Questione islamica

Senza accorgercene l’Isis si sta avvicinando a Israele: ed è qualcosa di brutto

3 Luglio 2015

Una dopo l’altra l’Isis sta sbriciolando le certezze su cui si fondava l’equilibrio del mondo. Gli ultimi mesi stanno mostrando una inquietante sequenza di eventi: dopo l’azzoppamento del processo democratico in Tunisia, con gli attentati prima al Bardo e poi a Sousse, è arrivata l’offensiva in Egitto che ha indebolito l’immagine di presidente di ferro di al Sisi.

Sul Sinai, il gruppo Ansar Bait al-Maqdis, braccio armato egiziano del Califfo, ha compiuto una strage mostrando la disarmante debolezza di un esercito considerato tra i più forti al mondo. Un segnale che le forze militari di alcuni Paesi sono state sopravvalutate, ma che soprattutto i jihadisti sono più attrezzati di quanto si pensi. Per quanto sia un gesto simbolico, sono riusciti a piazzare una loro bandiera nera in un angolo di Egitto. Allo stesso tempo, in un video il gruppo Stato islamico ha dichiarato guerra ad Hamas, responsabile di avere “laici” e “sciiti” tra gli alleati. Le dichiarazioni del jihadista nel filmato hanno un intento chiaro: far comprendere che i seguaci di Abu Bakr al Baghdadi sono penetrati anche nella Striscia di Gaza, di cui vogliono assumere il controllo per instaurare la sharia.

Lo scenario che si apre è quindi quello della presenza dell’Isis al fianco dello Stato di Israele, da sempre considerato il Grande Nemico da tutti i Paesi islamici, compresi il regime degli ayatollah iraniano e gli Hezbollah libanesi. Di certo il premier Bibi Netanyahu non consentirà alcuna provocazione e le manovre di preparazione per un intervento di Tsahal, l’esercito israeliano, sono probabilmente già in corso: inutile illudersi che i jihadisti non vogliano colpire il simbolo della ‘repressione’ dei musulmani, benché da un punto di vista militare il rischio sia alto per gli islamisti. Perché l’attrezzatura e la preparazione dei militari di Tel Aviv sono quasi da leggenda.

Non bisogna poi dimenticare che la situazione può portare gli Stati Uniti ad accorrere a sostegno del vecchio alleato, mettendo da parte le tensioni e le antipatie personali tra Netanyahu e il presidente Barack Obama. In ogni caso il premier falco dello Stato di Israele non potrebbe tollerare la presenza dell’estremismo alla porta di casa. Una minaccia molto più forte di Hamas ed Hezbollah. In tale contesto è difficile prevedere il meccanismo che si innescherebbe: per assurdo Iran e Israele, per la prima volta nella storia, si troverebbero a combattere un nemico comune, seppure su fronti diversi. Ma non va dimenticato una deriva terribile: l’intervento di Tsahal potrebbe spingere molti musulmani ad abbracciare la causa dell’Isis. Un po’ come è avvenuto in Iraq, con la crescita del sunnita gruppo Stato islamico in risposta agli abusi degli sciiti.

In ogni caso gli eventi sembrano andare in una precisa direzione: lo scoppio di un incendio difficile da domare. I prossimi mesi racconteranno come si sistemeranno gli equilibri geopolitici in quella regione, nella consapevolezza che lo tsunami dell’Isis è destinato ulteriormente a riscrivere i confini e le alleanze. Ma in questo caso riecheggia nella memoria una preoccupante frase di Domenico Quirico, giornalista a lungo ostaggio dei jihadisti in Siria, che racconta quanto bisogna temere l’unità dei guerriglieri islamici.

C’era nel deserto un cucciolo di leone che era cresciuto tra le pecore e il cucciolo pensava di essere una pecora anche lui, e belava e scappava di fronte ai cani. Poi un giorno un leone passò di lì e gli mostrò il riflesso in una pozza d’acqua e scoprì ciò che era davvero. Cominciò a ruggire. I cani fuggirono. Ecco: noi siamo musulmani non siamo pecore, non dimenticarlo più, ci avete umiliato e sfruttato per secoli. È finita”.

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