Letteratura
Dalle donne vichinghe alle valchirie di Odino, dalla storia al mito
Valchirie. Sul campo di battaglia sono loro che decidono quali guerrieri vivono e quali muoiono, secondo la mitologia norrena; nell’immaginario collettivo, anche italiano, sono sinonimo della donna battagliera, tenace, pronta a rompere qualsiasi soffitto di cristallo e a superare ogni ostacolo.
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Strane muse, da secoli protagoniste dell’epica e del folklore nordeuropei, e di opere senza tempo di romanzieri, musicisti, poeti e artisti come Heinrich Heine, Richard Wagner, Johan Gustaf Sandberg, ed Edward Robert Hughes.
Ma oltre il mito c’è la storia. Secondo la studiosa islandese Jóhanna Katrín Friðriksdóttir, autrice del saggio Valkyrie, the women of the Viking World (Bloomsbury, 2020), le valchirie ci dicono molto su com’era interpretato il ruolo delle donne ai tempi dei vichinghi. «Una società che elabora una figura come la valchiria, vede senz’altro le donne come persone dotate di un ruolo, abituate a prendere decisioni importanti», ritiene Friðriksdóttir.
Nata a Reykjavík, un dottorato in letteratura medievale all’Università di Oxford, Friðriksdóttir ha scandagliato le saghe nordiche e i reperti archeologici per scrivere questo saggio e gettare luce sulla quotidianità femminile ai tempi dei vichinghi. La quotidianità di donne prive di poteri sovrannaturali, ma che sfidavano i maschi della loro famiglia o trovavano il modo di raggirarli, fondavano imprese di successo, elargivano preziosi consigli, e suggerivano ottime strategie a mariti in preda a furori poco razionali. La legge vichinga garantiva alle donne diritti che altrove rimasero una prerogativa maschile per lunghissimo tempo; ma se le donne non si davano da fare per la sua applicazione, la legge restava lettera morta.
Di tutto questo abbiamo parlato con l’autrice.
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Negli ultimi anni i vichinghi sono diventati un argomento incredibilmente popolare. Persino a Yale, dove ho insegnato mitologia nordica fra il 2017 e il 2019, gli studenti erano molto curiosi, facevano tantissime domande. Sono stati girati documentari, serie televisive, e nel tempo ho sentito di avere qualcosa da dire a riguardo.
Cioè?
Avevo l’impressione che venissero fatte troppe semplificazioni. Sentivo spesso dire che le donne vichinghe avevano molti più diritti che nel resto d’Europa, ad esempio, e sentivo il bisogno di spiegare che, nonostante esistessero delle leggi, la quotidianità femminile non era così chiara e semplice. La realtà era molto più complessa. Però sentivo anche di non poter affrontare un discorso del genere, che so, in un articolo, un blog post, e men che meno in un Tweet [ride]. Bisogna scrivere un saggio per occuparsi delle sfumature.
Che tipo di sfumature?
Ad esempio, le donne avevano il diritto di ereditare e anche di divorziare. È scritto nelle leggi dell’epoca, e c’è stato almeno un viaggiatore straniero che visitò l’attuale Danimarca nell’era vichinga e poi scrisse che le donne lì avevano il diritto al divorzio. Ma leggendo le saghe con attenzione, ci si accorge che esisteva una struttura sociale piuttosto chiara, e che se un maschio della famiglia si opponeva al fatto che una donna ereditasse una proprietà o che divorziasse, allora tutto diventava meno semplice. Non bastava appellarsi alla legge.
Di cosa c’era bisogno quindi?
Bisognava avere una certa influenza, un certo potere, per far valere i propri diritti. Ma non era affatto facile. Spesso e volentieri la legge non veniva seguita affatto, molto dipendeva dagli equilibri della politica famigliare, per così dire, e dagli interessi in gioco. Nel capitolo del libro sul matrimonio e il divorzio racconto l’esempio di Thurid, la cui famiglia la obbliga a sposare un uomo che non le piace affatto e non considera alla sua altezza, ma che è molto ricco, e pertanto paga un prezzo assai alto per lei. Ci si potrebbe chiedere: perché non divorzia e basta, visto che la legge lo consente? Il punto è proprio questo: quel pretendente serve al fratello di Thurid per le sue ambizioni politiche, quindi lei non può contare sul sostegno di nessuno per rompere il matrimonio. E pertanto rimane incastrata finché lui non muore. Lo stesso succede a Heimkringla, sorella del re Olaf Tryggvason, il quale le ordina di sposare un uomo che vuole come alleato, e le manda un uccello spennato come minaccia, per costringerla a obbedirgli. Quando troviamo donne che riescono a divorziare da mariti che non apprezzano, è sempre perché il padre o i fratelli le sostengono avendo l’interesse a farlo. È una questione di potere. Il matrimonio è un buon esempio di come le donne venivano utilizzate come merce in quel sistema sociale. E di come la realtà fosse ben più complessa di quanto possa sembrare studiando solo le leggi.
