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Dove sono finite le donne?
Mentre sparecchio la cena, la televisione è rimasta accesa sul talk show pre-serale. Anche oggi la conduttrice ha invitato due ospiti: entrambi uomini.
Più tardi iniziano i programmi politici del martedì sera. Faccio zapping: c’è il personaggio simpatico, c’è il comico, poi il ministro, l’onorevole, il direttore, il segretario di partito… tutti uomini.
E’ da un po’ di tempo che ci faccio caso: nelle trasmissioni di dibattito politico le donne non ci sono, o quasi. Può sembrare una fisima da femminista invecchiata male; ma mi sembra un sintomo della loro più generale scomparsa dalla scena politica.
Lo si è visto nella formazione del nuovo governo: a parte un pugno di ministre collocate nei dicasteri tradizionalmente riservati al genere femminile (Difesa, Salute, Pubblica Amministrazione, Affari Regionali, Sud), i nuovi volti del potere sono tutti al maschile e i primi mesi di vita del nuovo esecutivo hanno visto il protagonismo assoluto di tre uomini: un premier di fatto e i suoi due luogotenenti.
L’assenza delle donne dalla scena politica è un problema non per il mancato rispetto delle quote rosa, ma perché nel discorso pubblico tende ad affermarsi un atteggiamento machista, aggressivo, prepotente, nei contenuti e nei modi: ormai le minacce più o meno velate, a volte condite da epiteti poco commendevoli, stanno diventando la normalità; su ogni problema si instaura un braccio di ferro tra leader politici, con conseguente baruffa via social tra i rispettivi fan club; non c’è confronto televisivo che non degeneri in battibecco, se non in zuffa. Gli argomenti, poi, sono dei veri classici della retorica maschilista: c’è sempre un nemico da cacciare (che sia un naufrago dalla pelle scura o un burocrate poco compiacente), un pericolo da sventare (spesso più frutto della paranoia che della realtà), una primazia da affermare a spese di qualcun altro.
Eppure, mai come oggi il nostro Paese avrebbe bisogno della visione di uno sguardo femminile: nella società come nelle famiglie, sono spesso le donne a mediare nei conflitti, a percepire i bisogni inespressi e a farsene carico, a prendersi cura della casa comune – che è tutto ciò di cui avremmo bisogno per ripartire dopo una crisi dalla quale siamo usciti affranti, invecchiati e incattiviti.
Di più: il silenzio delle donne le indebolisce, mette a rischio i diritti che hanno già acquisito – come la libertà di disporre del proprio corpo – e impedisce che la società faccia passi avanti su quelli che ancora non hanno ottenuto, come la parità salariale; permette che la visione maschile si imponga prepotentemente nel riformare il diritto il famiglia e che passi in secondo piano la gravissima piaga del femminicidio.
Non è facile per le donne prendere la parola, quando per riuscirci bisogna essere in grado di urlare più forte degli altri; non è facile inserirsi in un discorso tutto maschile e provare a portarci temi diversi. Eppure dobbiamo sforzarci di farlo, per evitare che la nostra vita pubblica si avviti in una spirale di confronto sempre più muscolare, dove il dialogo e la collaborazione sono negati per principio e la violenza – sia pure quella “di Stato” – emerge sempre più spesso come unica soluzione.
Cominciamo a confrontarci tra di noi, a chiarirci le idee su ciò che vorremmo per noi stesse e per il nostro meraviglioso Paese, a prescindere dall’agenda dei maschi alfa che popolano la scena mediatica. E’ davvero tempo di riprenderci la parola…
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