Letteratura

Dea, femminile singolare

3 Febbraio 2022

“Di quello di cui non si può parlare, si deve tacere.”

Così Ludwig Wittgenstein scioglieva ogni legame con la logica di Aristotele, di Tommaso d’Aquino, fino ai suoi contemporanei, e con ogni seguito all’uso possibile del suo lavoro sul Tractatus per giustificare qualsiasi pratica del calcolo logico che non fosse legata al solo  dispiegarsi di una macchina di verità formale. Lasciare libero dalla scrittura e dal calcolo il campo del trascendente, il sentimento religioso, lo stupore dell’immaginazione, era il risultato.

Il Dio che noi conosciamo fin dall’infanzia, che lo sappiamo o no, è invece scrittura totale, l’idea stessa di una scrittura fonetica è quella di una voce che precede lo scritto, di cui il segno è un deposito, fino al punto di essere luogo sacro il corpo stesso del libro. Così è per gli Ebrei. Nei loro riti è il libro a stare in un armadio, sacro come nel rito cattolico lo è il pane. Il libro viene svelato, venerato e declamato, cantando e bevendo vino. Le donne assistono, gli uomini agiscono, quasi in loro onore. Il catechismo cristiano cattolico è un deposito di logica aristotelica filtrata attraverso Tommaso d’Aquino, arrivato a noi quasi intatto. A prezzo di qualche sacrificio, purtroppo o per fortuna. Quindi si fa il contrario di quello che scriveva Wittgenstein. Eppure questo eccesso di scrittura e lettura continua a tacere qualcosa, come ogni testo ben scritto.

In questo silenzio, o da questo silenzio, si muovono le storie dell’ Altra Metà di Dio, di Ginevra Bompiani. Con grande coraggio, l’autrice costruisce questo saggio sospeso a metà fra una favola e un indice di storie analoghe, e interroga prima di tutto il lettore sul rimosso di una presenza femminile della divinità.

Per farlo, il punto di partenza è la distruzione creatrice, il gesto per cui le risorse aumentano in modo esponenziale  con il disordine generato dalla distruzione, invece che moltiplicarsi con le attese e le pause di una costruzione. La seconda parte del saggio sviluppa il tema della punizione, e la terza infine quello della mistificazione. L’epilogo è una chiusura e un riepilogo, quasi un emblema, per evitare che un lettore meno avvertito possa perdere il senso di tutto questo lavoro e di questa ricerca, non brevi. E il senso è una liberazione dal paradigma distruzione-punizione-mistificazione. Oscillando fra Neumann e Jung, senza mai coincidere con il pensiero di nessuno dei due autori, Ginevra Bompiani parte da un mormorio rimosso, che precede parola e immagine.

Da lettori meno esperti, allora, iniziamo dal riepilogo. La prima delle tre figure, la distruzione forse ci è molto familiare, lo è così tanto che spesso ci sorprendiamo a pensare che per tutelare le risorse del pianeta sia meglio morire bene da soli, invece che vivere meglio insieme. La seconda, la punizione, risponde alla domanda perché pensiamo la punizione necessaria e utile, fino a “sostituirla al destino”. Insomma, siamo nati per essere puniti di essere vivi, è la tautologia che giustifica qualsiasi sacrificio come necessario, anche il meno sensato. Infine, la mistificazione è il velo che nasconde le prime due, tessendo una trama seducente e rassicurante, tale da farci desiderare sia la distruzione che la punizione, attribuendola a una volontà trascendente. Ottenuta l’adesione totale di chi si riconosce, il processo non smette di ripetersi, produttivo perché riproducibile. La trasfigurazione della violenza nel suo contrario, la mistificazione, occupa infine tutto lo spazio della nostra immaginazione, privata del silenzio che Wittgenstein chiedeva.

Perché, allora, parlarne, se ne siamo già invasi? L’ambizione del mosaico dei tre saggi è fare trasparire uno spiraglio, come accade nelle scene sacre, in cui nello sfondo c’è sempre un albero, a volte carico di frutti, a volte tagliato, come è nel dipinto di Vivarini del Cristo che porta la croce, probabile fine di quell’albero di cui vediamo solo una radice estirpata.

L’albero che appare sempre è la natura femminile di Dio, è la Dea. Di volta in volta, albero, croce, sostegno, giardino.

Dunque, distaccandosi sia dalla teologia politica che dalla psicologia degli archetipi, il mosaico insegue lo stesso significato, con significanti diversi: quello di una Dea, risalendo a ritroso attraverso miti e rappresentazioni, figurazioni e narrazioni, di diverse epoche, provenienza e cultura. Non si esce però dall’alveo delle culture indoeuropee, rimanendo in Europa. E in Europa  il culmine e l’abisso della distruzione hanno preso corpo con la Shoah. Non è un argomento indagato nei tre saggi, perché farlo richiederebbe molto altro spazio, insieme con un lavoro sconfinato di precisazioni, ma il fantasma dello sterminio aleggia dalla prima pagina. L’effetto della sovrapposizione di queste figure è che, avanzando nella lettura, il deserto di segni e scritture diventa una foresta di dee diverse per età, forme, simboli, rappresentazioni, astrazioni. Ma il significato è sempre quello di una madre, vergine, che accompagna alla morte, e non si corrompe ma si rigenera. Di questa figura si evocano le storie possibili, in età lontane nel tempo e nello spazio. Incluso la nostra, possibile futura. Il suggerimento del libro è che forse ascoltare il silenzio di una Dea perduta potrebbe essere la via di fuga da un uso cattivo che facciamo delle parole, delle scritture, dei segni e dei gesti che si impadroniscono di noi, precedendoci in un passato recente. Ascoltare il silenzio non di Dio, ma della Dea, potrebbe forse ricordarci cosa ci unisce al destino della terra, e aiutarci a vedere il cielo non come il luogo da cui originano punizioni e giudizi, ma aperto di aria e relazione. Ricordando che questo anche nella Bibbia c’è già. Le prime parole della Bibbia, traslitterate, suonano Breshit Berà Elohim, il brivido con cui inizia la creazione è una brezza leggera, è lo Spirito che in italiano è solo maschile, ma che in ebraico è femminile. Il Dio della creazione è singolare e plurale, maschile e femminile, e non c’è alcuna contraddizione in questa compresenza. L’effetto è paradossale; da un lato il meccanismo distruttivo e generativo insieme, innescato da colpa, punizione, redenzione è descritto così bene da sembrare a tratti l’unico possibile, dall’altro, se si legge il negativo della scrittura come una favola, un indice di favole possibili, l’autrice ci lascia con il desiderio di riconoscerla questa Dea, di prendersene cura, di non dimenticarla, di vederla nelle figure delle statue votive agli angoli delle strade, come nella rugiada delle foreste, nella pazienza e nel silenzio della costruzione invece che nell’economia della distruzione.

E questo atto richiede molto coraggio, perché è il contrario di quello che siamo abituati a pensare. La Dea è infine il coraggio di una differenza.

 

Ginevra Bompiani, L’altra metà di Dio, Feltrinelli, Milano 2022, 2a ed. Economica, 280 pp.

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