Medio Oriente

In love with kefiah

28 Maggio 2024

Dopo un periodo di relativa invisibilità, ubi maior minor cessat, la Greta internazionale ritorna a galla ammantata di kefiah. Forse Greta non lo sa ma ormai quasi tutte le kefiah, ossia le sciarpe simbolo dei palestinesi, usate variamente nel mondo arabo, sono prodotte, naturalmente, in Cina. E sono, innaturalmente, tutte sintetiche. Viene il sospetto che anche quella che Greta indossa lo sia. Ma questo è, fino a un certo punto, secondario, sebbene per una pasionaria dell’ambientalismo la plastica sia il nemico numero due dopo l’anidride carbonica.

La cosa più inquietante è il contenuto coperto dalla kefiah in quest’uso modaiolo che ne fanno Greta e i suoi seguaci. O, meglio, l’assenza di contenuto. Che si riallaccia all’assenza di contenuti autentici e alla superficialità delle altre sue battaglie, fatte per lo più di slogan. Sembra, infatti, che l’ambientalismo, vissuto a dosi così massicce come in questi ultimi anni, abbia perso un po’ di appeal e quindi ci si rivolga ad altri eventi più attuali strumentalizzandoli per alimentare altre movimentazioni radicali. È, in fondo, una questione di opportunismo da influencer.

Il fenomeno degli/delle influencer, come abbiamo già visto in molti altri casi, non ultimo, solo per fare un esempio, sebbene di taglio diverso, quello relativo all’ascesa parabolica e caduta altrettanto parabolica di Chiara Ferragni, una delle più famose star del nostro piccolo universo di provincia, è un fenomeno abbastanza nuovo prodotto dalle reti sociali, legato alla nascita e allo sviluppo rapidissimo di qualcuno e, quindi, alla diffusione pervasiva dell’immagine e dello slogan, perfino in tutte le minime attività del nostro quotidiano.

Greta Thunberg, che difficilmente se la sarebbero filata negli anni Settanta del Novecento, è diventata l’icona di orde di ecologisti, soprattutto giovani, che hanno visto in lei la paladina ideale per le ansie che un clima apparentemente fuori controllo provoca soprattutto in chi avrebbe ancora a cuore il “futuro”, probabilmente per una visione e per una propensione alla protesta legate all’età, senza nemmeno sapere che cosa sia codesto futuro.

Il compito di vergine bionda e trecciuta contro il cambiamento climatico, immagine icastica della giovane ingenua che tuona contro i giganti del mondo perché le stanno rubando quel futuro, passata l’adolescenza, si sbiadisce, le uova non sono più così fresche.

Greta, o chi per lei, collega allora il cambiamento climatico colla guerra in atto tra Israele e Hamas. E, alla fine del 2023, firma un articolo, insieme ad altri apostoli dell’FFF svedese, per ribadire che lei e i suoi stanno dalla parte dei palestinesi e che quello in corso è un genocidio. E, per farsi riconoscere, da qualche tempo indossa la kefiah, probabilmente cinese, ormai un capo d’abbigliamento d’obbligo, come un tempo lo era lo zainetto scolastico.

Ma l’FFF della Germania, dove c’è stata in passato un’opera assai efficace di denazificazione, non ci sta.

La mamma di Greta, la cantante Malena Ernman, che partecipò anche all’Eurovision del 2009 (21° posto) per la Svezia, è tra i firmatari per l’esclusione di Israele dalla competizione Eurovision 2024 a causa della brutale guerra a Gaza. Ma la mamma di Greta, e pure il papà, sono i principali burattinai della poveretta che è come un abito da indossare e da modificare secondo la moda, pur di restare in cima alle classifiche degli influencer. Esattamente, facendo le dovute differenze ma il meccanismo è analogo, come Chiara Ferragni e molti altri.

Di questo la maggior parte delle persone, ormai obnubilate dai tiktoktak (come diceva la buonanima cavalleresca in uno degli ultimi suoi deliri), ormai svuotate da qualsiasi barlume di intelligenza critica, sempre che ce ne siano stati, non si rende conto: chi mi ama mi segua e morta lì.

