Questione islamica
L’incarnazione del divino in Giuliano Ferrara
“Di persona che, per aver compiuto azioni particolarmente turpi e spregevoli, si è resa indegna della pubblica stima”, dice il vocabolario Treccani alla voce infame. E aggiunge: “Nell’uso corrente, con senso più generico, di chiunque si sia macchiato di gravi colpe contro la legge, la morale, la religione”. Adopera esattamente questo aggettivo, infame, Giuliano Ferrara, per parlare di nonviolenza sul Foglio di oggi. Storia della nonviolenza infame, titola.
Proviamo a seguire il suo ragionamento. Partendo però dalla fine.
Dice, Ferrara, che esiste “un modo di vita sempre meno popolare, sempre più un discussione, ma privo di serie alternative per generazioni a venire”. Sta parlando, evidentemente, di quel modo di vita che consente a lui di scrivere un articolo e a me di scrivere una replica usando il pc e la connessione ad Internet, in una stanza riscaldata che ci tiene a riparo dai rigori dell’inverno, dopo aver mangiato in modo più che soddisfacente. E’ in effetti un modo di vita meraviglioso. Il problema non è, come dice Ferrara, che il nostro modo di vita è sempre meno popolare. Il problema è che è sempre più popolare. Il problema è che sempre più persone si chiedono per quale ragione non possono vivere come viviamo io, Giuliano Ferrara e qualche altro milione di persone. Ora, il nostro modo di vivere ha un limite imbarazzante: è esclusivo ed escludente. Noi possiamo vivere in questo modo, ma non tutti possono vivere in questo modo. Non possono vivere in questo modo sei miliardi di esseri umani, e ciò per due ragioni: la prima è che non ci sono risorse energetiche, alimentari, materiali per assicurare questo stile di vita a tutta l’umanità, la seconda è che il pianeta stesso non reggerebbe l’impatto di sei miliardi di persone che consumano ed inquinano al ritmo dei paesi più evoluti.
Per assicurarci questo modo di vivere non abbiamo che una possibilità: assicurarci le materie prime e l’energia, anche umana, di cui abbiamo bisogno a basso costo. Non c’è alternativa. Ma questo ha significato, e significa, portare la guerra ovunque nel mondo per difendere i nostri interessi economici. Ognuno di noi ha un innato senso di giustizia, che si fonda sulla percezione dell’uguaglianza di ogni essere umano. Io vivo la mia vita comoda, sento che tutti hanno lo stesso diritto, ma al tempo stesso so che questo è impossibile, che io posso vivere così solo se loro non vivono così. Non mi restano che due possibilità. Posso rinunciare al mio modo di vivere, rendendomi conto che è bellissimo, ma fondato sull’ingiustizia e la violenza, oppure posso spingere fuori dal campo dell’umano chi contesta il mio modo di vivere. In questo secondo caso posso sentirmi giusto, perché essere giusti è riconoscere gli eguali diritti di chi è umano, non di chi umano non è.
E veniamo al secondo passaggio del ragionamento di Ferrara. C’è il nostro meraviglioso modo di vivere, che rappresenta la civiltà, la libertà, il libero pensiero, che però è assediato dalle “avanguardie assassine” del mondo musulmano. Non ci sono esseri umani di qui ed esseri umani di là. Ci sono di qui i liberi pensatori e di là i fanatici assassini; di qui gli umani e di là i non umani. Gli stati sono tentati dall’universalismo, ma essi, dice Ferrara rispolverando Schmitt, “sono entità particolari, elementi in campo nel conflitto tra amici e nemico, titolari del diritto e del dovere di imporre la pace laica che non c’è“. Ferrara compie un’operazione senza la quale la civiltà occidentale non esisterebbe: la costruzione del nemico con la conseguente disumanizzazione. L’Europa è da sempre il continente assediato dalla barbarie, e la barbarie è il mondo dei subumani, degli incivili, dei nemici contro i quali tutto è lecito.
Ed ecco il terzo passaggio. Contro questi barbari non è possibile usare il”diritto ordinario”, ma occorre “esercitare, prima che il vuoto sia interamente colmato da egemonismi cinici di potenze disinteressate alla libertà, il diritto di iniziativa armata e senza limiti“. Avete letto bene: ha scritto proprio “iniziativa armata senza limiti”. Che vuol dire: ammazzare alla grande, senza alcun limite non solo morale, ma anche giuridico. Sterminare il nemico. E no, non è un discorso cinico, questo; altri sono gli egemonismi cinici. Ferrara sta nel mondo del libero pensiero, e nel mondo del libero pensiero non esiste il cinismo. Esiste la giusta durezza, l’indignazione dell’onesto, lo sterminio come diritto, anzi come dovere.
L’ultimo punto – il primo per chi legge l’articolo dall’inizio – riguarda il papa e il suo elogio della nonviolenza. Fino a quando, si chiede il nostro nuovo Cicerone, “potrà abusare della nostra pazienza negando contro ogni evidenza la realtà e privandoci del sostegno della pax Christi, fatta altrettanto della passione della croce e dell’incarnazione del divino nella storia degli uomini?“. Non mi pare che la pazienza sia tra le virtù di Ferrara; in ogni caso dev’essersi già esaurita, in effetti, se concludendo l’articolo parla delle “scorrerie fantastiche di un pazzo intonacato”.
Con ogni evidenza un articolo del genere non merita il tempo che sto impiegando per commentarlo. Ferrara dice della bestialità prive di qualsiasi logica, e chiunque abbia un po’ di cervello e una contezza meno che vaga di cos’è una democrazia lo vede bene da sé. Ma va commentato per il suo valore esemplare; perché rappresenta, nella sua bestialità, un tipo di discorso pubblico che nel nostro paese, che tra i paesi democratici si distingue per la pessima qualità dell’informazione e del dibattito pubblico, ha un suo seguito. Si tratta, in sostanza, di adoperare il trentasettesimo degli stratagemmi illustrati da Schopenhauer ne L’arte di ottenere ragione: “Sconcertare, sbigottire l’avversario con sproloqui privi di senso”, dal momento che, come diceva Goethe, “L’uomo crede abitualmente, anche se solo parole sente, che vi si debba poter trovare pur qualcosa da pensare”. La cosa funziona se la spari grossa; e più grossa la spari, meglio funziona. Parla di “pace laica”, ma lamenta la mancata benedizione del papa, ossia del leader di una confessione religiosa. Ma non bisogna fare troppa attenzione ai dettagli ed agli aggettivi, quando si leggono articoli del genere. Va bene anche “nonviolenza infame”: funziona, e nessuno ci chiederà perché e percome. Dovrebbe provare a parlare di cose come il valore della vita umana, ma noi gli sbraiteremo contro la storia dell’anima bella: e amen.
Ferrara scrive sotto la spinta dell’indignazione, con l’ira del giusto. Fosse stato un intervento dal vivo, avremmo visto la saliva uscire dalla bocca urlante. Sente sulle sue spalle – ben robuste, sì, ma pur sempre di un essere umano si tratta: cioè di una creatura fragile – il peso del destino della civiltà occidentale; tocca a lui, in questi tempi tristi, in cui anche i papi abdicano al loro ruolo di guida della cristianità, farsi antipapa e indicare la via del bene. E’ compito storico e finanche religioso, ché si tratta della “incarnazione del divino nella storia degli uomini”. E il divino, si sa, quando agisce non va troppo per il sottile. Che è, poi, esattamente la cosa che pensano quegli infelici che ammazzano e si fanno saltare in aria gridando Allahu akbar.
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