Medio Oriente
Gli effetti tragicomici del voltafaccia di Obama a Israele e ai sunniti
UN Resolution 1701 –Divieto a Hezbollah, sostenuto dall’Iran, ad agire sul Territorio libanese con attacchi armati. MAI APPLICATA.
UN Resolution 1696 – Blocco del programma iraniano di arricchimento dell’uranio e richiesta di accettazione del diritto di Israele ad esistere da parte palestinese. MAI APPLICATA.
Lungo è l’elenco delle risoluzioni ONU che non hanno mai trovato applicazione e che particolarmente nel mandato Obama son state disattese e ignorate nei rapporti diplomatici con i Paesi del Medioriente. Da quando è salito al potere Barack Obama, con Hillary Clinton al suo fianco, ha deliberatamente voltato le spalle ad Israele e all’Arabia Saudita pensando di eliminare l’impegno americano nei confronti di due alleati storici. Già da questo si capisce che la politica estera di Obama è basata su assunzioni relative al Medio Oriente del tutto errate, che la semplice cronaca si è presa la briga di cassare come tali nel volgere di poco tempo. Il Medio Oriente non è andato nella direzione che auspicava il presidente Usa: il fallimento dell’interventismo nel Mediterraneo (Siria, Libia), il radicamento dell’Is, il drammatico attentato a Tunisi, e adesso il conflitto aperto in Yemen da una coalizione sunnita a guida saudita contro i ribelli sciiti Houthi supportati dalla filiera Iran-Hezbollah–Hamas.
I “dispetti” e le umiliazioni comminate al premier di Israele Bibi Netanyahu durante le sue visite a Washington son diventate barzellette alla Casa Bianca. A nulla sono valsi i tentativi di parte israeliana di sottolineare la doppiezza dei palestinesi al tavolo delle trattative e l’ostinazione di Hamas a non rinunciare alla lotta armata ed a non riconoscere il diritto all’esistenza di Israele a nulla sono valsi. A nulla vale il giudizio di Moody’s che ritiene politicamente più stabile e preferibile una coalizione guidata dalla destra di Bibi che dal centro sinistra sionista per la stabilità economica del Paese. Invece, da parte americana, sono spuntate accuse di spionaggio a Israele, si è poi aggiunta la declassificazione di reperti storici sullo sviluppo di un programma nucleare nel Paese risalente al 1987, e infine le parole dure contro Nethanyahu che mai Obama ha riservato né ad Assad né a Putin.
I sauditi son partiti all’azione, pronti a ristabilire ordine nel vicino Yemen e a rinsaldare l’alleanza fra i 10 Stati presenti nell’Area del Golfo compresi Giordania ed Egitto. L’America si è trovata costretta ad offrire supporto logistico e di intelligence proprio quando ad essere bombardati sono i ribelli sciiti Houthi finanziati e supportati militarmente dall’Iran. Un risultato tragicomico per un’amministrazione che sta cercando in tutti i modi un’allenza con il medesimo Iran. Gli Houthi hanno occupato il Nord e hanno già saldamente in mano gli oleodotti del Mar Rosso. Ed a fuanco dei sauditi ora ci sono anche i turchi, come testimoniato dal recente viaggio in Arabia Saudita a fronte del quale il Premier turco Erdogan ha rinsaldato il rapporto di base con Ryad e si è trovato terreno fertile per un accordo, allargato al Qatar, per sostenere i ribelli siriani anti Hassad.
Così il fronte sunnita si rinsalda valutando possibili soluzioni per il conflitto siriano, che si inquadrano in una strategia più generale di contrasto al fronte sciita, Iran in testa. Strategia che, è appena il caso di notare, è esatto all’opposto di quella di alleanza con Teheran perseguita dal delegato Usa John Kerry.
Tutto questo ha avuto anche delle implicazioni sul mercato dell’energia. Gli effetti sul petrolio si son fatti sentire immediatamente con un netto rimbalzo e confermando la tenuta del prezzo del barile WTi a 40 dollari, mentre le case energetiche stan riprendendo fiato dopo la correzione degli scorsi mesi dei loro corsi azionari. Intanto l’Egitto ha bloccato le forniture di gas a Gaza a causa degli ingenti debiti accumulati e mai pagati da Hamas, a dispetto dei copiosi finanziamenti ricevuti dall’estero, e al contempo ha rafforzato il dialogo con l’Italia, chiedendo il supporto europeo per fronteggiare l’infiltrazione dell’IS/ISIS in Libia.