Chissà come si rodono, nell’aldilà, i leader della Storia o anche grandi inventori e uomini di cultura che, se avessero avuto questo strumento delle reti sociali alla loro epoca, avrebbero senza dubbio cambiato le sorti del mondo.

Immaginiamo, positivamente, come Galileo Galilei avrebbe potuto diffondere i video presi dal suo telescopio, facendo vedere a tutto il mondo i pianeti e altre cose che la gente non immaginava. Visto che eppur si muove? E come la Chiesa di Roma avrebbe potuto andarsi a nascondere per la vergogna. Certo, se ci fossero stati già i satelliti e il telefono intelligente e quindi le reti sociali, sarebbe stato il segno che già il cosmo era stato svelato per ciò che era, ma era solo un paradossale paragone metatemporale coi fenomeni di massa che ci avviliscono oggi.

Di contro, se trucidi personaggi come i sovrani assoluti e sanguinari delle monarchie europee o i dittatori del Novecento fossero stati in possesso delle reti sociali, ci sarebbe stata probabilmente già la fine del mondo. Immaginate un’arma del genere in mano a un Hitler o a uno Stalin o a un Videla eccetera. Mussolini avrebbe sparso ovunque il suo faccione, magari stilizzato come emoticon, anche il braccio teso sarebbe stato un emoticon utilizzatissimo. E anche le faccette nere, usate in chissà quale contesto. Eja, eja, orsù! Chissà che non li creino, visti gli ultimi rigurgiti dell’estrema destra sia da noi che nel resto d’Europa e l’impunità tutta nostrana, forse anche ungherese, di manifestazioni nostalgiche di un ventennio ormai sepolto.

Nessuno si rende conto, forse solo qualcuno, che Greta, appoggiando la causa palestinese e quindi manifestando per l’ “antisionismo”, appoggia quell’antisemitismo mai veramente estinto che orribilmente cova sotto la cenere dell’Olocausto, e che, alla fine, è un rigurgito nazista collettivo camuffato. Volenti o nolenti lo è, perché ciò che oggi viene chiamato genocidio di Gaza (e che non lo è perché un genocidio, ha ragione Liliana Segre, è un’altra cosa e lei lo sa bene perché c’era dentro ed è viva per miracolo) è un’affermazione acritica per la pur sproporzionata e rabbiosa reazione di Netanyahu all’assalto terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. L’ebreo tout court viene condannato senza appello, sebbene in Israele ci sia un forte movimento di opinione ben diverso dall’estrema destra di Benjamin Netanyahu, e nonostante molti ebrei siano sempre vissuti senza conflitti col vicino palestinese o cristiano in territorio israeliano. Non se ne parla mai a sufficienza perché si pensa che ci siano solo ebrei sempre in agguato sul vicino di casa arabo israeliano ma non è così. Si preferisce vedere l’orrore di Gaza, che c’è, purtroppo, e stop. Pochi parlano del fatto che gli aiuti umanitari a Gaza, provenienti da tutto il mondo, siano serviti in buona parte per costruire la rete di tunnel sotterranei usata da Hamas per progettare i suoi attacchi contro Israele. E il governo di Gaza è Hamas.

E, non si vuol vedere, in particolar modo in Europa, che i due stati, Hamas, non vuole nemmeno prenderli in considerazione. È facile dire, a distanza, che si dovrebbe rispettare il piano dell’ONU nel 1947, ma se una delle due parti non lo vuole riconoscere e continua a voler estirpare l’etnia ebraica dal territorio? Perché, non va mai dimenticato, che Hamas e quindi l’Iran e l’islam sciita vogliono vedere morto fino all’ultimo ebreo e non si fermeranno fino alla fine della guerra santa. E l’indottrinamento islamico è pesante e capillare, le giovani generazioni sono formate fin da subito.

Non che il sunnismo sia tanto meglio, beninteso. Basti ricordare l’ISIS, lo Stato islamico, di stampo sunnita, i cui terroristi hanno ucciso tanta gente innocente al Bataclan e a Charlie Hebdo. E non è per islamofobia, come pretende quell’altro imam, Brahim Baya, che si è permesso di fare il comizio antiisraeliano in una nostra università laica, travestendolo pietosamente da preghiera, cosa per cui era stato convocato. È uno dei tanti aspetti della taqiyya, d’altro canto, la dissimulazione tipica dell’islam, soprattutto sciita, per cui in un ambiente percepito come ostile, si traveste il lupo da pecora. Alla fine, comunque, dissimulando si vincerà e l’infedele sarà sconfitto ed eliminato, basta aspettare il cadavere che passa sul fiume. Gli sciiti, e quindi Hamas e l’Iran, lo dichiarano giorno per giorno che vogliono sterminare il popolo ebraico. E lo dimostrano con continui lanci di missili e attacchi terroristici.

