Questioni di genere
Donne sull’altare: una verità occultata
Nello scorso mese di maggio Papa Francesco ha consegnato alle superiore generali delle congregazioni femminili l’esito dei lavori della commissione di studio sull’ordinazione delle donne al diaconato nei primi secoli della cristianità.
I lavori della commissione avevano acceso le speranze di tante fedeli che si impegnano quotidianamente per una Chiesa più inclusiva ed egualitaria, ma in quell’occasione il Papa ha detto sostanzialmente che il lavoro si era concluso con un nulla di fatto: tra gli esperti non c’era accordo sui risultati e quindi l’unica strada era continuare a studiare l’argomento.
Questo invito è stato raccolto da molti studiosi, tra i quali i ricercatori dell’Istituto Wijngaards, un centro di ricerca inglese fondato nel 1983 dal teologo John Wijngaards per promuovere l’uguaglianza di genere nella Chiesa cattolica.
Nei primi giorni di luglio a Roma l’istituto ha promosso convegni e visite guidate alle basiliche romane per mostrare le scoperte dell’archeologa Ally Kateusz: prove documentali del fatto che le donne hanno servito in funzioni sacerdotali nei primi secoli del cristianesimo.
La dott.ssa Kateusz, autrice di “Mary and Early Christian Women: Hidden Leadership”, ha presentato i risultati della sua ricerca anche nel corso dell’annuale convegno della società teologica internazionale svoltosi all’Università Gregoriana. Ha mostrato un mosaico del Battistero del Laterano raffigurante Maria, la madre di Gesù, come vescovo, con la croce rossa sulla veste, distintiva dei vescovi. L’aspetto che ha colpito di più è stata la scoperta che proprio quel simbolo vescovile fosse stato per secoli nascosto, coperto con una vernice bianca.
Ha poi presentato delle sculture in avorio, la prima appartenente al reliquiario di Pola del V secolo (Museo Archeologico di Venezia) che illustra l’area dell’altare dell’antica Basilica di San Pietro, la seconda una pisside rotonda datata (500 d.C., Metropolitan Museum of Art di New York) che raffigura l’area dell’altare nella rotonda di Sant’Anastasia a Gerusalemme. Sorprendentemente, entrambi i manufatti ritraggono donne che partecipano alla liturgia nella zona dell’altare di queste due basiliche. Data l’assenza di manoscritti liturgici risalenti a questo primo periodo, questi due manufatti offrono indicazioni sulla prassi della liturgia paleocristiana riguardo al genere. A corroborare tale tesi ci sono opere in tutto il mediterraneo, tra le altre i mosaici della Basilica di San Vitale a Ravenna (550 d.C.), dove si vede l’imperatrice Teodora con in mano il calice.
È evidente che non si tratta semplicemente di reperti storici, ma di vere e proprie evidenze in grado di ridefinire ciò che abbiamo sempre considerato come tradizione inveterata. Evidenze che non possono essere liquidate facilmente, come ci ha raccontato la dottoressa Kateusz: “ci sono tre potenti motivi per cui la gerarchia non può ignorare questa prova: in primo luogo, questi sono i tre più antichi artefatti che raffigurano i cristiani sull’altare in una vera chiesa: due raffigurano uomini e donne in pose parallele che fiancheggiano l’altare, mentre la terza raffigura donne e solo donne all’altare. In secondo luogo, questi reperti illustrano la liturgia in tre delle più importanti chiese della cristianità: la Basilica di San Pietro a Roma, la Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli e la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Terzo, non ci sono manufatti paleocristiani che raffigurano uomini, e solo uomini, sull’altare di una vera chiesa”.
Il dottor Luca Badini, del Wijngaards Institute afferma inoltre che “Le scoperte della dottoressa Ally Kateusz si aggiungono ad una quantità consistente di evidenze sia scritte che iconografiche.
Presa nella sua interezza, tale evidenza conferma l’esistenza di donne che esercitavano autorità liturgica e sacerdotale nel cristianesimo dei primi secoli. Questo non fu un fenomeno marginale, ma al contrario esteso ai principali centri del cristianesimo primitivo. E il fenomeno di donne nel clero continuò a lungo. Per esempio, libri liturgici dell’ottavo secolo contengono ancora i riti per l’ordinazione diaconale delle donne, che sono identici a quelli per l’ordinazione diaconale degli uomini. Anzi, alcuni di questi libri sono conservati nella biblioteca Vaticana!”.
Con la lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis, del 1994 e richiamata recentemente dal cardinal Ladaria, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è inteso chiudere per sempre la questione dell’ammissione delle donne agli ordini sacri invocando il fatto che la Chiesa non avrebbe la “capacità di cambiare questa sostanza” ovvero che mancherebbe l’autorità per introdurre un cambiamento del genere, ma “ora che le prove storiche continuano ad accumularsi, sarà sempre più difficile mantenere quell’argomentazione” ha detto Badini.
La Chiesa cattolica vive un periodo di grande fermento per quanto riguarda la questione femminile. Nell’ultimo anno si è assistito a un deciso cambio di passo: dall’interlocuzione minoritaria di gruppi avanzati (le teologhe, gruppi di advocacy femminile) ad azioni che hanno il sapore della protesta allargata. Nell’ottobre scorso è stata presentata ai padri conciliari riuniti a Roma una petizione firmata da quasi diecimila cattolici di tutto il mondo per chiedere il voto alle donne ai Sinodi; nel mese di maggio si è svolto uno sciopero delle cattoliche tedesche, che sta continuando con azioni più puntuali in Germania, ma anche Svizzera.
Sono segnali che qualcosa di profondo nel rapporto tra donne e chiesa è cambiato ed è venuto il momento che anche da parte della gerarchia si prenda atto del fatto che non è più immaginabile una Chiesa che confina più di metà dei suoi fedeli fuori dai principali processi decisionali e dalle posizioni di autorità.
Ma ancor più profondamente c’è in gioco la vocazione delle persone, quel discernimento così caro a Papa Francesco e che nelle donne è reso monco. Infatti quando si parla di ordinazione non si parla di diritti, dato che nessuno ha il “diritto” di essere ordinato, si tratta piuttosto di aprire un varco affinché le donne che si sentono chiamate possano realmente fare discernimento e non siano immediatamente respinte sulla base di argomentazioni teologicamente deboli e storicamente falsificabili.
Se davvero c’è stato un sistematico occultamento delle prove che nei primi secoli le donne hanno servito sugli altari – almeno – come diaconi, è doveroso che la Chiesa restituisca alle fedeli la verità così a lungo taciuta e intraprenda una strada diversa, una strada al tempo stesso nuova e antica.
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