Questione islamica
Il giorno in cui in America entrò in vigore una legge razziale
Qualunque legge che restringe la libertà di un individuo non sulla base di quanto l’individuo abbia fatto, e neppure sulla base di quanto abbia detto ma solo in virtu’ della sua nazionalità e’ da considerarsi come una legge razziale. Il cosiddetto “ordine esecutivo” approvato ieri da Donald Trump va quindi definito per quello che e’: una legge razziale, approvata nel 2017 negli Stati Uniti d’America.
Nella notte di venerdì un giudice federale di Brooklyn ha garantito un permesso di emergenza per le persone che si trovavano in volo durante l’approvazione dell’ordine e che erano state arrestate al loro arrivo negli USA. Il loro rimpatrio, secondo il giudice, causerebbe un “danno irreparabile”. La Casa Bianca, dal canto suo, fa sapere che tirerà dritto. Sullo sfondo, nella notte, i tassisti new yorkesi, provenienti in larga maggioranza da Paesi mussulmani, entrano in sciopero, rifiutandosi di caricare passeggeri fino a che gli arrestati non saranno rilasciati. Il Jfk e’ bloccato e alle due di notte migliaia di persone stanno ancora gridando.
La giornata comincia con la notizia-shock che due rifugiati siriani in possesso di regolare visto, per effetto di un misterioso provvedimento approvato da Trump, sono stati arrestati al Jfk airport di New York. La Cnn e tutti i media del paese iniziano le dirette su quella che, lo si capisce subito, sara’ una giornata storica (l’ennesima dallo scorso novembre) per gli Stati Uniti.
Sulla carta, il provvedimento impedisce l’ingresso nel Paese ai cittadini provenienti da “7 Paesi mussulmani” per “difendere l’America dal terrorismo” (il fatto che dall’11 settembre ad oggi gli unici ad aver compiuto atti di terrorismo dentro i confini dell’Unione siano cittadini Americani evidentemente interessa poco a chi ha coniato la definizione di “alternative facts”).
Fino a venerdì mattina, pero’, si pensava che l’ordine riguardasse solo coloro che il visto lo stanno ancora aspettando e non certo chi, da anni, vive e lavora all’interno degli Stati Uniti. L’Homeland Security – l’organismo che regola e controlla l’immigrazione – dice di non saperne nulla, al punto che un agente doganale, davanti alle domande di uno dei due uomini, gli dice “l’unico che può risponderti e’ Donald Trump”.
Poco dopo la notizia viene corretta: non si tratta di siriani ma di iracheni, e pare che uno dei due lavori da dieci anni per l’esercito Americano. Con una decisione senza precedenti, Google rilascia una nota di condanna contro la Casa Bianca. La maggior parte dei media pero’ rimane attendista: nessuno crede, o vuole credere, che davvero si stia impedendo l’accesso a persone in possesso di regolare visto o Green Card.
La Cnn, con il tweet di un reporter, chiede a chiunque sia stato colpito dal provvedimento di farlo sapere. E a quel punto, il vaso della follia trumpiana viene definitivamente scoperchiato.
Uno scienziato iraniano diretto verso un laboratorio di fisica in Massachusetts, uno studente iscritto a Yale, un interprete iracheno che negli ultimi 10 anni ha lavorato per il Governo, un giovane medico vincitore di una borsa di studio in chirurgia vascolare ad Harvard: secondo Donald Trump costituiscono tutti una minaccia terroristica per il Paese.
A quel punto diventa chiara a tutti la posta in gioco: non si tratta di contestare un singolo politico o una singola legge, si tratta di difendere gli ideali, i valori, i sentimenti su cui sono stati fondati gli Stati Uniti d’America.
Mentre Trump, al telefono con Putin, cerca di sbarazzarsi di due secoli e mezzo di storia, a New York – sotto un’incredula Statua della Liberta’ – la gente comincia ad affluire al Jfk, chiedendo la liberazione dei due uomini. Al Sundance Film Festival, prima delle proiezioni dei film, viene letta una dichiarazione in cui si invita il pubblico a “mettere in pratica azioni concrete” contro l’ordine esecutivo. Nessuno parla più dei film in concorso: si aspetta la fine delle proiezioni per fiondarsi davanti alla TV a seguire quello che sta succedendo.
<<Sapevo sarebbe stato terribile, ma non pensavo sarebbe accaduto così presto e che sarebbe stato così terribile>> commenta Mohamed, 21 anni, studente di Ingegneria in Arizona, a Park City come autista Uber per arrotondare durante il Sundance. <<Mia nonna e la sorella di mia madre dovevano ricevere il visto tra due settimane, pare che sia stato gia’ tutto bloccato. Dopo che i bombardamenti ci hanno distrutto la casa, nel 2003, mio fratello si e’ arruolato nell’esercito americano, ci siamo trasferiti qui 8 anni fa come rifugiati. Ci avevano detto che non avevamo più nulla da temere, ma io ora ho paura>>
Non e’ il solo: in tutto il Paese diverse fonti riferiscono di atti di violenza messi in pratica contro immigrati e le loro proprietà. Intanto negli aeroporti di tutto il mondo, centinaia di passeggeri vengono lasciati a terra dalle compagnie aeree che non vogliono prendersi la responsabilità di avere a bordo dei clandestini, anche se tali clandestini, da decenni, sono in possesso di una Green Card.
A sera inoltrata, dopo la decisione del giudice federale, l’Homeland Security – in clamoroso contrasto con la Casa Bianca – fa sapere che i possessori di Green Card o visto possono entrare negli USA. La Casa Bianca – ancora più clamorosamente – smentisce l’Homeland Security, poi corregge il tiro e dice che si deciderà “caso per caso”. Sale il sospetto che Trump non avesse, e non abbia, la più pallida idea della reale portata del suo provvedimento, un provvedimento il cui razzismo e’ pari solo alla sua portata demagogica.
Al Jfk la gente non vuole saperne di andarsene, e tantomeno di smettere di urlare: we will not go down quietly.
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