Questione islamica
Serve un’Fbi europea contro il terrorismo islamista
Oggi non è in lutto solo la Francia, ma l’intera Europa. Come hanno osservato molti commentatori (incluso Jacopo Tondelli su questo giornale), la strage di Parigi, oltre a essere un’immensa tragedia, è anche un attacco a tutto il continente, e alla sua civiltà. Una civiltà, è il caso di dirlo, fondata sui pilastri della democrazia, della laicità e dello stato di diritto, e che ha il suo orizzonte proprio nelle parole d’ordine della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fratellanza.
Certo, l’Europa non sempre è stata all’altezza dei suoi ideali e dei suoi principi. Anzi. La storia ci insegna che in passato essi sono stati usati come slogan o, peggio, come armi ideologiche per giustificare guerre, soprusi, violenze. Tuttavia è un fatto che oggi il Vecchio Continente sia uno dei luoghi più sicuri, ricchi, pacifici e liberi della Terra. Come osserva nel suo breve ma acutissimo saggio “Politica” (Bollati Boringhieri) David Runciman, politologo a Cambridge, dovendo scegliere tra vivere in Siria o in Danimarca, pochi di noi avrebbero seri dubbi. E tra Francia o Iraq? Italia o Libia? Runciman sostiene che “la differenza fra Danimarca e Siria è politica. La politica ha aiutato la Danimarca a diventare ciò che è. E la politica ha condotto la Siria a essere com’è”. Non so se Jared Diamond, docente alla UCLA e autore del fondamentale saggio “Armi, acciaio e malattie” (Einaudi), sarebbe del tutto d’accordo con Runciman.
In ogni caso, mi sembra evidente che la battaglia contro il terrorismo islamista debba essere, prima di tutto, una battaglia politica. E debba avere una dimensione europea. Il perché è presto detto. In questo momento noi europei stiamo correndo due gravissimi rischi: uno è quello, non sempre evidente ai partiti (e agli elettori) di sinistra, del terrorismo islamista; l’altro è quello di un populismo europeo sempre più rabbioso e irragionevole, con cui i partiti (e gli elettori) di destra flirtano senza troppi problemi.
Oggi è un giorno di lutto, ma né il dolore né l’indignazione bastano a far tacere gli schiamazzi di certi sciacalli del populismo politico-mediatico. Parafrasando quanto fa dire Shakespeare allo spietato re Claudio nell’Amleto, questi sciacalli sono preda di un’incerta gioia, lieti da un occhio e piangenti dall’altro: perché fiutano, nel fetore della tragedia, la possibilità di facili guadagni elettorali, o di più alte tirature, o magari di nuove comparsate in tv. Ebbene, bisogna guardarsi anche da questi sciacalli, dalle loro facili diagnosi pregne di islamofobia e ignoranza, e dai loro rimedi demagogici. Perché non è solo il male a uccidere il paziente, ma anche la cura sbagliata.
Se si esclude l’immane tragedia dell’11 settembre, fino a oggi il terrorismo islamista ha colpito l’Europa ben più degli Stati Uniti (per non parlare poi del numero di vittime in Medio Oriente, ad esempio la recentissima strage a Beirut). Pensiamo solo alle stragi di Madrid nel 2004 e di Londra nel 2005, agli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo e alla strage di ieri. È una cronologia del terrore che ha avuto inizio 11 anni fa, e che purtroppo non sembra destinata a finire.
La minaccia è all’Europa, e la risposta deve essere europea. Forse, come dicono (sbagliando) i detrattori della UE, l’Europa politicamente non esiste, e l’idea di una “unione più stretta” è da buttare. Tuttavia esistono gli europei, anche politicamente, e votano. Essi si aspettano dai loro politici nazionali, e da Bruxelles, delle risposte. Se queste risposte non arrivano, l’opzione populista è dietro l’angolo. E come si risponde al terrorismo islamista?
Facciamo un salto indietro nel tempo. Un piccolissimo salto. Giovedì 12 novembre, in tutta Europa, è avvenuta l’operazione JWEB. Guidata dall’Italia, e coordinata da Eurojust (ossia l’agenzia europea che si occupa di cooperazione giudiziaria in ambito penale), l’operazione è stata “la più importante operazione anti-terrorismo degli ultimi vent’anni”. JWEB ha condotto all’arresto di sospetti terroristi in Italia, Regno Unito e Norvegia, e allo smantellamento del gruppo terroristico Rawti Shax. Un gruppo che pianificava attentati in Nord Europa, voleva rapire diplomatici norvegesi e inglesi e, come ha osservato il procuratore anti-mafia e anti-terrorismo Franco Roberti, “era collegato allo Stato islamico”.
Il 12 novembre è forse la prima, e più efficace risposta che possiamo dare alla strage del 13 novembre. Se i ROS e la Procura di Roma e le altre forze di polizia europee non avessero inferto questo mortale colpo a Rawti Shax, chissà cosa sarebbe potuto accadere, nei prossimi mesi, a Oslo, Newcastle, o a Berlino. È evidente: bisogna seriamente rafforzare la collaborazione tra le forze di polizia, i magistrati e le intelligence del nostro continente.
Soprattutto bisogna creare una “FBI europea” che possa fronteggiare in modo efficace le minacce che riguardano l’intera Europa. Non si tratta di utopie. Quando gli Stati Uniti (che pure sono una federazione dove ogni ente statale o locale è gelosissimo delle sue prerogative) crearono l’FBI, nel 1908, erano alle prese con gravi problemi di ordine pubblico, in primis il terrorismo anarchico (che solo pochi anni prima aveva provocato la morte del presidente McKinley).
Naturalmente una “FBI europea” dovrebbe operare all’insegna dei principi di legalità, libertà, giustizia e democrazia che sono il vanto dell’Europa. Il suo direttore (possibilmente un avvocato, come già accade per i servizi di intelligence scandinavi) dovrebbe rispondere al Parlamento europeo, e il mandato di questa nuova agenzia dovrebbe essere definito in modo chiaro e univoco. Tra i compiti principali dell’FBI americana ci sono la protezione degli Stati Uniti dal terrorismo e dallo spionaggio straniero; la lotta alla criminalità cibernetica, alla corruzione e alle mafie: non si tratta di sfide che riguardano sempre di più anche gli Stati europei?
Ovviamente la risposta europea al terrorismo islamista non può avere solo natura investigativa e giudiziaria. Dal momento che il terrorismo islamista ha le sue centrali in Medio Oriente e Nord Africa, serve una politica estera europea, ed eventualmente anche un esercito europeo, come ha scritto Giuseppe Chiellino sul Sole24Ore (purché questo non inneschi una deriva interventista all’americana: si è visto cosa hanno provocato, per esempio, gli improvvidi e sconclusionati interventi franco-inglesi in Libia).
Serve poi una seria politica europea sull’immigrazione, e una altrettanto seria politica europea sull’integrazione. A differenza per esempio della Germania, che nonostante tutto è riuscita a integrare con relativo successo la minoranza musulmana turca nella società tedesca, la Francia ha fallito. La dimostrazione più tangibile di ciò sono le sterminate, degradate banlieu alla periferia di Parigi. In Francia come altrove, non si può permettere che i giovani musulmani europei siano lasciati a loro stessi, ai fantasmi della marginalità sociale e delle frustrazioni tardo-adolescenziali. È questione di libertà, uguaglianza, fratellanza.
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