È un fatto che la guerra politico-religiosa e di frazione interna al mondo islamico si autoalimenta su due fronti: quello classico tra la maggioranza sunnita e gli sciiti in Yemen , Siria ed Iraq e il tutto contro tutti della deriva salafita dell’IS con mire territoriali ed economiche molto ampie legate ad un “network” tra gruppi di terroristi attivi sia nell’area mediorientale sia africana, incluso il Maghreb.
Tornando ad una delle cause principali del caos mediorientale e dei rischi bellici messi in campo non si capisce da cosa derivi questa incapacità di Obama ad affrontare adeguatamente la politica estera americana. Insigni dietrologi fanno notare come Obama abbia avuto un padre keniota dichiaratosi ateo e poi un secondo padre indonesiano islamico moderato che lo accompagnava alla moschea da piccolo. Poi Obama riappare alla Trinity United Church of Christ di Chicago dove si converte e milita per 20 anni e farà battezzre le sue figlie. Il suo mentore Jeremiah Wright ha supportato in passato le marce di proteste anti-israeliane organizzate dal Qatar a Gerusalemme e sottoscritto un documento ove si rigetta l’idea di uno Stato ebraico e se ne chiede il boicottaggio , tanto che la Trinity United Church e’ arrivata a supportare il negazionismo arabo con accenti antisemiti molto evidenti negli ultimi anni. Il boicottaggio delle chiese metodiste e protestanti anglosassoni che ne e’ seguito non è stata quindi una novità, ma certamente ancora una volta Obama conferma l’affettuoso legame fraterno con una comunità il cui leader è notoriamente antisemita.
In un famoso video che viralmente sta invadendo i socials tratto dalla serie The Newsroom la domanda è: perché gli USA sono il Paese migliore del mondo? La risposta spiazzante del protagonista disegna una realtà fuori dagli stereotipi: «Gli Usa sono settimi al mondo per alfabetizzazione, 49esimi per aspettative di vita, 178 esimi per mortalità infantile, terzi per reddito famigliare medio e quarti per forza lavoro ed esportazioni. Sono primi solo per il numero di cittadini in carcere pro-capite e le spese per la Difesa, in cui investe più di 26 nazioni messe insieme, delle quali 25 sono sue alleate». Gli Usa spendono circa 600 miliardi di dollari Usa per le spese militari, seguita dalla Cina con soli 140 miliardi e dall’Arabia Saudita, che ha recentemente superato la Russia, con 70 miliardi di dollari Usa. «Gli Usa delle cause giuste, delle lotte in nome di principi morali, della guerra alla povertà e non ai poveri» è lontana dalla realtà del conflitto sociale attuale e del caos provocato dalla politica di Obama in Medio Oriente.
Più di vent’anni di politica americana di contenimento della minaccia nucleare iraniana portata avanti dal Congresso rischiano di sfumare nell’ossessione dell’attuale Presidente di racimolare almeno un risultato quale che sia nella sua politica estera scellerata. Dopo la lettera dei 47 senatori americani che conteneva un monito all’Iran (qualsiasi accordo sul nucleare potrebbe essere annullato da un futuro Presidente e dovrebbe comunque essere ratificato dal Congresso), ben 367 membri del Congresso hanno scritto un’altra lettera dove si ricorda l’impegno del Congresso negli anni passati e si riafferma un ruolo di supervisione e vigilanza del Congresso. Si riafferma che il mandato del Congresso non può essere succube ad una visione “miope ossessione” di un’amministrazione in carica ma a fine mandato. Per questo la Commissione del Senato Usa voterà a metà aprile una legge che obbliga Obama a sottomettere qualsiasi accordo sul programma nucleare iraniano al Congresso per approvazione, quindi dopo la scadenza del negoziato del 31 Marzo. Una tutela resa necessaria dai disastri fin qui prodotti dalla politica estera del Presidente di una superpotenza resa piu’ debole da un’amministrazione fallimentare anche nella politica interna.
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