È così anche oggi, a suo avviso? La realtà nei paesi scandinavi è più complessa di quanto si possa pensare guardando ai ranking sull’uguaglianza di genere che vedono sempre i paesi nordici nelle prime posizioni?
Sì, certamente. Esistono molti studi che hanno provato che per quanto un diritto sia sancito dalla legge, spesso manca la volontà di farlo davvero rispettare. Pensiamo per esempio alla parità salariale, o alla tutela contro le molestie o le violenze sessuali. In Danimarca, ad esempio, è recentemente scoppiato un enorme scandalo riguardo abusi e molestie sessuali. La legge danese ovviamente sanziona le molestie sessuali. Ma chi farà davvero smettere le persone di commettere azioni di questo tipo finché rimarranno circondate da una cultura del silenzio e dell’oppressione?
Che idea si è fatta, scrivendo questo libro, delle donne vichinghe? A suo avviso quali erano le loro qualità principali?
Direi la loro assertività e l’intraprendenza, il fatto che lavorano molto e si danno da fare. Sono consapevoli del mondo intorno a loro e capaci di analizzarlo in modo strategico. Ovviamente non possiamo generalizzare, nemmeno studiando le saghe. Troviamo personaggi femminili molto assertivi, magari per natura, e altri più passivi. Spesso tendiamo a vedere le società medievali come molto oppressive verso le donne, ma credo che ci siano state molte sfumature, anche a seconda dei luoghi e dei periodi.
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Per quanto riguarda le società nordiche, ad esempio, è vero che spesso le donne venivano obbligate a sposare determinati uomini per questioni politiche; tuttavia il matrimonio faceva anche sì che le donne ottenessero un certo potere e molti diritti. Le fonti scritte ci dicono poi che tante donne si dedicarono al commercio, alla produzione di tessuti e abiti, per guadagnare i propri soldi. E in una società dove le donne, in generale, vengono educate e cresciute per essere sempre passive e subordinate, è molto più raro che una donna diventi improvvisamente assertiva o metta su un’impresa. Dobbiamo comprendere che deve essere stato qualcosa di intermedio fra gli estremi di “completa parità” e “oppressione femminile generalizzata”.
In effetti dal suo libro emerge in modo molto chiaro quanto il patriarcato possa essere fatto di sfumature. Il che spesso lo rende anche più difficile da contrastare.
Sì, assolutamente. È un vero e proprio shock quando ti capita di essere discriminata o di subire qualche tipo di violenza dopo essere cresciuta sicura di non subire mai nessun tipo di oppressione o discriminazione. Certo, l’epoca vichinga era brutale, tutto dipendeva dalla classe a cui si apparteneva; si evince dalle storie delle donne di alto status sociale, che spesso crescevano con la convinzione di avere molto potere, ma poi si ritrovavano a dover sposare uomini che non gradivano perché così volevano i maschi della loro famiglia.
Come mai ha voluto cominciare dalle valchirie?
Perché sono delle figure mitologiche fondamentali, visto che decidono loro quali soldati sopravvivranno a una battaglia e quali invece soccomberanno. E una società che elabora una figura del genere nella propria mitologia senza dubbio vede le donne come persone con un ruolo, che prendono molte decisioni. E nel libro spero di dimostrare che in effetti nelle saghe esistono molti esempi di donne influenti, che esercitano un certo potere. Un aspetto che si riscontra dallo studio delle saghe, ad esempio, è l’ossessione per le donne che manipolano gli uomini e li manovrano a loro piacimento. Io però mi sono interessata ai casi in cui le donne davano ottimi consigli ai loro uomini. Per esempio si trovano molti casi di regine che erano consigliere dei propri mariti, e che spesso si pronunciavano a sfavore delle soluzioni violente. Magari il re è molto arrabbiato e vuole dichiarare guerra a qualcuno che l’ha offeso, e lei è quella che lo calma e lo convince che sarebbe una sciocchezza perché l’altro ha un esercito più forte, mostrando un pensiero più strategico. A tal punto che anche i narratori le lodano per la loro saggezza e intelligenza. È la dimostrazione che, pur senza la forza fisica, queste donne avevano un potere, quello di influenzare le strategie del regno.
Molto dipendeva insomma dalla classe di appartenenza e dalle risorse economiche a disposizione, giusto?
Esatto Valentina. Credo che la vita, per le donne delle classi più basse, fosse perlopiù orribile. Dubito che venissero mai ascoltate, qualunque cosa avessero da dire. Le contadine invece dovevano stare sempre all’erta, osservare bene ciò che accadeva intorno a loro per prevedere magari lo scoppio di un conflitto che potesse metterle a rischio. Questa presenza di spirito, questa intraprendenza, sono doti che compaiono spesso nelle saghe. E mentre mi documentavo sui reperti archeologici sono rimasta affascinata dalle iscrizioni sulle rune pagate dalle donne, frasi come “questa runa è in memoria di mio marito ed è stata pagata da me”. Le ho viste come un modo di affermarsi, di occupare dello spazio, diciamo così, mentre ancora oggi noi donne siamo sempre lì a scusarci per la nostra presenza, o a farci più piccole per occupare meno spazio se accanto a noi si siede un uomo che “si allarga”, per così dire [ride]. Adoro che quelle donne abbiano voluto affermare la loro presenza anche ai posteri, invece. Penso che siano grandi, degli ottimi modelli a cui guardare.
