Musica

E fu così che Melissa trovò il proprio blues

22 Maggio 2021

Melissa era chiusa nella squallida stanzetta di un albergo di Los Angeles, più o meno di fronte agli studi di registrazione della Island, accanto ad un distributore di benzina che vende panini di stoppa, hot-dog di animali indicibili e salse proibite dalla Convenzione di Ginevra – e niente alcool. Melissa è piccoletta, tanti brufoli, sgradevole tendenza alla pinguedine, una voce potente come quella di Janis Joplin, tanta solitudine, ma una famiglia vera alle spalle.

Ha la sua prima fidanzata importante, Kathleen, che per lavoro vive a New York. Impensabile vedersi, nemmeno nei weekend. Al telefono Kathleen ha pianto ed ha ammesso di aver baciato un’altra in un bar. Melissa è straziata dalla rabbia, dalla gelosia, dal senso di perdita. Per fortuna ha la sua mamma, perduta chissà dove nel Kansas, dove suo papà insegna, e che ha sempre sostenuto la figlia: Non mi importa se ami un uomo o una donna, sogno solo che tu trovi qualcuno che ami te, con tutta la tua incredibile energia, come ti amiamo io e papà.

Chris Blackwell (secondo da destra) con i giovanissimi musicisti degli U2

Ma anche il Kansas è irraggiungibile. Melissa è venuta a Los Angeles per realizzare un suo sogno: dopo aver suonato per quattro anni in baretti sporchi e cadenti di tutta l’America, un amico l’ha presentata a Chris Blackwell, il produttore della Island, e lui le ha fatto un contratto (quasi gratuito) per un primo disco. Le ha dato dieci giorni. Melissa deve imparare tutto dal nulla, abituata come è a suonare da sola e ad usare la chitarra come accompagnamento, strumento solista e batteria. In studio ognuno ha una parte sola, ed il suono risulta troppo pieno, troppo confuso, sembra Bennato che suona una versione dark della bourrée di Bach. E le canzoni che lei ha portato in sala di incisione non funzionano.

L’unica che va è bene è un gospel che lei suona e canta da sola, ed è perfetto. Rob Fraboni, il produttore scelto dalla Island, chiama Blackwell a New York e gli dice che, secondo lui, non se ne fa nulla. Così Melissa è chiusa in hotel senza cibo e senza alcool, senza amore e senza amicizia, e deve tirar fuori una hit entro la mattina dopo. Proprio mentre sta facendo le valigie per prendere un Greyhound e tornare dai genitori, Blackwell la chiama e la rincuora: Senti Mel, domattina sono a Frisco, nel pomeriggio sono in studio da te e riguardiamo il materiale insieme, vedrai che ne facciamo qualcosa di bello. Tu hai il blues. Non cercare di essere Bruce Springsteen, scrivi qualche riga sapendo che sei Melissa Etheridge, e poi sarà il blues a fare il resto.

Bruce Springsteen e Melissa Etheridge dal vivo

Nel pomeriggio del giorno dopo Blackwell arriva prima della musicista e si mette ad ascoltare il materiale. Smanetta. Toglie tastiere, toglie seconde chitarre, toglie ammennicoli e carabattoline da fighetti, alza la corda più bassa della chitarra di Mel a farle sostenere il cantato, chiede a Kevin McCormick di registrare il basso sulla terza alta, e non sulla dominante. Quando Mel arriva, lei e Blackwell guardano i testi che lei ha scritto la sera prima. Uno è una lettera scritta a Janis Joplin: Che qualcuno mi porti dell’acqua, non vedete che sto bruciando viva? Lui guarda Melissa e dice: questa. Non ha ancora una musica, dice lei. Certo che ce l’ha, non hai ancora avuto il coraggio di lasciare uscire il blues. Ed infatti.

Bring me some water viene registrata il 30 aprile del 1988, perché il giorno dopo è festa nazionale e Blackwell deve consegnare i nastri per la masterizzazione per la mattina del 2 maggio. Solo due takes, poi Chris dice: va bene così. Ora torna a casa, ti telefono. A settembre Melissa è a Los Angeles per il lancio del disco e per registrare il video di Bring me some water. Tre settimane dopo sarà ai primi posti delle classifiche di tutto il mondo e Mel avrà un contratto in tasca per cinque album.

Melissa con le prime due dei suoi quattro figlia: Bailey (sinistra) e Beckett (destra) che morirà si overdose

Negli anni successivi Melissa Etheridge diventerà la vera icona dell’omosessualità femminile, lavorerà alla campagna elettorale della famiglia Clinton, vincerà due grammy awards, le morirà tragicamente di droga la figlia avuta insieme alla sua prima compagna, e supererà il cancro al seno con due anni di sofferenze terribili ed un’operazione chirurgica. Andava sul palco senza capelli, bianca come il gesso, la stessa energia di sempre. Oggi è una donna sposata, è la mamma di quattro figli, la settimana prossima compie 60 anni. Non ha più problemi di peso, è una delle dieci musiciste più importanti d’America e, come dice lei, vive in modo molto più quieto e sereno di prima. Perché la musica è potentissima: o contribuisce ad ucciderti, o ti riporta a galla. Melissa, per fortuna, ha imparato a nuotare.

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