Questione islamica

Nell’era dell’Isis giornalismo e politica confondono attentati e omicidi

21 Luglio 2015

La decapitazione di un uomo a Isère in Francia, nel venerdì nero del terrorismo internazionale, l’esplosione nei pressi del consolato italiano in Egitto, sabato 11 luglio, e la sparatoria in un centro reclutamento a Chattanooga, nel Tennessee, Stati Uniti, venerdì 17 luglio. Tre eventi diversi, in Paesi diversi, realizzati con differenti modalità, ma soprattutto con analisi e osservazioni distanti tra di loro. Con un tratto in comune: la superficialità.

I primi due sono stati subito etichettati come attentati, salvo poi subire una revisione, seppure parziale, mentre il terzo è stato quasi derubricato a cronaca, il gesto di uno squilibrato, senza un reale approfondimento del caso (almeno sui media europei). Eppure è veramente l’unico che alla fine potrebbe avere la matrice di un’azione di “un lupo solitario” ispirato dai principi estremisti.

La questione è abbastanza evidente: nell’era dell’Isis non c’è più un limite chiaro tra l’attacco terroristico e l’omicidio. E questo mette sul tavolo una questione del mondo dell’informazione e ancora di più della politica, richiedendo un’impostazione nuova, o meglio dal sapore antico: attendere qualche ora prima di emettere responsi, verificare l’attendibilità delle news e cercare di contestualizzarle. Perché potrebbero finire per alimentare paure ingiustificate o più semplicemente perché si può incorrere nell’infortunio di raccontare o commentare una cosa inesatta, non vera. Che però nel frattempo penetra nell’opinione pubblica, trasformandosi in mezza verità.

Basti pensare a quanto avvenuto in Francia: la brutale decapitazione di Hervé Cornara aveva allarmato l’intero Occidente con la parola “attentato islamista” che è volato di bocca in bocca, anche per colpa delle solenni affermazioni del presidente François Hollande. Poi la notizia è scomparsa perché la pista terrorista si è sostanzialmente sgonfiata. C’è un’ipotesi di legami passati con i jihadisti, ma l’autore del delitto, Yassin Sahl,  ha confessato di aver agito per scopi personali, l’odio verso il capo, mentre il gruppo Stato islamico, nemmeno lontanamente, ha rivendicato l’azione. Ma intanto nell’opinione pubblica è rimasta l’impressione di un’azione addirittura legata al Califfo.

Poi c’è stato l’attacco al Cairo che ha distrutto il consolato italiano, che aveva subito fatto parlare di un’intimidazione contro Roma, con immediati dichiarazioni preoccupate. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, aveva ragionato: “Si è voluto colpire l’Italia” per l’impegno internazionale contro il terrorismo. E quindi il titolare della Farnesina aveva giurato che Roma non sarebbe arretrata di fronte alle minacce. Qualche ora dopo, invece, è emersa un’altra versione: l’obiettivo era il giudice egiziano, Ahmed Fudali, reo di essere vicino ad al-Sisi e quindi inviso agli islamisti vittima della repressione del presidente. In ogni caso una questione interna, in cui l’edificio del consolato italiano è stato un danno collaterale.

Infine, l’ultimo della serie, l’azione solitaria di Mohammed Abdulazeez a Chattanooga, nel Tennessee (Stati Uniti), che in un centro di reclutamento ha uccisi cinque marines, quattro morti sul colpo e un altro deceduto dopo qualche giorno. Il profilo del pluriomicida, ucciso durante l’inseguimento delle forze di polizia americane, è abbastanza complesso. Ma nel suo caso ci si avvicina all’identikit del lupo solitario, dello squilibrato che colpisce a caso pur senza un legame strutturale con l’Isis se non una affinità ideologica, alimentata dal rifiuto della cultura occidentale. E nel caso specifico americana.

La questione appare piuttosto impegnativa, ancora di più nella fase storica in cui i social network pretendono una velocità di informazione pressoché immediata. Ma di fronte alle notizie di portata storica, la prudenza diventa la miglior virtù: perché passi pure che il giornalista sbagli, ma è assai grave che un presidente della Repubblica, come Hollande, o un ministro degli Esteri, come Gentiloni, commenti una notizia falsa, finendo per convalidarla attraverso il ruolo istituzionale che ricoprono.

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