Questione islamica
Serve un’FBI europea. Subito
Il 14 novembre, dopo gli attacchi di Parigi, su Gli Stati Generali scrivevamo della necessità di creare un’FBI europea. Le nostre parole erano corroborate da un episodio avvenuto il 12 novembre, di cui si era discusso relativamente poco in Italia, ma che aveva destato la forte attenzione dei media norvegesi (lo scrivente stesso aveva firmato un pezzo a riguardo per una testata di Oslo).
Dicevamo: «Giovedì 12 novembre, in tutta Europa, è avvenuta l’operazione JWEB. Guidata dall’Italia, e coordinata da Eurojust (ossia l’agenzia europea che si occupa di cooperazione giudiziaria in ambito penale), l’operazione è stata “la più importante operazione anti-terrorismo degli ultimi vent’anni”. JWEB ha condotto all’arresto di sospetti terroristi in Italia, Regno Unito e Norvegia, e allo smantellamento del gruppo terroristico Rawti Shax. Un gruppo che pianificava attentati in Nord Europa, voleva rapire diplomatici norvegesi e inglesi e, come ha osservato il procuratore anti-mafia e anti-terrorismo Franco Roberti, “era collegato allo Stato islamico”».
Aggiungevamo poi che «il 12 novembre è forse la prima, e più efficace risposta che possiamo dare alla strage del 13 novembre […] È evidente: bisogna seriamente rafforzare la collaborazione tra le forze di polizia, i magistrati e le intelligence del nostro continente. Soprattutto bisogna creare una “FBI europea” che possa fronteggiare in modo efficace le minacce che riguardano l’intera Europa. Non si tratta di utopie. Quando gli Stati Uniti (che pure sono una federazione dove ogni ente statale o locale è gelosissimo delle sue prerogative) crearono l’FBI, nel 1908, erano alle prese con gravi problemi di ordine pubblico, in primis il terrorismo anarchico (che solo pochi anni prima aveva provocato la morte del presidente McKinley)».
Si è scritto che la tragedia di Bruxelles è un fallimento dell’intelligence europea. Sbagliato: è un fallimento delle intelligence europee, al plurale, se non altro perché un’intelligence europea ancora non esiste. Tuttavia mai come oggi è cruciale gettare le basi per questa FBI europea. Magari avranno pure ragione gli euroscettici, quando dicono che l’Europa unita non esiste, o peggio è un fallimento (personalmente, non credo). Tuttavia esistono gli europei, e soprattutto esiste un “interlocutore europeo” nella mente dei terroristi. Che attaccano Bruxelles non perché il Belgio sia particolarmente attivo nella lotta globale al terrorismo (la Germania e l’Italia lo sono molto di più), ma perché Bruxelles è la capitale d’Europa. Ancora, i terroristi operano già ora in una dimensione europea. La già citata organizzazione terroristica Rawti Shax aveva una dimensione pan-europea, tanto è vero che l’operazione ha coinvolto le autorità di Italia, Norvegia, Regno Unito, Finlandia, Svizzera e Germania. Anche se il bersaglio n° 1 era la Norvegia, con le sue sole forze cosa avrebbe potuto fare la polizia e l’intelligence della sola Norvegia?
Come osservavamo nell’articolo del 14 novembre, «una “FBI europea” dovrebbe operare all’insegna dei principi di legalità, libertà, giustizia e democrazia che sono il vanto dell’Europa. Il suo direttore (possibilmente un avvocato, come già accade per i servizi di intelligence scandinavi) dovrebbe rispondere al Parlamento europeo, e il mandato di questa nuova agenzia dovrebbe essere definito in modo chiaro e univoco. Tra i compiti principali dell’FBI americana ci sono la protezione degli Stati Uniti dal terrorismo e dallo spionaggio straniero; la lotta alla criminalità cibernetica, alla corruzione e alle mafie: non si tratta di sfide che riguardano sempre di più anche gli Stati europei?» Aggiungiamo poi che questa FBI della UE dovrebbe essere incaricata anche della protezione dell’eurocrazia, e delle strutture in cui essa opera (l’Europarlamento, Palazzo Justus Lipsius ecc…), disimpegnando così almeno in parte l’intelligence e la polizia belghe.
La risposta al terrorismo non è, ovviamente, il vittimismo, ma neanche pericolose derive iper-securitarie o peggio autoritarie. La risposta non è un Patriot Act in salsa comunitaria. È l’intelligenza, nella sua accezione più ampia. È un coordinamento molto più stretto delle intelligence europee, e soprattutto la creazione di un ente comune dotato di personale e mezzi adeguati. C’è poi dell’altro, ovviamente: una politica estera europea, e anche un esercito europeo; soprattutto, una politica europea dell’integrazione e della gestione dei flussi di migranti. I ghetti di Parigi o di Bruxelles, dove la marginalità sociale di molti va di pari in passo con il rancore di pochi (pochi, ma pericolosissimi), non sono un problema locale, o unicamente di Francia e Belgio, ma europeo. E questo lo devono ammettere anche i politici locali, in primis francesi (proprio loro, che si sono sempre opposti a un esercito europeo e alla trasformazione della UE in una vera e propria potenza federale). La grandeur dei tempi di Charles de Gaulle è ormai solo un ricordo del passato.
Devi fare login per commentare
Accedi