Questione islamica

In difesa dei gesti simbolici

1 Agosto 2016

Ogni volta che si parla di Islam l’Occidente pare perdere il lume della ragione. I tanti attentati successi nel mese di luglio hanno contribuito ad aumentare l’insofferenza e l’intolleranza verso i fedeli di questa religione, da sempre implicitamente considerati collusi con i terroristi. Verso di loro si è come instaurato un circolo vizioso per cui ogni cosa che fanno (cose per altro richieste a gran voce da noi Occidentali) non è mai abbastanza. Facciamoci caso, dicevamo: “Non rinnegate la violenza!”, loro lo fanno e noi rincariamo “Non basta! devono rinnegare gli attentati!”, fanno anche quello e noi rincariamo “Non basta! devono disconoscere i fedeli che inneggiano alla violenza e alla guerra santa!”, fanno pure quello e noi continuiamo a insistere “Non basta! Devono allontanare e denunciare alle autorità i potenziali attentatori!”, e allora scelgono di collaborare ma noi incalziamo “Non basta! Devono esprimere solidarietà ai cattolici uccisi!”, e loro lo fanno, organizzando pure momenti di preghiera comune, e noi “Non basta! Devono essere più incisivi nelle loro scuse!” e via praticamente ad libitum.

Non importa quello che fanno, pare non sia mai abbastanza. Prendo ad esempio l’ultima iniziativa, quella nata dopo l’attentato in una chiesa di Rouen, quello che domenica ha visto migliaia di musulmano andare nelle chiese cattoliche per pregare insieme ai fratelli cristiani, per testimoniare la vicinanza gli uni verso gli altri. Repubblica parla di 23.000 musulmani andati a pregare insieme ai cattolici nelle chiese italiane, a Milano si è visto l’abbraccio fra don Paolo Croci e l’imam Bottiglioni della Coreis, a Genova nella Cattdrale di San Lorenzo cattolici e musulmani su sono abbracciati durante lo scambio del segno di pace, ma anche in altre città ci sono state testimonianza importanti, a Bari, a Roma, a Torino, a Napoli, a Parma. E poi a Sanremo e a Ventimiglia, per non parlare della messa in memoria di padre Jacques Hamel, il prete ucciso a Rouen, messa celebrata da monsignor Dominique Lebrun, vescovo di Rouen e primate di Normandia, dove erano presenti sia le suore scampate all’attentato che molti imam. Gesti simbolici, certamente, ma di un simbolismo pesante e carico di grandi significati. È anche attraverso gesti simili che si contribuisce a creare e a cementare quel dialogo che continuiamo a indicare come imprescindibile necessità.

Qualcuno ha criticato gli Stati per non aver preso un’iniziativa similare, magari di carattere laico. Ma, perdonatemi, è più urgente coinvolgere tutte le forze laiche all’interno di una posizione che è già (o dovrebbe essere già) loro, o piuttosto coinvolgere le comunità religiose per toglierle dall’isolamento che a volte vivono e renderle protagoniste di un dialogo che deve riguardare anche loro? Dagli Stati mi aspetto che incrementino si il dialogo ma quello fra le varie intelligence, che favoriscano lo scambio di informazioni, che rafforzino le collaborazioni per sviluppare reti informative sempre più estese ed efficienti. Il dialogo interreligioso è invece di pertinenza delle religioni, e questo nuovo passo spero possa essere solo il primo e che possa contribuire a rafforzare il confronto. Così come il terrorismo di nutre di simboli negativi, prospera pescando nel disagio, nell’emarginazione, nella voglia di alcune persone di affidarsi a ideologie radicali, allo stesso modo non dovremmo sottovalutare la portata di gesti positivi di questa portata e farne tesoro come carburante contro la deriva violenta che sta prendendo sempre più piede.

Ma c’è anche chi non crede in questo dialogo, in questi gesti. Come quel prete (che, dicono, preferisce restare anonimo) che avrebbe scritto una lettera al Tg4 per manifestare il proprio dissenso alla preghiera congiunta fra cattolici e musulmani nelle chiese. La potete vedere qui, dal minuti 6:30. Scrive:

Tu mi ammazzi un parroco e poi ti inviti la settimana dopo nella mia Chiesa a pregare la tua religione. Anche le altre chiese del mondo oggi saranno invase da musulmani senza che nessuno li abbia invitati. Se c’è proprio una cosa che noi temiamo è vederci arrivare i “turchi” in chiesa… Se lo avessi fatto io, non in Egitto, ma qui a Milano, di presentarmi in una moschea dicendo che mi sono autoinvitato a pregare, mi avrebbero lasciato alla porta. E se avessi insistito sarebbe scoppiata la rissa col coltello. Certo, tutti pregheranno oggi: i cristiani di non trovarsi qualche terrorista vicino. (Non esisterà, tra l’altro, alcun sistema di controllo e sicurezza, se non quelli di default nelle chiese più grandi…). Certo, tutti oggi ringrazieranno Dio: i cristiani di poter essere usciti vivi e incolumi dalla propria chiesa. Nessun vescovo farà sentire la sua voce dicendo che la cosa andava almeno concordata insieme. Insomma l’Islam è prepotente e invasore anche quando vuole farsi apprezzare come misericordioso e gentile. Se ci entrano in chiesa quando vogliono fare la pace, pensa che cosa possono fare quando sono leggermente alterati… Eh, lo sappiamo cosa, tra l’altro…

Un pensiero che non è isolato. Lo ha espresso anche da Camillo Langone sul Foglio. Ma qui non si tratta di “creare” una nuova religione o di accomunare le diverse religioni monoteiste in un minimo comune denominatore, qui si cerca soltanto di incrementare i legami e rafforzare quel dialogo e quelle aperture che più volte si sono chiesti a gran voce. Richieste di apertura che probabilmente saranno state fatte anche dallo stesso Langone e anche dal quel prete anonimo. O forse ora non è più di moda chiedere apertura e dialogo? Ci stiamo già facendo prendere dalla guerra di religione? Anche Papa Francesco ha recentemente detto che siamo in guerra, ma ha anche aggiunto che l’unico modo per reagire a questa guerra è la fratellanza. Non l’esclusione, non la chiusura, non l’odio verso gli altri. Per questo servono azioni simboliche, servono perché dimostrano la volontà di voler cambiare strada, dimostrano che è possibile lasciarsi indietro gli errori del passato e guardare avanti verso un futuro migliore. Non sottovalutiamo la forza e la potenza delle azioni simboliche, perché spesso sono proprio i simboli ad aiutare le persone a trovare quella forza necessaria affinché si realizzi qualcosa di irrealizzabile.

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