Bruxelles

Socialismo & Islam: un matrimonio coatto

17 Ottobre 2018

L’Islam non è un monolite.’

Questa cantilena si sente ripetere come un mantra e piace tantissimo a sinistra. Estremamente popolare poi tra le fila di chi di Islam essenzialmente non vuole mai parlare: ciò che è sacro non si presta ad essere definito o rappresentato.

Tuttavia, come avviene per tutte le banalità ed i luoghi comuni, è una frase dal contenuto difficilmente contestabile perché racchiude al suo interno elementi di ovvietà: l’Islam è complesso, l’Islam è spesso contraddittorio, l’Islam non si può ridurre ad una questione religiosa perché l’Islam è prima di tutto politica. Come scrive bene Ali Amjad Rizvi nel suo ‘The Atheist Muslim’ (‘Il Musulmano ateo’): Non c’è mai consenso su chi siano i “veri” musulmani. Per un musulmano moderato in Occidente, i membri dello Stato Islamico (ISIS) non sono veri musulmani. Per lo Stato Islamico, gli sciiti non sono veri musulmani. Sia per gli sciiti che per i sunniti, gli Ahmadi – una setta che crede nella venuta di un altro messia dopo Maometto – non sono veri musulmani. E agli occhi degli Ahmadi, i membri dello Stato Islamico non sono veri musulmani. (…)’

Al contrario del Cattolicesimo che riconosce il primato di autorità al vescovo di Roma, l’Islam è sempre stato plurale e variegato sia come realtà religiosa, sia come realtà politica. Prova di questa frammentazione – oltre alle storiche divisioni tra sciiti e sunniti e alle guerre eterne in Medio Oriente – ne è stata anche la recente, più vicina e tutta secolare debacle alle elezioni comunali di domenica scorsa in Belgio di ‘ISLAM’, partito politico liberticida che si poneva come obiettivo quello di unificare i Musulmani belgi, garantendo la Sharia nel paese delle patatine fritte e della birra. Se non per il suo carisma e successo elettorale, il suo leader, Redouane Ahrouch, passerà alla storia per il suo fascino e stile da vero gentiluomo del XXI secolo: durante un’intensa e vivace campagna elettorale il leader di ISLAM, nonché ex autista di autobus licenziato dalla compagnia nazionale STIB proprio per le sue posizioni liberticide e misogine, ha ripetutamente rifiutato di stringere mani e guardare in faccia il proprio interlocutore (se di sesso femminile…) Non gli è andata molto bene, non riuscendo a far eleggere nemmeno uno dei suo fedeli nei vari comuni a cui si é presentato alle elezioni.

Ma ecco che il Partito Socialista francofono è riuscito dove il partito ‘ISLAM’ ha fallito, unificando ciò che era diviso e frammentato.

A MolenbeekCatherine Moureaux, ha trascinato il suo PS al successo, facendogli raggiungere lo straordinario 31,34 per cento di voti. Una foto che ha fatto il giro dei giornali belgi il giorno dopo la sua vittoria, la ritrae sorridente con una rosa in mano circondata dai suoi elettori: maschi e musulmani. Questa foto sintetizza alla perfezione che cosa sia diventato il Partito Socialista in Belgio. Secondo gli ultimi sondaggi, a Molenbeek nel 2013, la comunità musulmana rappresentava il 40%  dell’intera popolazione: circa la metà della comunità di Molenbeek è, infatti, originaria del Marocco. Se il Partito Socialista vuole sopravvivere deve, ovviamente, rappresentare questa nuova comunità di lavoratori… e non solo…

La famiglia Moureaux ha un forte legame con Molenbeek fin dai tempi in cui il padre di Catherine, Philippe Moureaux, ne era stato consigliere comunale dal 1982 per poi diventarne a sua volta borgomastro nel 1992. Per quasi vent’anni, le sue campagne elettorali nelle moschee, il suo lassismo di fronte alla radicalizzazione crescente della popolazione musulmana e la sua discutibile gestione delle finanze del comune (portando Molenbeek al bordo del fallimento nel 2015), sono state ampiamente criticate. Ma nonostante tutto, questi elementi non sono stati sufficienti per screditarne il buon nome di famiglia e permettere a sua figlia Catherine di ottenere quel risultato straordinario domenica scorsa. La figlia Catherine, nata nel 1978 a Uccle (Belgio), medico e solo recentemente stabilitasi nel comune di Molenbeek, sembra aver ereditato dal padre non solo molte delle sue idee politiche ma anche lo stile personale. Esattamente come nel 2005 quando il padre Philippe (unico borgomastro in tutto il Belgio) bloccò  l’operazione governativa anti-frode Tam Tam 6 (nonostante i successi ottenuti a Liège e Charleroi) per non turbare gli animi dei suoi concittadini stranieri che gestivano i vari night-shops a phone-shops dove la polizia sospettava si svolgessero operazioni di contrabbando di merci illegali e droghe, oggi a soli tre giorni dalla sua vittoria la nuova borgomastro di Molenbeek si preoccupa di rassicurare i suoi nuovi elettori che l’eredità del padre non sarà rinnegata, dichiarando la sua intenzione di rivedere il cosiddettoPlan Canal:  si tratta di un imponente piano di finanziamenti voluto dal governo belga a partire del 2012 ed operativo nel 2015 (con respiro ventennale) che avrebbe come scopo quello di bonificare l’area di Molenbeek che si sviluppa intorno al canale (che separa il comune dal centro città) e che prevede insieme ad interventi mirati a far rinascere tal quartiere (nuovi alloggi, miglioramento dei trasporti ecc.) anche misure di sicurezza rafforzate, dopo gli attentati terroristici a Parigi, per combattere il radicalismo religioso con controlli mirati da parte della polizia locale nei domicili privati, nelle moschee e nei luoghi di culto sospetti di avere legami col terrorismo islamico.

