Questione islamica
Quella morbosa attenzione verso Jihadi John
L’ultima notizia è che Mohammed Emwazi – meglio noto come Jihadi John – ha chiesto scusa alla sua famiglia per quello che sta causando in termini di sicurezza. Ma sia ben chiaro che il tagliagole dell’Isis (secondo le informazioni a disposizione è stato lui a decapitare il reporter americano James Foley) non è pentito per quanto sta facendo.
Jihadi John è diventato ormai una star nell’universo mediatico occidentale. Sono giorni, infatti, che il suo (sopran)nome riempie le pagine dei giornali di tutto il mondo, in particolare quelli britannici per ragioni di prossimità geografica. L’attenzione intorno alle sue ‘gesta’ del passato è davvero morbosa: è stato mostrato di tutto, dalle foto dell’infanzia alla conversione al jihadismo. Ci mancava solo che pubblicassero la foto del primo dentino.
C’è chi parla di lui come un mezzo sbandato e chi lo ha elogiato per essere stato un «dipendente modello». Basterebbero questi due fatti per comprendere quanto sia problematica – per non dire fittizia – la costruzione del profilo del boia più famoso del mondo (nonostante il suo volto attuale sia semi sconosciuto.) Eppure non si riesce a tacere di lui per ragioni alquanto semplici: la sua storia ha un alto indice di interesse, in quanto molto appetibile, e soprattutto personalizza l’Isis, che sinora è sempre stata vista come un’entità liquida. Il leader Abu Bakr al-Baghadi agisce nell’ombra, sono poche le tracce audio che rilascia, e ancor di più rifugge dal piacere di farsi vedere in video. E i media hanno bisogno di “facce” per rappresentare le notizie.
La metamorfosi di Mohammed Emwazi in Jihadi John è così una succulenta storia mediatica, che va anche al di là della questione dei foreign fighters (una risposta generale è arrivata in questo articolo de Gli Stati Generali di Christian Elia). D’altra parte, sul versante dell’Isis, bisogna considerare l’aspetto propagandistico per gli islamisti, quello relativo alle conseguenze della sovraesposizione di Jihadi John. Piaccia o meno, l’esito è che la sua figura viene “mitizzata”, alimentando il temuto effetto emulazione. Basta immaginare alle centinaia di persone che vivono ai margini della società, facendo fatica a inserirsi nel sistema culturale e lavorativo.
In un contesto di integrazione complessa, la scelta estrema dell’arruolamento può emanare addirittura un fascino perché – al di là del giudizio di valore – Mohammed Emwazi è oggi una persona “di successo”: un ragazzo che dal nulla è riuscito a diventare il simbolo della lotta all’Occidente. Quello stesso Occidente che per molti si rivela un sogno tradito. Un mix che è un perfetto carburante per sposare la causa anti-occidentale.
Perciò, ancora una volta, i jihadisti riescono sfruttare uno strumento occidentale – l’interesse dei media intorno a una figura così raccontabile come Mohammed Emwazi – per favorire l’operazione di reclutamento di tanti aspiranti Jihadi John.
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