Geopolitica
La tragedia dello Yemen, nel disinteresse generale
Uno Stato povero, situato nella punta meridionale della Penisola araba. Lo Yemen è questo o poco più agli occhi distratti dell’Occidente. Insomma un posto dimenticato da tutti. Eppure, in quell’area così distante, può scoccare la scintilla di un conflitto regionale che avrebbe pesanti ripercussioni anche sull’Occidente. Una guerra, del resto, è già in corso tra la coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita e i miliziani sciiti degli Houthi. Ci sono già 600 morti e secondo le Nazioni Unite più della metà sono civili.
Di fronte, molto a breve, ci potrebbero essere però direttamente la dinastia sunnita dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica sciita dell’Iran. In mezzo c’è poi l’ultima roccaforte di Al Qaeda, che è presente con la sua Aqap (Al Qaeda nella Penisola Arabica) comandata dallo sceicco Nasir Al Wuhayshi. Non a caso da anni gli Stati Uniti compie operazioni militari con i droni sulle zone controllate dai qaedisti yemeniti.
Finora le schermaglie, tra i due giganti che rivaleggiano per il ruolo di potenza regionale, erano sempre rimaste sul livello diplomatico. Nello Yemen, adesso, può verificarsi l’escalation con lo scontro sul campo di battaglia: Riyad, come accennato, è già alla guida di una coalizione, una sorta di prova generale della Nato araba, che vuole favorire il governo ufficiale, ora in fuga; mentre Teheran si limita a sostenere, seppure in maniera crescente, i ribelli degli Houthi, una tribù del nord seguace dello zaydismo (branca degli sciismo), che partendo dal settentrione ha ormai preso il potere ben oltre la capitale Sana’a. Il leader è Abdul Malik al-Houthi, che ha saputo miscelare gli elementi religiosi a quelli militari (nella mappa a fine articolo sono segnalate le aree conquistate).
Il Paese è una polveriera da tempo. Dopo la deposizione del presidente Saleh, al potere ininterrottamente dal 1990 (anno della riunificazione dello Yemen) fino al 2012, la situazione è precipitata con le varie fazioni che hanno cercato di prevalere. In particolare il Movimento del Sud aveva chiesto l’indipendenza: allo stato attuale rischia di essere schiacciato dagli ‘invasori’ del nord. Infatti deve fare i conti con l’avanzata delle milizie sciite. Eppure gli Houthi nel settembre 2014 avevano avviato un dialogo con il presidente Mansur Hadi, giungendo a un’intesa per un esecutivo di transizione. Da ottobre, tuttavia, la situazione è precipitata: i ribelli non si sono accontentati di entrare in un governo di unità nazionale, ma hanno spinto per prendere il potere in tutto il Paese combattendo l’esercito regolare, costretto ad arretrare.
Nonostante la convinzione comune sia che l’Iran abbia armato gli Houti, le milizie sciite hanno in realtà goduto dell’appoggio dei militari (compresi i vertici) fedeli all’ex presidente Saleh, rovesciato durante le rivolte della Primavera araba, che nello Yemen è stata animata dagli Houthi, oltre che da altre fazioni. Uno scenario caotico, in cui i nemici di due anni fa – Houthi e soldati di Saleh – si ritrovano al fianco per convenienza. Ognuno vuole badare al proprio interesse. Tutto ciò accade mentre l’intelligence statunitense ha lanciato l’allarme: lo Yemen può diventare la nuova ‘capitale’ di Al Qaeda, sfruttando il caos nel Paese e prendendo come modello quanto fatto dai ‘cugini’ dell’Isis, sorto grazie al disfacimento dello Stato siriano. Con la differenza che in Yemen possono trovarsi in guerra giganti come Arabia Saudita (con l’appoggio dell’Egitto) e Iran.
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