D’altronde gli elettori di Molenbeek conoscevano bene le posizioni morbide che Catherine Moureaux teneva nei confronti del radicalismo già mesi prima della sua elezione. In un’intervista dello scorso giugno al quotidiano belga l’Echo, alla domanda  sul legame tra gioventù musulmana e radicalismo la futura borgomastro rispondeva senza imbarazzi così: ‘Gli eventi di Liegi [attacco terroristico avvenuto il 29 Maggio 2018 per mano di Benjamin Herman, che ha causato la morte di due poliziotti, di un passante e ferite ad altri quattro poliziotti] hanno dimostrato che la prigione svolge un ruolo drammatico nel percorso di alcuni criminali, passando dal semplice brigantaggio al radicalismo più violento, attraverso la marginalizzazione sociale. Abbiamo il dovere di impedire ai nostri giovani di andare in prigione e quando vanno lì, di fornire loro un futuro. Abaaoud, che ispirò i fratelli Abdeslam, fu radicalizzato in prigione. Abrini, Merah, Nemmouche e i fratelli El Bakraoui furono incarcerati.’

Ammetto che nel leggere la sua risposta, ad un primo sguardo tutto sembra filare liscio.

La retorica dei ‘nostri giovani’ non è nuova nei discorsi dei nostri politici, tanto a destra quanto a sinistra. L’unica differenza è che i ‘nostri giovani’ a cui la Moureaux qui fa riferimento, non sono dei giovani come tanti altri, bensì dei giovani terroristi. Ma tralasciando questo, Moureaux sembra voler semplicemente dire: diamo un futuro ai giovani di Molenbeek. Bello, anzi bellissimo.

Ad una seconda lettura, invece si rimane un po’ più delusi – anche se non sorpresi – di fronte al fatto che la parola ‘Islam’ non sia nemmeno menzionata; allora la si rilegge e no, ancor niente sull’Islam. E’ come se si stesse parlando di un radicalismo alieno, una specie di cancro che subdolo e senza ragione alcuna attacca le menti dei giovani nelle prigioni. Senza alcun fondamento religioso, per carità! Una vera e propria iattura insomma. Sì forse vi sono delle questioni sociali, una buona dose di povertà, marginalizzazione sociale, il tutto condito da instabilità psicologica. Ma che non sia mai che l’Islam venga tirato dentro tutto questo. Come se il passo da ‘facciamo una rapina a mano armata’ al ‘facciamoci saltar per aria al grido di Allahu Akbar’ fosse una strada tutta in salita per qualsiasi piccolo furfante nelle prigioni belghe. Qualcuno poi si potrebbe persino domandare: ma che cosa in più devono inventarsi questi poveri giovani terroristi per convincere la Moureaux (e purtroppo tanti altri come lei a sinistra) del loro sincero movente jihadista se una formazione armata in Siria o la recita dei versetti dal Corano che precedono l’esecuzione di una folla innocente di infedeli non sono sufficienti?

Le cause del radicalismo islamico per la nuova detentrice del potere esecutivo a Molenbeek, più che con l’Islam hanno a che fare con lo Stato belga, con le prigioni, perché ricordiamolo: le prigioni sono lo Stato! Le carceri da un lato rappresentano il luogo dove vengono reclusi individui resi privi di libertà personale in quanto riconosciuti colpevoli di reati penali, ma dall’altro lato esse simboleggiano lo spazio dove gli incarcerati hanno la possibilità di essere rieducati e riabilitati alla vita in società. Nessuno può essere così naif da pensare che le prigioni riescano appieno in questa difficile missione, che non vi siano abusi, corruzione ed infiltrazioni criminali che ostacolino, minino e addirittura invertano questo processo; ma da donna delle istituzioni quale Catherine Moureaux è, uno si aspetterebbe che rispetto al fallimento di questa riabilitazione sociale l’accento fosse posto sul rafforzamento delle misure legali per arginare il malfunzionamento delle prigioni; ed invece si scambia la malattia con la cura! L’istituzione stessa delle prigioni è solo un contenitore, il contenuto ce l’ho mette tutto il fanatismo islamico. D’altronde quale alternativa avremmo alle prigioni per dei ‘giovani’ come Abdelhamid Abaaoud, citato dalla Mouraux nella sua intervista, terrorista belga di origine marocchina associato all’attentato alla sede di Charlie Hebdo? O per Salah Abdeslam, terrorista francese di origine Marocchina residente a Molenbeek, che prima di essere coinvolto nell’attentato al Bataclan del 13 Novebre 2015, avava collezionato la seguente trafila di reati: rapina a mano armata nel 2010, furto nel 2011, dal 2013 gestiva Les Béguines, bar a Molenbeek chiuso dalle autorità per spaccio di sostanze stupefacenti, successivamente arrestato dalla polizia Olandese nel 2015 per possesso di cannabis, ed infine intercettato a partire dal 2014 dalla cellula antiterrorista della polizia federale belga (DR3)? Come mai la Moureaux non si pone la questione del perché questi individui fossero stati precedentemente incriminati ed incarcerati prima di proporre la sua visione ‘velata’ e ‘moderata’ sulle origini del terrorismo islamico al suo elettorato di Molenbeek?

Menzionare tra le cause del radicalismo anche la componente islamica non fa passare l’idea che tutti i musulmani siano dei terroristi; ma aiuta ad incentivare un percorso critico all’interno della comunità musulmana stessa e, soprattutto, serve a disattivare quel codice di silenzio così diffuso a sinistra (vuoi per senso di colpa, vuoi per indifferenza) che ha un solo nome possibile: omertà.

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