La sufficienza con cui Baya ha trattato la sua “preghiera” in tv, accusando l’Italia d’islamofobia, cosa falsissima, con un orrendo sorriso di compatimento verso gli altri ospiti, ben più autorevoli di lui, che gli facevano notare come la sua non fosse stata una preghiera ma un’orazione politica, suona come una minaccia, come se lui e quelli come lui potessero riunire una forza e creare difficoltà nella vita quotidiana. Non c’è stata abbastanza durezza nei confronti di questo imam. Fuori le religioni, di qualsiasi tipo, dalle università e dalle scuole, dovrebbe essere un grido unanime.

La cecità da buonismo eccessivo arrivò a far dire ad Amalia Signorelli, pur stimatissima antropologa, che quasi quasi Charlie Hebdo se l’era cercata, quando uscì la copertina “Le Coran c’est de la merde, ça n’arrête pas les balles”. Non conoscendo bene l’argot francese, probabilmente l’antropologa non capì che “de la merde” significava “un oggetto di pessima qualità” che, proprio per questo, non fermava i proiettili e, ancora, nel suo significato traslato, che non basta un libro “sacro” per evitare i massacri. Avrebbero potuto anche disegnare la Bibbia al posto del Corano. La superficialità, sempre in agguato anche dove non ce lo si aspetterebbe. E, Charlie Hebdo, come giornale satirico francese, nell’argot ci sguazzava, giustamente, perché il linguaggio e i suoi rimandi sono l’arma principale della satira. Quindi non se l’era cercata. Erano i fondamentalisti che si sentivano offesi e pretendevano giustizia, un pretesto per attaccar briga, e la giustizia per coloro non si fa colle parole ma facendo piazza pulita perché solo il Corano è giusto e la legge coranica è l’unica legge possibile.

Il 7 ottobre 2023 gli sciiti di Hamas hanno dimostrato la loro ferocia, assaltando una festa di giovani in territorio israeliano, uccidendo, stuprando, decapitando neonati e prendendo ostaggi disarmati. Il Corano sparava, guarda un po’.

Greta, povera stella, di questo non ne parla. Ma da una marionetta nelle mani di due genitori come quelli che si ritrova cosa si può pretendere? Nonostante ormai sia un’adulta resta sempre, infelice (o forse no), una donna autistica colle sue idee fisse che lei insegue perché è il suo schema, perché l’hanno istruita così per dare un senso alla sua vita e, soprattutto, per farla diventare una macchina da soldi, assai cinicamente. E lei di sicuro non ne è cosciente fino in fondo, nel suo nido familiare si sente protetta e fa ciò che le dicono.

Ma la cecità della situazione investe anche milioni di studenti che protestano nelle università e che non conoscono una minchia fritta dell’islam e, soprattutto, della sua versione sciita. Sono, giustamente, inorriditi dalla carneficina che si sta svolgendo nella Striscia di Gaza, e, da lontano, protestano, perché per loro, non più abituati alle guerre, è assurdo e inconcepibile. Ma Greta, per l’Iran e anche per Hamas, dovrebbe coprirsi dalla testa ai piedi, altro che trecce ostentate, e non avrebbe diritto di parola. I veri similnazisti stanno lì, proprio chez Hamas.

Nessuno dimentichi la vicinanza del Gran Mufti Amin al-Husseini a Hitler, alleato fondamentale per l’eliminazione degli ebrei. E tanto altro. Eccole, le radici dell’odio. Ma che volete che ne sappiano Greta e i suoi? Israele, sebbene la risposta al 7 ottobre sia stata sproporzionata, alla fine sta difendendo sé stesso, o cerca di farlo, da un governo terrorista oscurantista che ha invaso i suoi confini, ha ucciso oltre mille israeliani e ne ha rapiti oltre un centinaio e che non molla. È orribile. È la guerra, bellezza. Qual è la più orribile tra le due azioni, quella di Hamas, che ha innescato questa reazione con stermini, stupri e cattura di ostaggi, o quella di Netanyhau che ha visto la sua gente oltraggiata e uccisa in casa sua?

