Questioni di genere
Alle radici del catcalling
Me lo regalò un’amica parecchi anni fa. Forse voleva dirmi qualcosa. Vabbè. Io l’ho appeso in cucina, e lì è rimasto.
Non so quale città sia, ma non importa, è Italia, esatti 70 anni fa. Sono 15, e solo uomini. Partendo da sinistra, una didascalia per ognuno.
Serio interesse, analitico. Verso un soggetto sconosciuto.
Rimprovero del vecchio boss. Scostumata!
Defilata eccitazione del guardone.
Quasi a ostruirle la strada: Bambola, non puoi resistermi!
Il Pulcinella, plateale e onanista.
(Dietro, dopo la ragazza.)
Cazzo, cosa ti farei!
La sa lunga, e la sta commentando all’amico.
Che finge di ascoltarlo, mentre la immagina nuda.
Nostalgia di qualcosa mai vissuto.
Se la sta trombando col pensiero.
La osserva svanire. Orizzonte lontano.
Uomo telecamera. Vero esteta.
Ma guarda te ‘sta guagliona!
I due arrapati. Dietro quello composto, davanti la macchietta.
Lei. Ha le palpebre abbassate, teme, sente l’agguato. Una mano aggrappata allo scialle, istinto a coprirsi, l’altra stringe il manico della borsa, altra intimità, che tiene vicina al grembo. La gonna dietro alzata dimostra un passo sostenuto, una voglia di correre trattenuta.
Si sente una preda. E un oggetto, scontato e misterioso.
Non serve nemmeno emettere il campionario di versi felino, detto catcalling. Basta una raffica di sguardi e maschere, a violentare l’intimo di una donna.
In questo quadro c’è un bel pezzo di DNA italiano.
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