Medio Oriente
Attenti, l’Egitto sta facendo nascere la Nato dei paesi arabi
29 marzo 2015. Il consesso della Lega Araba, che si tiene in queste ore a Sharm el Sheikh, ha stabilito la nascita di un esercito congiunto che possa essere in grado di attivarsi rapidamente, per intervenire in uno Yemen sempre più martoriato da una cruenta guerra civile.
Un evento di importanza rilevante ma forse non del tutto inatteso, se si pensa ai raid aerei attuati dall’Arabia Saudita nei giorni scorsi, in evidente appoggio al presidente yemenita Hadi. Quella di oggi appare dunque più come una formalizzazione: una formalizzazione ad alto contenuto ideologico, che rende evidente tutto il peso e il potere che il presidente egiziano Al Sisi sta acquisendo nell’ambito dello scacchiere politico mediorientale. Un Al Sisi che è stato non solo “padrone di casa” del summit ma anche (e soprattutto) tra i maggiori promotori di questo accordo militare: un accordo da lui stesso presentato come un’alleanza volta alla tutela della pace e della sicurezza in Medio Oriente, evocando espressamente un’analogia con il Patto Atlantico del ’49. Un’analogia che implicitamente accosterebbe Sisi alla figura di Harry Truman: il potente artefice della NATO.
Sennonché, al netto della forza attualmente incarnata dal presidente egiziano, l’affinità con il caso della NATO non si mostra assolutamente perfetta. All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti disponevano in Occidente di una potenza grandiosa e del tutto senza rivali, dinanzi a un’Europa distrutta dal conflitto bellico: una potenza militare ed economica letteralmente smisurata, che fece per l’appunto di Truman l’uomo forte di un’alleanza, creata, sì, in funzione primariamente anti-sovietica ma – proprio per questo – altresì finalizzata ad un’espansione dell’influenza statunitense sul Vecchio Continente. La NATO inoltre veniva a basarsi su un’intesa ideologico-filosofica piuttosto salda e compatta, caratterizzata dall’esaltazione di valori come libertà e democrazia: un’intesa ideologica indubbiamente carica di contraddizioni destinate ad esplodere negli anni successivi. Ma un’intesa che ciononostante – nell’immediato periodo post-bellico – appariva come l’unico possibile baluardo liberale, dinanzi alle inquietanti tirannidi del nazismo e del comunismo.
Ora, è bene ravvisare come l’attuale situazione interna alla Lega Araba non sia assolutamente identica a quella della NATO alla sua nascita. In primo luogo, notiamo proprio il caso di Sisi.
Salito al potere in Egitto a seguito di un golpe militare nel 2013, il generale ha dovuto faticare non poco per farsi accettare da una comunità internazionale che lo additava come un bieco despota, colpevole di aver infranto gli aurei sogni della Primavera Araba. Tacciato di essere un dittatore senza scrupoli, fu presentato come un novello Mubarak: un militare autoritario e sostanzialmente antidemocratico, che si guadagnò non a caso la pronta diffidenza da parte dell’amministrazione Obama. Sennonché, la cosiddetta Primavera Araba iniziò presto a maturare i suoi frutti di radicalismo islamista, in una progressiva escalation culminata infine con la nascita dello Stato Islamico lo scorso giugno.
Proprio per questo, dinanzi al macabro spettacolo offerto dall’integralismo islamico e alla instabilità politica ormai imperante in paesi come Libia e Siria, il pugno duro usato da Sisi all’interno dell’Egitto contro il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani ha avviato una parziale rivalutazione della sua figura. Consapevole di questo cambiamento, il generale ha quindi iniziato a presentarsi sempre di più come un governante sostanzialmente laico, difensore delle minoranze religiose e conseguentemente accanito avversario di ogni integralismo islamista: tanto da dichiararsi pronto – poche settimane fa – ad assumere iniziative belliche, mirate a contrastare l’avanzata dell’Isis in Libia.
L’immagine quindi di un capo di stato affidabile ed essenzialmente in linea con gli standard ideologico-politici occidentali: una sorta di Atatürk o di Reza Pahlavi, pronto a garantire all’Occidente ciò che cerca da decenni. Un argine difensivo al fanatismo islamista. In tal senso, vanno ad esempio lette le dichiarazioni del generale sul pacifismo e l’umanità dell’Islam: quasi a voler rimarcare una distanza incolmabile tra sé e la furia omicida di Al Baghdadi. Quasi a voler presentare sé stesso come l’interprete legittimo della genuina dottrina islamica.
