primo presidente donna nella storia del paese.

In Danimarca, dove il sostegno per il partito di estrema destra Dansk Folkeparti è crollato al 10% dal 26% del 2014, i socialdemocratici guidati dalla quarantunenne Mette Frederiksen si sono rafforzati, passando dal 19% al 21,5%. Bene anche il risultato del Partito social-liberale danese (conosciuto con la sigla RV), che ha raddoppiato la sua presenza all’Europarlamento, ottenendo 2 seggi.

Esponente di punta dell’RV è l’attuale commissaria europea per la concorrenza Margrethe Vestager (indicata da GSG come una delle donne che hanno rivoluzionato il mondo nel 2017); grazie al buon risultato complessivo dei partiti dell’Alde, e alla stima trasversale di cui gode dopo le sue battaglie contro i colossi della Silicon Valley, Vestager ora può aspirare a un altro posto di altissimo profilo, e addirittura diventare la leader della nuova Commissione europea. In Svezia successo di Isabella Lövin, grazie alla quale il Miljöpartiet (Verdi svedesi) è stato il quarto partito più votato del regno scandinavo.

Qualche curiosità. Per la prima volta nella sua storia, l’Irlanda del Nord (che tecnicamente fa ancora parte della UE, come il resto del Regno Unito) manderà a Strasburgo solo europarlamentari donna: Martina Anderson del Sinn Féin, Diane Dodds del DUP e Naomi Long dell’Alliance Party. E in un altro piccolo angolo d’Europa, il Lussemburgo, ottimo risultato dei liberali del Parti Démocratique guidato da Corinne Cahen, e di Monica Semedo, europarlamentare trentaquattrenne di origini capoverdiane dello stesso partito.

È donna anche la grande sconfitta di queste elezioni: Theresa May. La leader tory, che solo tre giorni fa ha annunciato al paese le sue dimissioni, ha visto il suo partito scendere ai minimi termini (il peggior risultato dal 1832). Persa la scommessa su un accordo per la Brexit, la seconda primo ministro donna della storia britannica probabilmente sarà giudicata dai posteri solo come una pallida comparsa nelle vicende politiche del paese.

Infine, tra i vincitori morali delle elezioni europee c’è una ragazzina di 16 anni: Greta Thunberg. Che con il suo “sciopero per il clima” è riuscita a chiamare a raccolta milioni di giovani dai quattro angoli d’Europa, contribuendo al successo continentale dei verdi, e alla forte partecipazione delle nuove generazioni al voto.

 

 

Immagine in copertina: Ska Keller, co-presidente dei Verdi europei. Fonte: www.skakeller.de

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