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Vuoi bloccare per tre ore l’aeroporto? Basta un “Allah Akbar”

16 Febbraio 2015

Svegliarsi male. L’Europa di Je Suis Charlie è anche questo. Aeroporto di Orio al Serio (Bergamo), lunedì 16 febbraio, ore sette e trenta del mattino. La paura vien con l’alba e mai nel weekend: si sceglie il lunedì, il più terrorista fra i giorni. Arriva una telefonata all’ufficio cambi dello scalo che primeggia nel traffico continentale low cost: «Allah Akbar, Allah Akbar, alle 10 scoppierà una bomba», appena prima di attaccare la comunicazione. Immediatamente vengono attivate dalla polizia le procedure d’emergenza: aeroporto bloccato, voli temporaneamente sospesi, controlli a tappeto.

Ipersensibilità nervosa. L’Europa di Je Suis Charlie è anche questo. Ormai basta una telefonata di quelle usate per saltarsi l’interrogazione alla prima ora: «c’è una bomba in palestra», e con un po’ di fortuna riuscivi pure a vedere il camion dei pompieri. L’aeroporto è tornato attivo alle 11, e il controllo non ha fortunatamente certificato la presenza di alcun ordigno: “è segno dei tempi che stiamo vivendo” sarebbe la risposta più logica, ancorati però a tempi che durano dal 2001.

Vulnerabilità. L’Europa di Je Suis Charlie è soprattutto questo. Quattordici anni a rafforzare i controlli, quattordici anni a scolarsi mezze bottiglie d’acqua davanti agli ufficiali di sicurezza degli aeroporti, a buttare saponi liquidi, taglia-unghie, pinze per capelli, shampoo e quant’altro: “sono misure antiterrorismo” ci han sempre detto. E in effetti durante tutti questi anni non abbiamo più incontrato aerei kamikaze. Poi durante un lunedì, forse il peggior lunedì -quello dopo le feste di fine anno-  ecco che il terrorista non prende più l’aereo ma dopo pochi chilometri in auto sparge il terrore con servizio a domicilio, e te lo porta in casa. Non più catastrofi, non più bombe in stazioni ferroviarie ma spedizioni punitive mirate. Prima in Francia, poi in Inghilterra.

Sospettosa. L’Europa di Je Suis Charlie è anche questo. All’aeroporto c’è anche Giacomo Stucchi, presidente del Copasir -Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica- che viene invitato caldamente a rinviare la sua partenza. Lo stesso Stucchi che circa un mese fa così si espresse sul caso delle cooperanti Vanessa e Greta, liberate in Siria previa presunto riscatto: «Se si fosse pagato quel riscatto -così dichiarò Stucchi- sarebbe inaccettabile. Se fossero stati dati soldi che poi potrebbero venire usati per comprare armi e creare danni alla sicurezza, sarebbe stato sicuramente un errore, una scelta da non fare».

Bendata. L’Europa di Je Suis Charlie è perfino questo. Niente è come prima, o forse tutto è sempre uguale. Sta di fatto che non si tratta solo di mondi lontani dove si bruciano bandiere e si spara in aria: i fratelli Kouachi così come Coulibaly dicono siano cresciuti in Francia, certo anche gli attentatori del World Trade Center erano stati addestrati negli States ma insomma, quelli erano piloti, uomini addestrati, non ragazzi di borgata. E poi io non ricordo i loro nomi, solo Mohamed Atta. Questo perché l’esecutore non era importante, quando si aveva ben chiaro il mandante: oggi la vista si è ristretta, si riesce solo a mettere a fuoco sulla manovalanza. E così, se dopo l’11 settembre le occhiate torve piombavano sull’islamico eccentrico, oggi non sanno più su chi cadere, perché ci hanno pure rubato lo stereotipo di cartongesso su cui accanirci.

Spaesata. L’Europa di Je Suis Charlie è anche questo. All’inizio della questione islamica -provando a fermarci al post 2001- nei video di propaganda terrorista potevi scorgere un volto nemico, un volto lontano, quell’Osama Bin Laden a volte sostituito da Ayman al-Zawahiri. Quattordici anni dopo al Qaeda ha lasciato la propaganda all’Isis, una nuova organizzazione terrorista che invece insiste sulla diffusione di azioni, e non solo di parole. Di immagini cruente, e non solo di volti. Non c’è più iconografia del capo. Al-Baghdadi ha inizialmente cercato di entrare nell’immaginario, invano. Del terrorismo jihadista di nuova generazione il capo appare perdere importanza, come appare non essere più importante connotazione e provenienza. Non c’è più iconografia del male, non si può più riconoscere, il male.

In questa situazione accade dunque che chiunque possa gettare nel panico l’ordine pubblico, in qualsiasi momento. Una telefonata basta a mandare in tilt tre ore e più di traffico aereo, così come con due parole, “Allah Akbar”, chiunque riuscirebbe a partorire attimi da psicosi collettiva. In sostanza abbiamo un nemico invisibile che però riesce a vederci, non proprio la situazione più felice in cui poter accennare una reazione composta o meno composta, non proprio la situazione più idonea per poter garantire incolumità. La soluzione? Per ora le uniche prevedibili dalle istituzioni di questo continente ferito pare siano due: restrizioni sulla privacy (di tutti), e guerra.

Dunque la storia finisce sempre allo stesso modo, ad Orio al Serio come altrove, in aeroporto come al bar: inchiesta aperta dal pm della Procura di Bergamo sui tabulati telefonici, indagini per capire l’origine del malsano gesto che sa comunque di filone a scuola, scoprire -ipotesi- la bravata di due adolescenti, e magari interrogarli per ore con l’accusa di associazionismo eversivo. Ecco, questa per ora è l’Europa di Je Suis Charlie. Con Charlie che intanto in edicola non esce più.

 

 

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