Cooperazione
Cooperazione e femminilizzazione. Uno sguardo partecipato
In questi tempi si è parlato molto di resilienza e del concetto più sofisticato di antifragilità: fanno entrambi riferimento alla capacità di reagire ai cambiamenti improvvisi e agli shock, con una competenza più o meno allenata alla resistenza o alla trasformazione. Ma non vi parlerò di teorie, perlomeno non in modo astratto, ma di come, secondo la nostra esperienza, il cambiamento non sia solamente una strategia, ma una tensione, una pratica, un esercizio e, veramente, un fenomeno sistemico. Che significa? Che non c’è un’unica ricetta valida per tutti, che se l’intenzionalità ne consente la realizzazione, il contesto ne determina alcuni aspetti; che non è una mappa che si può solo disegnare e che la capacità di resiliere non è una modalità on/off, che si accende o si spegne, che si possiede o no, ma è la risultante di una serie di scelte ed azioni incrementali.
Lama è una cooperativa di lavoro che si occupa di design dell’innovazione e sostenibilità; fondata nel 2007 da 3 giovani compagni universitari, oggi conta 12 soci lavoratori e 2 società controllate: Impact HUB Firenze, il coworking dell’innovazione sociale della rete globale Impact Hub; e M.I.M. (Made in Manifattura), con cui gestiamo l’uso temporaneo degli spazi di Manifattura Tabacchi Firenze.
Nella nostra storia, sia di imprenditori che agiscono in prima persona, che di consulenti che accompagnano organizzazioni e luoghi in processi di trasformazione, si rintracciano a ben vedere una serie di elementi culturali, identitari e di purpose che certamente sono tra le determinanti per la creazione di valore che trovate nei libri di business management, ma che nei fatti funzionano nel momento in cui vengono appresi in modo permanente dalle organizzazioni, fin ad interiorizzarli come modus operandi.
E, se dovessi dare un ordine di priorità, credo che questa capacità di apprendimento continuo sia uno dei tratti fondamentali che contraddistingue la nostra realtà imprenditoriale, insieme all’elemento costitutivo di essere una cooperativa. In questo senso, il carattere cooperativo non risiede solamente nell’essere e sentirsi tali, nel dare forma all’agire attraverso i valori cooperativi, nel trovare nell’organizzazione collettiva la risposta alla solitudine dell’entreprecariat; ma anche in quella di sentirsi soci, che significa certamente agire sotto l’ala protettiva di un destino comune, ma al contempo caricarsi di autonoma responsabilità nel contribuire alle sorti di quello stesso destino. In un tempo di repentine trasformazioni come quello che stiamo vivendo, di crisi collettiva e spesso personale, di violenti cambiamenti organizzativi imposti alle attività, l’essere soci ha semplificato molto la transizione verso la nuova normalità. La fiducia, di cui i legami tra soci si nutrono e che sta alla base di qualsiasi processo di trasformazione organizzativa, è stata il lubrificante che ci ha concesso di scivolare molto agilmente in questa nuova fase di smart working, meeting virutali e più entropica tensione al domani. Il tema del socio è un grande tema su cui la cooperazione si interroga da tempo, dalla regolamentazione ed evoluzione della figura, alle strategie di ingaggio e rinvigorimento del valore intrinseco che il ruolo dovrebbe incorporare e che invece spesso risultano sbiaditi o dimenticati.
Quindi, se per cambiare bisogna agire sui legami fiduciari e questi stanno alla base di un’organizzazione cooperativa, forse la domanda da porsi oggi è come costruire questa fiducia.
E qui, il purpose cui facevo riferimento a livello teorico, assume carattere pratico. Perché definire con chiarezza il perché di un’organizzazione, della sua esistenza, del suo posto nel mondo e fari sì che questo divenga il perché di tutti quelli che vi appartengono, l’elemento in cui si riconoscono le persone, con il quale si sentono motivate e attraverso il quale vengono selezionate per risonanza, sta alla base della creazione di un meccanismo di fiducia, che parte dalla chiarezza nella definizione del perché e si concretizza nella coerenza dell’azione e nella consistenza del risultato.
E se, per motivi casuali, forse, il nostro gruppo è nato sulla base di un comune background culturale e di un perché, non è per motivi casuali che questo gruppo è cresciuto ed ha scelto le sue persone. Il nostro golden circle sta funzionando: la coerenza delle nostre azioni e scelte, che non sono solo comportamentali e comunicative, ma di mercato e nella definizione dell’offerta ad esempio, si sta raffinando nel tempo, consentendoci di creare valore relazionale, non disperdere energie ed ottimizzare i risultati.
Come molte organizzazioni ci dotiamo di una strategia triennale, che revisioniamo annualmente, che indica le direzioni di sviluppo delle nostre attività e del nostro gruppo. È un documento condiviso, creato a più mani, da diverse prospettive e con eterogeneità di competenze e punti di vista. Un prodotto interno che di volta in volta definisce il dispiegarsi in azioni del nostro perché, che si aggiorna non nel suo essere, quanto nel suo divenire, grazie all’ascolto attivo del mercato e dei nostri stakeholders da un lato e dall’adozione di una prospettiva pull, dall’altro. Quest’ultimo concetto, importato per estensione dalla Lean Production, identifica un atteggiamento proattivo delle organizzazioni rispetto alla capacità di stare nei flussi di conoscenza, praticare la serendipità e posizionarsi sul mercato con la capacità di comunicare fortemente i propri valori e la coerenza dei propri comportamenti.