Pensa che questo bagaglio culturale abbia avuto un ruolo nella costruzione dell’identità più attenta alla parità di genere nei paesi scandinavi? Magari è stato utile quando le scandinave hanno dovuto combattere per i propri diritti?
Senz’altro vi hanno fatto spesso ricorso in passato, soprattutto durante la prima e la seconda ondata del femminismo. Però mi interrogo spesso su quanto possa essere utile ispirarsi a figure fantastiche. La mia generazione, per esempio, è cresciuta con personaggi tipo Pippi Calzelunghe e storie che raccontano che noi ragazze possiamo fare qualunque cosa vogliamo. Poi però cresci e ti scontri con una realtà in cui l’uguaglianza di fatto non c’è. E a volte tutte queste immagini e storie di figure femminili di grande successo che si raccontano alla ragazze sembrano una sorta di risarcimento. Come se fantasticando di poter fare qualunque cosa potessimo consolarci di non avere la piena parità, di essere una sorta di cittadine di serie B, nella realtà.
Le saghe sono ancora importanti per la gente nei paesi scandinavi?
Tempo fa, a Reykjavík è stata realizzata un’opera teatrale ispirata a una delle più importanti saghe nordiche, la Saga di Njáll, e ha fatto il tutto esaurito già parecchi mesi prima di andare in scena, è stata incredibilmente popolare. Magari da giovani è facile trovarle noiose, sono una lettura obbligatoria in classe. Però quando sono inserite in un progetto innovativo hanno sempre un grande successo. Basta guardare alla popolarità di ogni tipo di narrativa vichinga, le leggende, la mitologia. Sì, credo che queste saghe abbiano ancora una certa importanza e che la gente ne vada orgogliosa.
Nel libro lei accenna agli accesi dibattiti sulla possibilità che siano veramente esistite delle donne guerriere. Secondo lei perché quest’idea è così affascinante per alcuni e così controversa per altri?
Per come la vedo io, il grande interesse per queste figure rientra in fenomeni e processi del nostro tempo. Ad esempio, è un argomento che viene utilizzato per escludere le donne dalle rievocazioni storiche. Sa, esiste tutta una sottocultura ispirata ai vichinghi in cui le persone si travestono e ricostruiscono interi eventi e intere battaglie, e alcuni di questi gruppi escludono le donne col pretesto che sarebbe anacronistico dal punto di vista storico. Il che è assurdo visto che le rievocazioni di per sé sono una finzione naturalmente.
Nelle saghe le donne guerriere sembrano essere figure puramente leggendarie. Io ho cercato di affrontare la questione parlando del dibattito riguardo l’interpretazione delle tombe femminili contenenti armi, o di testi che citano donne guerriere ma che furono scritti quattro secoli dopo la fine dell’era vichinga. Credo anche che viviamo un periodo in cui è diventata molto più accettabile la donna allenata, con un fisico forte, e che come società stiamo vivendo delle vere e proprie lotte ideologiche. Il che fa sì che queste figure vengano utilizzate in un senso e nell’altro.
La solidarietà femminile è un valore importante nelle saghe nordiche?
A essere sinceri esistono studi incentrati proprio sulla quasi totale mancanza di conversazioni tra due donne nelle saghe [ride]. Però c’è un famoso esempio nella saga di Erik il Rosso, che racconta di un gruppo di donne intente a fare un rituale per invocare gli spiriti insieme a una profetessa, e che per farlo devono cantare una canzone con lei. Nessuna di loro però conosce questa canzone, a parte la profetessa e una famosa eroina chiamata Gudrid Thorbjarnardottir. La quale racconta di conoscerla perché gliel’aveva insegnata la sua madre adottiva, e lo dice con parole che esprimono un grande affetto. Ci sono un paio di altri casi in cui delle donne parlano delle proprie madri adottive con grande dolcezza.
Però in molti altri casi le donne sono estremamente cattive l’una con l’altra, episodi in cui si percepisce un sottotesto piuttosto misogino dell’opera. Spesso le liti scoppiano per motivi che possono sembrare futili, almeno fino a che non si ricorda che le risorse erano davvero scarse, e che le lotte per lo status e il potere erano feroci. Probabilmente se tutti avessero avuto ciò che serviva per vivere non avrebbero lottato così tanto fra loro.
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Immagine in copertina: Valkyrior ridande till strid – Johan Gustaf Sandberg (1818)
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