Geopolitica
Perché non dobbiamo perdere la ragione
Dopo il 13 Novembre l’intera Europa, e l’Italia in particolare, ha attraversato (e sta attraversando) una feroce ondata anti-islamica. Ferocia che fa leva sull’ignoranza e sulla diminuzione del benessere dei cittadini europei, in special modo del Sud Europa, fiaccati da 7 anni di profonda crisi economica e dall’aumento del numero di rifugiati che cercano di arrivare nel nostro continente.
Qualche mese fa, su Facebook aveva cominciato a girare uno studio di IPSOS MORI (rapidamente trasformato in “quiz”) sul livello di analfabetismo funzionale degli europei . Ed era venuto fuori, non a sorpresa, che il popolo del belpaese era risultato di gran lunga il più analfabeta (funzionalmente parlando). In special modo, la percezione della popolazione musulmana sul territorio nazionale, era sovrastimata (vedi fig. 1).
Tale errata visione è costantemente fomentata da una pressante ipertrofia informativa televisiva e, in anni recenti, anche dalla rete (basti pensare ai siti diffusori di bufale che oramai sorgono come funghi) .
L’apice di tale violenza verbale è stato, chiaramente, il 13 Novembre. Sugli attenti di Parigi si è detto tanto (anzi, troppo e molto male) ma pochi sono coloro che hanno seriamente provato ad indagare sul perché e sul quando è cominciata la questione mediorientale.
Proviamo limitatamente a fare un po’ di chiarezza storica.
Il Golfo, sin dalla disgregazione dell’Impero Ottomano dopo il Congresso di Vienna, è stato area d’influenza dei grandi “imperi” Occidentali (Regno Unito, Francia ed infine Stati Uniti) che per diverse necessità di carattere geopolitico ed economico, hanno continuamente “ficcato il naso” negli affari di quella regione.
Con gli accordi Sykes-Picot del 1916, durante le vicende belliche, si decise di dare alla Francia la Siria e il Libano, ed al Regno Unito l’Iraq e la Transgiordania. La spartizione era su queste due aree poiché nella zona dell’Arabia Saudita, la dinastia di re Hussein dell’Egiaz, aveva aspirato, con la caduta dell’Impero Ottomano, a unificare tutti questi territori in una confederazione panaraba (le stesse rivendicazioni dell’IS, attualmente). Quest’idea si scontrava con gli interessi delle grandi potenze (Francia e Regno Unito) che avevano necessità di un’influenza nella zona: le cosiddette capitolazioni (come in Cina le concessioni), che permettevano di commerciare liberamente in alcune zone. La Gran Bretagna aveva una sorta di protettorato sul Kuwait già dalla metà dell’800 (anche se questo risultava nominalmente sotto la sovranità dell’Impero Ottomano), mentre la Francia aveva maggiori influenze sul lato confinante con l’attuale Turchia.
Tale situazione, intricata ma pressoché tranquilla, si è protratta fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando viene costituita la Lega Araba al Cairo e l’influenza delle potenze occidentali (in special modo l’influenza francese) sull’area viene notevolmente ridotta, fino alla nascita di Israele (che ha provocato ben quattro guerre arabo-israeliane e innumerevoli conflitti di minore entità).
Durante gli anni della Guerra Fredda, lo scontro ideologico tra USA ed URSS, ha effetti potenti anche sull’area mediorientale. Per tentare di cancellare il senso di colpa provocato dall’orrore dello sterminio nazista, per garantirsi un alleato in un’area economicamente nevralgica ed evitare l’espansionismo sovietico, l’Occidente ha avallato il processo di rimozione messo in atto dal sionismo, in conseguenza del quale si è volutamente ignorata la presenza di una popolazione palestinese di cultura islamica, radicata sul territorio da ben dodici secoli, e costretta ad abbandonarlo senza alcuna possibilità di scelta.
Con la dissoluzione dell’URSS, Il Medio Oriente risente di una nuova situazione, non solo dal punto di vista geografico, con l’acquisizione di nuove aree, ad esempio Tagikistan e Kazakistan, precedentemente integrate nell’URSS e ora, in quanto musulmane, gravitanti verso paesi arabi quali Iran e Arabia Saudita, assunti come modelli, ma anche e soprattutto da un punto di vista politico, a causa della perdita dell’appoggio sovietico al radicalismo di chi, nel mondo arabo, rifiutava categoricamente qualsiasi dialogo e negoziato.
L’avversario principale è ora il fondamentalismo islamico che, sventolando la bandiera della guerra santa, manipola le masse dei diseredati e le strumentalizza, facendo leva sulla loro disperazione e la loro miseria, con l’obiettivo dell’abbattimento dei confini fra gli stati arabi e della costituzione di una unica comunità musulmana, capace di superare ogni frammentazione.
Esiste quindi una guerra? Certo. E si sta combattendo da diversi decenni .
Queste guerre hanno come scopo l’invasione e la sottomissione dell’Occidente? Assolutamente no.
Si tratta di una guerra tra islamici, basata su diverse concezioni dell’Islam (sciita e sunnita) e che vede protagonisti ogni giorno nuovi attori: dal Gia algerino ed i Fratelli Musulmani alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Is.
Il risultato che si spera di raggiungere attraverso gli attentati sul suolo europeo è la destabilizzazione dell’opinione pubblica. Fomentare l’odio nei confronti delle comunità islamiche, che pure si sono schierate contro i fatti di Parigi, ed isolarle, in modo da creare un humus anti-occidentale così forte da rendere naturale, in seno stesso alla democratica Europa, il formarsi di quelle brigate (i cosidetti foreign fighters) che in nome di Allah decidono di tornare nei luoghi d’origine dei loro padri a combattere per l’Is, che si propone come unica e vera visione dell’Islam anti-occidentale.
Il loro scopo finale è la creazione di quel famoso stato arabo salafita, rivendicato nel corso degli ultimi 100 anni (non era forse al-Qaida che chiedeva agli statunitensi di ritirarsi dall’Arabia Saudita?) e l’eliminazione di tutte quelle nazioni “impure” (perché create dagli occidentali) utilizzando come arma principale estremismo e religione.
Politicamente però, a differenza di al-Qaida, l’Is si muove utilizzando social network e media e, soprattutto, in un contesto mediorientale estremamente più debole (dopo la Primavera Araba, l’idiozia libica e la Guerra Civile in Siria).
Cosa possiamo fare da europei?
Non dobbiamo perdere la ragione. Bisogna mostrarsi più forti del loro odio e del loro rancore, salvaguardare le nostre comunità ed aumentare il livello di integrazione. Non possiamo lasciare che le comunità islamiche in Europa diventino la testa di ponte dell’Is nella nostra democrazia.
Non serve più “intelligence” (come sostengono anche alcuni politici nostrani) serve più intelligenza. E, probabilmente, anche più conoscenza.
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