Letteratura
Carmen Mola una e trina, ma trans
La fantastica rivelazione che Carmen Mola, autrice di romanzi d’azione abbastanza trucidi che va per la maggiore, non è una donna è avvenuta alla premiazione del Premio Planeta, il più pagato dei premi letterari del mondo. In presenza del re di Spagna, Felipe VI. La Spagna degli ultimi decenni ci ha abituato a scenari surreali che un tempo si trovavano anche in Italia, sprofondata invece nel bigottismo e nel politicamente corretto attuale. Ma non solo la premiata non è una donna, sono bensì tre uomini! Avrei voluto vedere la faccia del re davanti a questo svelamento. Sembra l’agnizione di un romanzo d’altri tempi, un ingrediente letterario che si ritrova in tanti feuilleton, eppure in un periodo come questo, in cui le burle sono sempre prese di mira dai puritani, quest’azione ha del rivoluzionario. Devo dire che anch’io mi travestirei da donna, anche se l’effetto Platinette sarebbe grottesco, per vincere un milione di euro. Sì, un milione di euro. È questa la cifra che i tre autori burloni si divideranno per aver vinto il premio più ambito del mondo, sebbene travestiti da professoressa universitaria in incognito.
La vicenda ha provocato immediatamente, com’era da aspettarsi, l’ira delle femministe alfa, perché, secondo loro, è come prendere in giro tante donne che nei secoli passati erano costrette a usare pseudonimi maschili per poter pubblicare i loro libri. A costoro c’è da rispondere che oggi, al contrario dell’ieri, le donne possono pubblicare quel che pare loro, anche spazzatura (pubblicata peraltro anche da tanti uomini…), ed essere elogiate come innovatrici e ardimentose.
Le molte sfaccettature dell’esilarante burla riporta alla memoria quella, autentica, dei tre amici livornesi che fecero credere al mondo che le tre teste ripescate in Arno erano di Modigliani, oppure quella fittizia del Vittorio Gassman nell’episodio “La musa” del film I mostri (1963) di Dino Risi, camuffato da snobissima e interessata presidentessa di un premio letterario ultrafamoso, dove fa vincere un burino belloccio ma senza arte né parte solo per portarselo a letto. Come a dire che quel premio letterario lo possono vincere tutti. E poi c’è il Conte Ory, che si traveste da pellegrina per entrare nel castello della Contessa Adele e sedurla.
Ma c’è un altro esempio, sempre cinematografico, che fa capire meglio la mistificazione basata sul genere. S1m0ne, film del 2001 di Andrew Niccol, scritto, diretto e prodotto da lui stesso. Vi si narra della decadenza di un bravo regista, ormai ignorato dal sistema hollywoodiano che viene pure scaricato dalla moglie, produttrice. Quasi alla canna del gas, lui viene contattato da un abile informatico e lì la sua vita si ribalta. Così crea Simone, una bellissima donna virtuale che sa fare tutto, cantare, recitare, ballare, e parlare, interagendo a distanza cogli ammiratori e seducendo il pubblico di tutto il mondo. L’involucro è virtuale, e tutti credono che esista veramente ma il manager è il regista, che è anche l’autore di qualsiasi sua esibizione e frase, è la sua stessa voce cavernosa che, filtrata, diventa la voce flautata di Simone. Lei si mostra solamente in occasioni, sempre a distanza, tutte decise dal suo manager, che ridiventa ricchissimo all’improvviso, grazie al successo del simulacro. Non vi dico come continua il film così, se non l’avete ancora visto, andrete subito a cercarlo, vi conosco, per sapere come va a finire.
La vicenda del film di Niccol offre un parallelo interessante con questi tre sceneggiatori che si sono inventati l’inavvicinabile e diurna professoressa universitaria di algebra che la notte si trasforma in una scrittrice trucida sotto pseudonimo. Ebbene sì, la nostra epoca, che è maestra nel rendere il nulla qualche cosa, è anche capace della mistificazione totale del genere, e il bello è che Carmen Mola ha un successo strepitoso come Carmen Mola, a prescindere da chi sia nella realtà.
Si pone quindi un problema: le sue opere hanno un valore letterario intrinseco oppure lo perdono se si scopre che gli autori sono invece tre uomini?
Io darei non solo il Premio Planeta ai tre sceneggiatori ma anche il Premio Nobel per la letteratura perché hanno dimostrato che oggi più che mai l’editoria è bacata fin nel midollo, creando casi letterari unicamente col marketing: oggi se sei un’autrice hai più chance di avere successo. Che è quasi una discolpa per avere ignorato in passato, anche nel recente passato, tante autrici degnissime che non sono arrivate al successo solo perché l’editoria era sempre stata in mano ad uomini, vedi il caso di Jole Salatiello, una formidabile e misconosciuta autrice siciliana di cui esistono solo due lavori pubblicati, uno dei quali per il Premio Nuova Italia Letteraria negli anni 50. Nessuna casa editrice siciliana, anche blasonata, così come nessun’altra nazionale, l’ha mai considerata, a torto, eppure i suoi romanzi e i suoi racconti, che io ho avuto la fortuna di leggere, sarebbero da considerare capolavori, infinitamente superiori come qualità in forma e contenuto rispetto a certi suoi colleghi uomini della sua epoca e attuali ancora oggi. Chissà se avesse adottato uno pseudonimo maschile.
Oggi invece viene pubblicata qualsiasi insulsaggine, dai troppi colpi di spazzola dell’adolescente catanese (ormai caduta nell’oblio com’era giusto che fosse) alle solitudini dei numeri primi dei quali a nessuno importa che stiano in orgogliosa solitudine.
Il ribaltamento della realtà è il paradigma della società in cui viviamo: si può vendere qualsiasi cosa e vincere qualsiasi premio, è tutto marketing.
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