Questione islamica
“No Woman’s Land”, il reportage sul dolore intimo delle donne afghane
“No Woman’s Land” (Non è una Terra per Donne), è un reportage della fotoreporter canadese-iraniana Kiana Hayeru e della ricercatrice francese Melissa Cornet, realizzato con il sostegno del Carmingnac Photojournalism Award, online dallo scorso 8 marzo (nowomansland.fondationcarmignac.com) che racconta il viaggio compiuto da gennaio a giugno 2024, attraverso sette province afghane, per focalizzare l’attenzione sulle condizioni delle donne e delle ragazze del posto, dopo le tantissime imposizioni per mano dei talebani, incontrando 100 donne che sono state allontanate dalla scuola e rinchiuse nelle loro abitazioni, ancora giornaliste e attiviste che combattono ogni giorno per i loro diritti.
Siamo alla fine degli anni ’90 e il Mullah Omar, leader terrorista dei talebani, vietava alle donne afghane di studiare, addirittura di uscire o lavorare senza burqa. Al suo fianco, allora, un consigliere di etnia pashtun, figlio di un religioso del distretto di Panjwai, a Kandahar, tale Hibatullah Akhudzada, lo stesso che precisamente il 7 settembre del 2021, ha ripreso il governo dei taliban, a Kabul, dopo un ventennio di occupazione occidentale. Da quel momento in avanti, verrebbero commesse costantemente delle vere e proprie persecuzioni nei confronti delle donne, ragazze e persone LGBTQIA+. La Corte Penale Internazionale, dunque, nutrendo sospetti fondati configurabili come crimini contro l’umanità, coinvolgendo anche il presidente della Corte Suprema Abdul Hakim Haqqani, ha formulato due mandati d’arresto sui quali dovrebbe esprimersi a breve.
E così, le donne afghane, continuano ad implorare una pace che, fondamentalmente, non conoscono, perché non è stata mai concessa loro. Stremate da un massacro di genere, ad opera di carcerieri spietati e frustrati, capaci di eliminare qualunque traccia di presenza femminile dalla vita pubblica, arrivando a negare la stessa esistenza delle donne, con lo sciocco intento che, di queste, il mondo si dimentichi totalmente.
Un mondo che, però, pare stia abbassando o quasi spegnendo del tutto i riflettori su questa piaga infame, che come una bomba ad orologeria prima o poi potrebbe investirci tutte. Con un assetto geopolitico guidato da Cina e altri Paesi Arabi che intessono rapporti economici con il governo di Kabul, infischiandosene di come i diritti femminili in quella terra martoriata vengano calpestati di continuo nell’indifferenza generale.
Non è possibile nemmeno prestare il proprio servizio all’interno delle ONG, minacciate quotidianamente di vedersi revocata la licenza, accampando trasgressioni fantasma. Ancora, vige il divieto di accedere ai parchi pubblici, di fare sport, di potersi spostare oltre i 72 km se non accompagnate da un maharam, ovvero un parente di sesso maschile, coprendosi sempre con un burqa o niqab. Per non parlare poi, delle ragazzine di 12 anni a cui è stato impedito di studiare, insabbiando tutto con una sorta di sospensione temporanea per poter approntare percorsi scolastici diversificati tra studenti e studentesse all’interno dei vari edifici scolastici. Di fatto, dopo appena sei mesi, si è scoperto che quel divieto era una vera e propria preclusione definitiva a proseguire gli studi oltre il sesto grado (istruzione secondaria) per le ragazze, rinchiuse in casa e lasciate ad annientarsi da un dolore indicibile.
Nonostante tutto, vi sono ancora molte donne che con coraggio e determinazione provano in tutti i modi a ribellarsi a questo regno di morte e privazioni, pagando molto spesso con la vita. Servono riforme urgenti, che distruggano questo muro omertoso e vergognoso che nega l’istruzione femminile, lasciando alle giovani donne la possibilità di scegliere se continuare con gli studi secondari e universitari, senza costrizioni. Infine, a rendere il quadro internazionale maggiormente grigio, vi è stata l’elezione del Presidente Trump, che non ha alcuna intenzione di riprendere l’erogazione degli aiuti verso l’Afghanistan. Basti pensare che fino all’estate del 2021, Washington era il principale sovvenzionatore del Paese, con 20 miliardi di euro stanziati. Oggi, l’economia di quel territorio è ridotta di un terzo, con il 70% della popolazione che necessita di aiuti umanitari indifferibili e con un tasso di disoccupazione raddoppiato.
Le notti afghane sono diventate ormai prive di stelle, con le donne che non possono più cantare, leggere o presentarsi liberamente in pubblico. Aspetteremo che la loro voce venga zittita per sempre?
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