Sennonché, per quanto la trazione di Sisi risulti decisamente vigorosa nell’ambito della Lega Araba, egli non può vantare una posizione di assoluta preminenza (alla Truman) che gli garantirebbe un controllo pressoché totale sulla forza militare della Lega stessa: partner fondamentale del generale è difatti al momento l’Arabia Saudita, la quale notoriamente dispone di una potenza militare ed economica non indifferente. Anzi, è stato proprio l’interventismo saudita dei giorni scorsi in Yemen ad aver creato le premesse strategico-politiche per la nascita di questo nuovo esercito arabo. Un esercito che si avvia dunque ad essere retto da una diarchia egiziano-saudita.
Al momento ciò non sembrerebbe rappresentare un problema. Tanto più che Sisi e il re Salman bin Abdulaziz sembrano legati da una vera e propria comunione di intenti. Una comunione di intenti, rinsaldata da un collante religioso di profonda impronta sunnita. Un collante religioso che i vari rappresentanti della Lega hanno vividamente sottolineato in questi giorni.
Il problema che si pone a tal proposito è allora il seguente. Quale significato può avere questa enfasi sul sunnismo come vessillo ideologico-religioso del nuovo esercito arabo? La prima risposta che si può dare è ovviamente molto immediata e quasi banale. Come accennato, il casus belli con cui questo esercito nasce è quello di colpire i ribelli Huthi nello Yemen: ribelli di nota fede sciita e per questo – pare – ampiamente supportati dal regime di Teheran. La bandiera del sunnismo avrebbe dunque forza di collante ideologico verso un nemico ben preciso e determinato, appartenente ad una confessione avversa.
Sennonché, il grande dilemma è capire se ciò basti a spiegare un simile richiamo alla religione. Se, in altre parole, questo esercito arabo sorga per una funzione esclusivamente anti-Huthi o se preluda invece ad un progetto più ampio e stabile. Se cioè ci si avvii alla costituzione di un esercito mediorientale.
La possibilità – a ben vedere – sembrerebbe essere proprio questa. Ma se così fosse, un ulteriore problema sarebbe destinato a presentarsi. In futuro basterà come collante il sunnismo? E ancora: quello stesso sunnismo non potrebbe rivelarsi ad un certo punto invece un detonatore di contraddizioni? L’aspetto problematico in una prospettiva a lungo termine (che vada dunque al di là del solo “caso Yemen”) risiede proprio nei rapporti tra Egitto e Arabia Saudita. Entrambi sono sunniti, è vero. Ma in maniera ben diversa.
Da una parte abbiamo Sisi che – come detto – tende ad un Islam moderato, proponendo uno stato laico e anti-fondamentalista. Dall’altra abbiamo l’Arabia Saudita, il cui sunnismo si mostra – al contrario – molto più duro e integralista (come la condizione femminile nel paese comprova chiaramente): un sunnismo – quello saudita – inoltre caratterizzato da una matrice wahabita che lo accomuna ambiguamente alla teologia politica dell’Isis. I rapporti dei sauditi con il terrorismo (e con lo Stato Islamico in particolare) non sono mai stati d’altronde chiarissimi (gli Stati Uniti ne sanno qualcosa). E questa opacità potrebbe innescare problemi non solo interni alla Lega (soprattutto con Sisi) ma anche esterni: il pericolo, in altre parole, di ritrovarsi un esercito arabo (ufficialmente costituito per tutelare la sicurezza mediorientale) aperto ad influenze e infiltrazioni terroristiche.
A tutto questo si aggiunga poi il ruolo dell’amministrazione Obama, sempre più preda di insanabili contraddizioni. Un’amministrazione che da una parte apre sensibilmente all’Iran, attraverso un accordo sul nucleare, mentre dall’altra blandisce Sisi (un tempo odiato), nemico di quegli Huthi a loro volta alleati di Teheran. Un vero capolavoro di logica. Le contraddizioni del Medio Oriente tendono dunque drammaticamente ad intensificarsi, nell’ambito di uno scacchiere sempre più dilaniato. In un simile quadro si cerca compattezza. Il nuovo esercito arabo sembra ambire a diventare una nuova NATO. Il rischio è che si riveli un’armata Brancaleone.
Devi fare login per commentare
Accedi