Questione islamica
Il Mali ci ricorda la realtà: il terrorismo uccide più altrove che in Europa
Nei giorni in cui l’Occidente, e in particolare l’Europa si sente minacciata dal terrorismo islamico, dal Mali si apre un nuovo fronte. Le notizie che arrivano dall’Africa sembrano riportarci alla realtà, fatta anche di statistiche che travalicano il racconto emozionale.
“Solo” il 2,6% del numero complessivo di vittime del terrorismo, a matrice religiosa o politica, infatti, è stato ucciso in Occidente negli ultimi 15 anni. Dato che «scenderebbe allo 0,5% senza la tragedia dell’11 settembre 2001», spiega il dossier Global Terrorism Index.
Certo, la cifra non può fungere da tranquillante, prima di tutto perché si parla di vite umane e in secondo luogo perché l’allarme è crescente in ogni angolo del pianeta: i morti per terrorismo nel 2014 sono in totale di 32.658. Nel 2013 erano 18.111. Lo studio aiuta a comprendere la complessità della sfida terroristica, acquisendo ulteriore valore mentre in Mali è in corso l’ennesima azione dei gruppi jihadisti. Nel 2014 il Paese con il più alto numero di vittime negli attentati continua a essere l’Iraq, scenario della guerra voluta da Bush e Paese in cui l’Isis è nato e cresciuto. Lontano dai riflettori dei media, infatti, sono 9.929 le vittime irachene per azioni terroristiche. A completare la “top five dell’orrore” ci sono Afghanistan, Pakistan, Siria e Nigeria. Il Paese africano paga un pesante tributo di sangue alla presenza di Boko Haram, affiliatosi da qualche tempo proprio all’Isis. Il gruppo di Abubakar Shekau è stato il più cruento nel 2014 con un bilancio di 6.644 morti accertati, anche più dell’Isis che ne ha sulla coscienza 6.073 nonostante oltre mille attentati portati al termine (vedi grafico qua sotto).
Inoltre, i numeri svelano un altro dato di fatto: la proliferazione di organizzazioni terroristiche non ha solo una matrice religiosa. Anzi, attecchisce per altre questioni molto più materiali. «Sono chiaramente identificabili fattori socio-politici che favoriscono il terrorismo: è importante attuare politiche che mirano ad affrontare queste cause. Serve un maggior rispetto dei diritti umani e delle libertà religiose, pur considerando le sfumature culturali», ha spiegato Steve Killelea, fondatore e presidente dell’Institute for Economics and Peace. Anche l’emergenza rifugiati è raccontata nelle pieghe della ricerca: dieci degli undici Paesi più colpiti dal terrorismo hanno anche i più alti tassi di rifugiati e sfollati. «Ciò evidenzia il forte legame tra la crisi dei rifugiati in corso, il terrorismo e le guerre», sottolinea con evidenza il Global Terrorism Index.
In questo contesto si inserisce l’Occidente, che vive nel panico per la nuova offensiva dei gruppi jihadisti. Quindi poco più del 2,5% degli attentati mortali sono avvenuti nei Paesi più sviluppati. E di questi, il 70% dei i decessi è imputabile all’azione dei cosiddetti lupi solitari, ossia soggetti che hanno agito sotto l’impulso della follia personale senza una rete organizzativa alle spalle. E c’è uno spunto aggiuntivo di riflessione: non è il fondamentalismo islamico il problema principale del terrorismo nei paesi occidentali, bensì l’estremismo politico.
I numeri, solo i numeri, possono insomma provare a farci razionalizzare lo shock subito con gli attacchi di Parigi. L’analisi statistica non vuol dire “sminuire” il dolore, che resta difficile da esprimere. Ma i dati consentono una visione più ragionata del fenomeno, necessaria dinanzi a una sfida complessa e destinata a durare a lungo.
Credit Photo: Flick theglobalpanorama
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