La sfida che tutti dovremmo porci come obiettivo è trasformare questi principi in cultura organizzativa, la vera leva attraverso la quale si possono trasformare le prestazioni di un’organizzazione. Il terreno nel quale i dipendenti agiscono e interagiscono, capace di definire come affrontano le sfide e rispondono ai cambiamenti e in che modo l’organizzazione nel suo complesso si rappresenta agli stakeholder, siano essi potenziali dipendenti, partner, clienti o comunità. Nel tentativo di riconoscere la pervasività e la fluidità della cultura, gli studiosi di management e organizzazione ora considerano la cultura organizzativa come composta da un “kit di strumenti” aperto, vario e flessibile di risorse. Questa tendenza rappresenta uno spostamento significativo da come è stata descritta in passato, intesa come un codice interno che i leader stabilivano e che si radicava nel tempo. I recenti sviluppi negli studi sull’organizzazione esplorano come queste nuove intuizioni segnalino la democratizzazione della cultura organizzativa e suggeriscano che le azioni e i comportamenti che costituiscono la cultura di una realtà siano accessibili a qualsiasi membro della stessa.
Comprendere questa nuova prospettiva può aiutare le persone a sintonizzarsi meglio, navigare e orientare le proprie culture per essere più sensibili alle esigenze e alle opportunità in evoluzione della propria organizzazione, comprese le richieste della società a divenire più inclusive e sostenibili.
Nella costruzione di questi percorsi è evidente come alcuni riferimenti culturali facciano da faro nell’orientare l’azione, riferimenti dell’organizzazione così come dei singoli soci e dipendenti che contribuiscono alla creazione del nostro valore.
Personalmente opero presso LAMA da 2 anni e da meno di 1 ne sono diventata socia, ma è come se ci fossimo trovati e ri-conosciuti da sempre. L’ambiente e la cultura che animano la nostra realtà sono tangibili, dagli spazi, alle relazioni, alla governance. La possibilità che mi è stata concessa (o richiesta), così come agli altri, di inventarmi un modo di contribuire al cambiamento, apportando il valore delle mie competenze, della mia storia e della mia sensibilità, è anche il segno della volontà di investire in processi orizzontali, necessari alla crescita di un’organizzazione prevalentemente project-driven, e la conseguenza di una visione di cambiamento sistemico, non solamente interno ma anche esterno all’organizzazione.
Così il path dell’innovazione sociale su cui la nostra organizzazione ha costruito le proprie fondamenta, insieme all’adesione agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e ad una visione ecologica dei sistemi, si ibrida nel mio lavoro e nella mia visione con lo sguardo alle organizzazioni liquide così come a quelle positive e vuole andare nella direzione di una femminilizzazione delle relazioni – per dirla alla Ada Colau, prendendo in prestito il termine che lei ha portato alla ribalta in riferimento alla politica – intesa come la necessità di investire, non solo in termini di rappresentanza numerica di genere, ma di valori e di pratiche, nel rimettere al centro dell’agire politico, sociale ed economico, una sensibilità femminile, il concetto di cura, di comunità, di attenzione ai bisogni e ai diritti, per realizzare un equilibrio ed un benessere collettivi ed olistici, così da alimentare il motore di un nuovo paradigma di sostenibilità economica, sociale ed ambientale. Lo possiamo considerare come un altro modo di vedere l’umanizzazione e il ruolo dei dati caldi nel comprendere la complessità dei sistemi. Consiglio vivamente di esplorare la teoria degli warm data di Nora Bateson, a chi oggi si pone le domande per capire come possiamo iniziare a dare un senso ai fallimenti dei sistemi esistenti e come possiamo vivere insieme in nuovi sistemi che generano vitalità per gli individui, le comunità e la biosfera.
Ho qui tentato di mettere a fuoco e collegare i puntini che legano pensieri ed azioni; puntini distribuiti in modo tutt’altro che lineare ma che, ricondotti in un quadro di senso, penso raccontino – dal mio punto di vista – molto di quello che siamo e di quello che siamo stati capaci di fare in questa fase senza precedenti nella nostra vita imprenditoriale ed individuale.
Abbiamo abbracciato il cambiamento, lo stiamo navigando grazie ai nostri valori e con il supporto di strumenti in parte già esistenti ed altri su cui sentiamo la necessità di dover ancora investire, ma ciò di cui siamo consapevoli è che non arriverà mai il giorno in cui potremmo smettere di apprendere, di prototipare e di cambiare, in un processo continuo e reiterato; se non quando lasceremo ad altri questo compito o considereremo questa avventura imprenditoriale conclusa. Se Cicerone ci ha insegnato che finché c’è vita c’è speranza, e il filosofo Emerson che finché c’è vita c’è pericolo, noi potremmo concludere aforisticamente che finché c’è vita c’è cambiamento.
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LAMA nasce nel 2007 come cooperativa di lavoro, a partire da una storia di cooperazione allo sviluppo, che lascia in eredità a LAMA un’expertise internazionale oggi valorizzata nella capacità di stare dentro le reti globali della ricerca e dell’innovazione. Nel 2013 fonda la società The Hub Firenze che gestisce lo spazio di coworking Impact Hub Firenze, dove LAMA ha la propria sede. Nel 2019 costituisce MIM – Made in Manifattura – la società attraverso dui gestisce gli spazi di Manifattura Tabacchi a Firenze. Da oltre 10 anni LAMA disegna, sviluppa e valuta progetti di cambiamento per imprese, istituzioni, mondo cooperativo e terzo settore. È una cooperativa, un gruppo di aziende, una piattaforma di professionisti e competenze, una comunità di persone vocata all’innovazione. https://agenzialama.eu
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Articolo originale pubblicato su Rivista Impresa Sociale, 25/05/2020
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