Questione islamica
L’Islam è violento? Considerazioni sulla violenza nel pensiero salafita
Le notizie e le immagini degli attentati perpetrati dall’ISIS hanno atterrito l’opinione pubblica occidentale riaccendendo un serrato dibattito sull’Islam. L’attenzione mediatica eccessiva e la voracità con cui l’audience ha richiesto informazioni non rende possibile lo svolgimento di una riflessione seria e profonda. Così, come spesso accade nell’era digitale, il dibattito risulta non solo pressapochista, ma anche confusionario e inesatto, alimentando pregiudizi e luoghi comuni.
Un tema, in particolare, ha destato l’interesse dell’opinione pubblica: il rapporto tra Islam e violenza. Troppo spesso si sente dire che l’Islam sia intrinsecamente violento e che la violenza risalga alle origini di questa religione. Ciò tuttavia non è corretto. Tralasciando l’età medievale, periodo in cui nessuno, né cristiano né musulmano, avrebbe messo in discussione l’uso della violenza come anormalità politica, il rapporto odierno tra Islam e violenza può essere compreso alla luce degli sviluppi politico-sociali occorsi nel mondo arabo-musulmano negli ultimi cento anni, risultato di una discussione sul rapporto tra Islam e modernità.
I moderni gruppi combattenti islamici sono espressione di una corrente minoritaria del Salafismo radicale, quello jihadista, che fa della lotta violenta il metodo principale per l’emancipazione politica e religiosa. Nello Jihadismo la violenza è certamente presente ma è il risultato di una radicalizzazione avvenuta negli ultimi 60 anni, non un dogma religioso.
Come sostiene uno dei massimi islamologi italiani, Paolo Branca: “La serie infinita di insuccessi politico-militari, l’impressionante crescita demografica, la responsabilità di classi dirigenti incapaci e corrotte alimentano un disperato bisogno di rivalsa. Se si tiene conto poi che in questa parte del mondo la democrazia, la libertà di associazione, i diritti umani sono quasi del tutto assenti, non si fa fatica a capire come la religione resti l’unico linguaggio praticabile per esprimere il proprio disagio”.
Il primo pensatore a cui si deve una svolta aggressiva nell’azione del Salafismo è l’egiziano Sayyid Qutb, esponente dei Fratelli Musulmani che conobbe le dure carceri nasseriane verso la fine degli anni 50’, nelle quali radicalizzò il proprio pensiero. Qutb, nel pieno della guerra fredda, dichiarò sia il sistema capitalista sia il sistema comunista empi. Soprattutto, lanciò l’accusa di miscredenza ai regimi dittatoriali e nazionalisti che si erano instaurati in Medio-Oriente. Dovevano perciò essere rovesciati attraverso una rivoluzione violenta, e incitò al Jihad difensivo per liberare uno stato dal governo ingiusto. È proprio con Qutb che la violenza in nome dell’Islam diventa arma politica necessaria nel mondo moderno; il suo pensiero verrà sviluppato da altri pensatori, tra i quali Abdallah al’Azzam.
Al-‘Azzam era un giurista e teologo palestinese che organizzò il Jihad per la liberazione dell’Afghanistan dal controllo sovietico nel 1979. Diversamente da Qutb, la cui rivoluzione violenta serviva a rovesciare il governo dell’Egitto, Al-‘Azzam ampliò il concetto di Jihad, che non mirava alla rivoluzione entro gli stati-nazione, ma alla riconquista di tutti i territori appartenuti storicamente alla Umma islamica, rivitalizzandone il concetto. L’azione jihadista violenta, sempre a scopo difensivo, doveva partire dall’Afghanistan e irradiarsi verso tutto il Medio-Oriente fino all’Andalusia allo scopo di ripristinare il Califfato degli albori. È questa l’ideologia fatta propria dall’organizzazione Al-Qaeda.
Lo Stato Islamico, o ISIS, compie un ultimo passaggio ideologico, finora l’ultimo stadio evolutivo del Jihadismo. La lotta violenta non deve essere soltanto difensiva, ma offensiva e globale. In quest’ottica, essendo il messaggio dell’Islam universale, il mondo, e non solo la Umma originaria, deve essere islamizzato con la forza, attraverso un azione a cui sarebbero chiamati tutti i musulmani.
Il clamore mediatico, che ogni giorno riporta notizie di auto-bombe esplose o brutali attentati contro occidentali, rischia di amplificare la portata del Jihadismo, concludendo che l’Islam sia una religione violenta. Certo, il Jihadismo resta un pericolo serio e concreto per la sicurezza internazionale. Gli intelligence occidentali devono compiere il massimo sforzo per il contrasto, ma due elementi devono essere tenuti in considerazione. Il primo è che la violenza è propria solo del Jihadismo, corrente decisamente minoritaria del Salafismo, che a sua volta è minoritaria in molte zone medio-orientali e nord-africane. La seconda è che la violenza non trova fondamento specifico nel Corano o nella Sunna. Calata in un contesto etnico confessionale variegato e in mancanza di un’istituzione religiosa unitaria, è diventata pretestuosamente dialettica di alcuni gruppi in risposta a una condizione politica, sociale ed economica traumatica. Terreno fertile perchè il Jihadismo diventi l’unico linguaggio praticabile.
Conoscerne il pensiero jihadista e il background storico in cui s’inserisce è essenziale. Da una parte il solo modo per sconfiggere i gruppi combattenti è l’azione militare. Dall’altra, bisogna capire quali riforme socio-economiche e politiche adottare perchè non si ripetano le condizioni ideali che rinvigoriscano l’appeal jihadista. Insistere però con il leitmotiv per cui l’Islam è violento ha l’unico effetto di polarizzare il dialogo interculturale e interreligioso, minando soprattutto la stabilità dei musulmani
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