Questione islamica
Le analogie tra la strage in Tunisia e la sventata carneficina sul treno Tgv
Oggi, per fortuna, si parla di eroi, di carneficina sventata, di un miracolo in stile hollywoodiano: Ayoub el-Khazani, il 25enne marocchino armato di kalashnikov, è stato fermato sul treno Tgv Amsterdam-Parigi solo perché in quella carrozza c’erano dei militari statunitensi in vacanza. Uomini capaci di affrontare un’emergenza simile: una qualità di cui ovviamente non tutti dispongono. Insomma, è stato un puro caso. In realtà il giovane arrestato successivamente nella stazione di Arras, in Francia, continua a sostenere di voler fare una rapina; ma addosso aveva un arsenale di munizioni che lascia immaginare altre intenzioni, visto e considerato che gli agenti dei servizi lo avevano inserito nella black-list di persone vicine all’estremismo islamico. I vari esperti hanno ravvisato legami con la galassia dell’Isis, sebbene non sia stata acclarata la sua ‘affiliazione’ a tutti gli effetti.
Gli analisti più avveduti hanno sottolineato un aspetto inquietante: le analogie con l’attentato a Sousse, in Tunisia, dove c’è stata la morte di 38 turisti. Oltre dell’identica arma, l’AK-47, c’è una pure stessa logica: colpire obiettivi indipendentemente dalla rilevanza strategica. Il terrorismo islamico nell’era dell’Isis è molto diverso da quello di matrice qaedista. Ora si punta a seminare morte e terrore in qualsiasi luogo. Beninteso anche Osama Bin Laden voleva spargere il sangue degli ‘infedeli occidentali’, prendendo però di mira i santuari del nemico, a cominciare dalle Torri Gemelle abbattute l’11 settembre. Le bombe nella stazione di Atocha e gli attacchi alle metropolitane di Londra seguivano lo stesso sanguinario ragionamento: colpire il cuore dell’Occidente, individuando i centri nevralgici come i punti di snodo.
Quello che è accaduto a Sousse ha rappresentato un’escalation del terrorismo islamico: gli obiettivi sensibili non sono più i luoghi di culto, i Palazzi istituzionali, o i terminal dei trasporti, sia aerei che ferroviari, ma qualsiasi posto popolato da ‘miscredenti’. E in questa logica è ancora se queste azioni indeboliscono l’economia di un Paese, come nel caso della Tunisia che ha visto fuggire i turisti, una delle principali fonti di ricchezza. Il treno Thalys in apparenza non aveva alcun particolare significato per finire nel mirino di un possibile attentato: era una corsa semplice di un convoglio di come ce ne sono migliaia al giorno. Ma proprio per questo motivo c’era l’intenzione di colpirlo, creando l’ennesimo shock in Europa. Con un messaggio del tipo: “Non siete sicuri in alcun luogo”. Nemmeno su un anonimo treno.
La minaccia, peraltro, arriva dall’interno dell’Occidente. L’icona di Jihadi John, il boia dell’Isis, sintetizza il pericolo dei foreign fighters: giovani cresciuti in Europa che si uniscono ai battaglioni neri del gruppo Stato islamico seguendo l’ideologia estremista propugnata dall’autoproclamato Califfo. Le stime parlano di almeno 5mila persone che sono andate a combattere in Iraq e in Siria, pronte a far ritorno nella patria di partenza (una consistente parte proviene da Francia e Gran Bretagna), dove possono applicare le strategie di guerra apprese al fronte e maneggiare armi con grande esperienza. La conferma è giunta direttamente da un portavoce dell’Interpol, che senza giri di parole ha parlato di minaccia più grande per l’Europa dall’11 settembre.
Una capacità che si può tradurre in centinaia di vittime innocenti per un pericolo difficile da disinnescare, in quanto difficile da individuare, pure per le forze di sicurezza più attrezzate. Il mirino del terrorismo non ha più un ‘senso’ – se così si può definire – simbolico come avveniva in precedenza. L’unica intenzione è quella di fare stragi di ‘infedeli’.
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