Sono peggio i milioni di morti di Hitler o i milioni di morti di Stalin, qual è il vincitore di questo lugubre conteggio? È uguale.

Certo, la storia dello stato di Israele è complessa e certamente la pretesa di una terra promessa, così come sancito da una Bibbia ridicola, è pure altrettanto aleatoria, però il fatto che fin dall’inizio i palestinesi abbiano avuto lo scopo di eliminare gli ebrei è un altro dato. Non è qui che si può fare la storia e l’inizio di tutto perché non basterebbero venti volumi di pretesti e passaggi di proprietà ma al punto in cui si è arrivati sembrerebbe la soluzione più facile accettare la presenza dell’uno e dell’altro in quel territorio. Ma la soluzione è davvero questa o sta ancora più in profondità?

Come sempre è la religione a creare conflitti e ognuno ha i propri dogmi. I dogmi dell’islam, però, sembrano essere più granitici di quelli degli altri. Gli apostati, in Israele, così come nelle democrazie occidentali, non sono ammazzati, come invece succede nelle “repubbliche” islamiche. La Riddah è punibile colla morte, qualora il murtadd, l’apostata, non voglia tornare dentro il recinto della religione, islamica, ovviamente.

Greta lo sa? Probabilmente non c’era nel libretto d’istruzioni che le hanno scritto: presentati colla kefiah, vera o finta non importa, tieni questo cartello in mano e urla queste parole.

Suppongo che nemmeno molti degli altri protestatari lo sappiano.

L’ “utile idiota” ormai ha perso le sue connotazioni politiche e non è più riferibile a una destra contro una sinistra, come nel 1948, ma si attaglia perfettamente a tutti coloro che non ragionano, o perché non ne hanno i mezzi o perché credono fideisticamente in un movimento o per opportunismo, e a quelli che sposano una causa pur di esprimere un dissenso e basta. Utili idioti sono sparsi a piene mani ovunque, nei movimenti degli estremisti di destra, poi, non ne parliamo, quelli fanno le vittime, proprio loro.

E, alla fine di tutto, la gente continua a morire, da un lato e dall’altro, sparandosi e sgozzandosi anziché collaborare, uccidendosi in nome del proprio dio che esiste solo nella loro immaginazione. Richiamo sempre “Incendies” di D. Villeneuve, un film così chiarificatore sull’odio inutile d’origine religiosa.

Gioventù che potenzialmente potrebbe dare una vera sterzata a questo mondo impantanato nel consumo s’impantana a sua volta nello strato superficiale della realtà, senza indagare in profondità e, quindi, senza capire dove stiano i problemi e che cosa e, soprattutto, chi li abbia generati. La protesta indica sicuramente un disagio ma, appunto, senza studiare e comprendere a fondo le cause di qualsiasi cosa, inevitabilmente, si capisce che le soluzioni non arriveranno da un simile atteggiamento. Che qualcuno di autorevole lo spieghi ai giovani d’oggi che protestano, in tutte le lingue, anziché assecondare passivamente la rivolta, dicendo che i giovani fanno bene a protestare e basta mentre la legge del buonismo e del politicamente corretto impera.

E che non sia il papa, codesta persona autorevole, troppo alle prese colla “frociaggine” dei seminaristi, peraltro giovani anche loro e quindi in preda all’ormone impazzito. Almeno quelli fanno l’amore e non la guerra! Che ti lamenti a fare, Bergò! Ma come si fa… e fatelo andare in pensione ’sto papa.

Si salvi chi può.

E, soprattutto, basta co’ ’sta kefiah antiestetica che, posso dirlo?, mi ricorda una mappina. Ecco, l’ho detta. Meglio una sciarpa di Hermès. No, meglio di Yves Saint-Laurent, perché l’H di Hermès (e anche la sua pronuncia) potrebbe creare equivoci con Hamas.

Ma, ahimè, probabilmente fanno in Cina pure quelle.

 

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